E’ difficile descrivere i sentimenti che provavo mentre ero sull’aereo che mi portava da Milano ad Abu Dhabi.
Stavo andando in un paese arabo sapendo che mi sarei trovato di fronte ad una realtà molto diversa ma, nello stesso tempo, piuttosto simile al mondo occidentale.
Ero perciò curioso di scoprire se l’immagine un po’ stereotipata che abbiamo di questi paesi, e cioè una realtà a metà tra modernismo e attaccamento al passato, avesse un qualche fondamento.
Sbarcato dall’aereo dopo sei ore di volo, e appena entrato in aerostazione, accendo il telefonino e mi connetto al potente Wi-Fi, velocissimo e senza password.
Il controllo dei passaporti avviene in un attimo e la riconsegna bagagli è fulminea.
Esco dalla zona doganale, mi metto in fila per il taxi e dopo pochi secondi mi trovo su un veicolo predisposto per trasportare viaggiatori e bagagli (avete presente i vecchi taxi inglesi, quelli neri con i sedili ribaltabili e lo spazio vuoto in mezzo?
Ecco, qualcosa di molto simile ma moderno. L’autostrada che porta al resort è larga, perfettamente asfaltata, pulita e in ordine. A prima vista, un paese perfetto, quasi una Svizzera in mezzo al deserto.
Il resort dove ho dormito la notte del mio arrivo, il Saadiyat Rotana, è nella zona nord di Abu Dhabi: inaugurato un paio di anni fa, pur non essendo un hotel di lusso, è quanto di più moderno si possa immaginare, con la domotica nella sua massima espressione, servizi ineccepibili e un buffet di prima colazione assolutamente inimmaginabile.
Direi che questo è un po’ l’emblema della città: è tutto bello, grande e al massimo.
Da un ventennio Abu Dhabi è in piena esplosione edilizia, culturale e sociale. Tutto sta crescendo velocemente, in maniera tumultuosa.
È difficile dire se questa trasformazione sia un modo per preparare un futuro diverso legato al turismo, e quindi per uscire dalla dipendenza del petrolio, o la volontà di stupire il resto del mondo: forse entrambi.
D’altra parte i soldi non mancano, il territorio neanche, e la determinazione di creare, e anche in fretta, è infinita.
Sono state assoldate eccellenze in tutti i campi e così architetti e ingegneri di tutto il pianeta hanno dato libero sfogo alla loro fantasia creando strutture che altrove neanche si possono immaginare:
La sede centrale della Aldar Properties (un palazzo di vetro a forma di cerchio alto 110 metri e sostenuto da una struttura diagonale di acciaio), il Louvre Abu Dhabi, la cui copertura esterna è come un enorme nido (e dove ospitano mostre temporanee come quella dedicata a Rembrandt che ho avuto la fortuna di visitare), l’Emirates Palace, l’hotel del lusso assoluto, o i tanti grattacieli con le forme più stravaganti che compongono lo skyline di questa città.
Ed è proprio la Aldar Properties che ha avviato dieci anni fa la più impressionante iniziativa per cambiare questa città: ha creato sulla Yas Island, nella zona nord est, un complesso con il circuito di Formula 1 dove si svolge l’annuale Gran Premio, lo Yas Hotel che sovrasta il circuito stesso, il Ferrari World (parco di divertimento a tema automobilistico), lo Yas Mall, una Marina, un parco di divertimento acquatico, il Warner Bros World.
È lo Yas Links, un campo da golf subito classificato tra i 50 più belli al mondo.
Disegnato dall’americano Kyle Phillips (creatore anche di Kingsbarns e Verdura), riproduce il modello inglese di links, con un panorama sul golfo davvero unico.
Il percorso corre lungo la spiaggia, con buche che si affiancano in andata e ritorno, allungandosi fino in fondo alla penisola.
Rimane comunque davanti agli altri hotel costruiti o in costruzione, ma sempre dalla parte del mare, così da non togliere mai al giocatore il piacere della vista e l’indispensabile brezza che attenua la calura.
Le buche sono molto mosse; i bunker e il rough alto non sembrano pericolosi, a condizione di tirare dritto.
Impegnativi invece i green, molto complessi con forti pendenze: non c’è bisogno della mappetta per capire da che parte andrà la vostra pallina.
Ma il nostro immaginario collettivo golfistico di questo emirato va all’Abu Dhabi Golf Club, dove ogni gennaio di svolge l’HSBC Championship, Rolex Series dell’European Tour, e noto per l’enorme clubhouse a forma di falco, il simbolo di questo emirato.
Una struttura che condiziona (in meglio) ogni giudizio su questo straordinario campo e che lo rende riconoscibile ogni dove.
Costruito nel 1998 su 162 ettari di terreno, propone 27 buche di campionato disegnate da Peter Harradine.
Il percorso ha fairway magnifici, è molto curato anche esteticamente, con fiori coloratissimi e piante che aiutano a sopportare il caldo, ha sette laghi e 84 bunker, molti dei quali di notevoli dimensioni.
Il fatto che ci siano 4.500 sprinkler per irrigare il percorso (in un campo 18 buche italiano ce ne sono 5/700) dà l’idea dell’impegno necessario per curare il percorso in mezzo al deserto.
Le buche sono molto lunghe per cui non fatevi problemi a scegliere i battitori più avanzati: in caso contrario, alcune volte, dovrete usare la dropping zone del laghetto nel quale sarà finita la vostra pallina.
Il percorso è piuttosto piatto e i green decisamente grandi.
