La California è un vero paradiso per i golfisti. Da sud a nord è un’ininterrotta sequenza di campi da sogno e il suo clima così variato permette di giocare in ogni stagione su campi di assoluta eccellenza.
Così è anche per San Diego, la più importante città californiana nel sud di questo grande Stato americano, a pochi chilometri dal confine con il Messico e dalla città di Tijuana.
Affacciata sulla grande baia che prende il suo nome, staglia il profilo dei suoi grattacieli tra il limite dell’interminabile lungomare e il profilo delle montagne che si innalzano nell’entroterra.
Nonostante sia una delle città più ricche e culturalmente vive della California, e all’interno della baia si trovi una delle più grandi basi militari dell’aviazione americana, la vita in città appare tranquilla e tutto viene fatto per preservare la privacy degli abitanti.
I migliori ristoranti si affacciano quasi tutti sul waterfront della baia, ma non è facile distinguerli dal resto di ville ed edifici che ne disegnano il profilo.
Non mancano spiagge da sogno, grandi eventi musicali e musei d’arte spagnola e precolombiana. E inoltre ci si può deliziare con una vasta scelta di cucine tradizionali e ottimi vini locali.
Un poker d’assi
Per un golfista, tuttavia, tutto questo può essere solo il contorno di un viaggio d