Oltre ad una piscina e alle classiche strutture di circolo, l’Abu Dhabi Golf offre anche un percorso illuminato di 9 buche (par 36) che permette di giocare di notte, il che, soprattutto nella stagione calda, è un bel vantaggio.
Della stessa organizzazione è il terzo campo di Abu Dhabi, il Saadyat Beach and Golf Club.
Inaugurato nel 2008, è stato disegnato da Gary Player, e si vede: il percorso, decisamente più impegnativo dell’Abu Dhabi, è costellato di bunker enormi e profondi.
Dal tee di partenza molte buche mettono soggezione: spesso non si vedono zone dove fare atterrare la palla.
Nella realtà lo spazio c’è ma non è facile giocare rilassati. È un campo che vale assolutamente la pena di visitare se volete un percorso stimolante che metta alla prova il vostro controllo del gioco.
Diverse buche si affacciano sull’azzurro mare del golfo e le stradine di collegamento passano in mezzo alla spiaggia attrezzatissima affollata di turisti intenti ad abbronzarsi: queste buche valgono tutto il campo.
E poi, dai, mica rischiate la virgola, ormai comunque sul viale del tramonto…
Per giocare sull’ultimo campo ho dovuto andare ad Al Ain, la quarta città degli Emirati Arabi, con i suoi 500.000 abitanti.
Ho percorso la Highway 22 verso est, fino al confine con l’Oman: sono 150 chilometri su un’ottima strada a quattro corsie in mezzo a un deserto di dune rosse.
L’arrivo è una sorpresa: la città è moderna ma classica, con viali alberati e tantissime rotonde stradali note per il loro verde.
Gli edifici hanno caratteristiche ‘normali’: nessun grattacielo, nessun palazzo esagerato, nessuna follia per stupire gli occidentali.
Abitata da 4.000 anni per via delle molte sorgenti d’acqua sotterranee, vi è nato lo sceicco Al Nahyan, primo presidente degli Emirati Arabi Uniti.
È la città più autoctona, con poca immigrazione e quindi i valori culturali sono radicati in tutte le loro espressioni.
Se ad Abu Dhabi la vita, il mondo, i comportamenti sono molto ‘occidentali’, qui quasi tutte le donne indossano l’abaya o addirittura il niqab, mentre gli uomini hanno il kandura, la tunica bianca che, a seconda di come lo si porta, esprime il ceto, la posizione sociale, il ruolo.
L’hotel che mi ha ospitato, in ossequio al precetto religioso, non serve alcolici.
Rispetto alla capitale, è una città che appartiene a un altro pianeta ma che – e lo enunciano con molto orgoglio – ha il più bello stadio di calcio del mondo (io l’ho visto da fuori: è davvero notevole, con un’architettura modernissima a uovo), uno stabilimento della Coca Cola, un’università celeberrima, la squadra di calcio più forte e una èquipe di rugby in prima divisione.
E poi c’è l’Al Ain Equestrian, Shooting and Golf Club, un complesso nato nel 2007 per volontà dello sceicco Bin Zayed, e che rispecchia l’amore di questo popolo per i cavalli e per il tiro con pistole e fucili, nonché la volontà di omologazione con la tradizione inglese, che loro ammirano molto (golf, cricket e rugby).
Le prime nove buche del golf si sviluppano all’interno del percorso ovale di galoppo, le seconde sono esterne alla struttura e illuminate, per permettere anche il gioco notturno.
La 10 è la buca iconica: con i suoi 520 metri è la più lunga degli Emirati.
È un bel percorso, rimaneggiato un paio di volte negli ultimi anni. Incredibilmente verde, è circondato da un deserto caldissimo ma secco.
L’aspetto unico è il sistema d’irrigazione (caratteristico di tutta la città): una serie di canalizzazioni sotterranee la cui storia si perde nella notte dei tempi.
Vale il viaggio? Certamente sì, a condizione di sapere che ci si addentra in una società in rapidissima evoluzione ma, allo stesso tempo, di forti contrasti fra tradizione e modernità.
Le strutture sono pazzesche, quello che offrono è sempre il massimo anche se non proprio a buon mercato.
Per andarci dall’Italia ci sono comodi voli diretti da Milano Malpensa e da Roma con Ethiad; il wifi è ovunque e senza difficoltà di collegamento (ma per Whatsapp e Facetime c’è una forte limitazione nell’uso vocale); trasporti e ristoranti sono eccellenti.
Non servono visti: è sufficiente che il passaporto abbia validità residua di almeno sei mesi.
Dovete però programmare il periodo: evitate assolutamente i mesi da giugno e settembre per il caldo terribile.
Quelli ideali per giocare vanno da novembre ad aprile.
Se poi volete unire anche un po’ di (bel) mare, allora venite anche a ottobre e maggio.
Consigli e curiosità
⎯Gli Emirati Arabi Uniti sono una federazione monarchica assoluta elettiva composta da sette emirati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras-al-Kaima, Sharja e Umn al-Qaywayn.
⎯Ad Abu Dhabi si trova la Grande Moschea di Sheik Zayed, nota per i suoi lampadari in cristallo e per avere sul pavimento del salone centrale il tappeto più grande del mondo. La struttura può ospitare fino a 40.000 persone in preghiera.
⎯Il limite di velocità sulle autostrade è 160 km/h mentre la benzina costa 0,50 Euro/litro.
⎯Il falcone è il simbolo della cultura beduina ed è l’uccello nazionale degli Emirati Arabi Uniti.
⎯Abu Dhabi significa “Padre della gazzella”. La gazzella è un animale protetto perché “per trovare l’acqua segui la gazzella”.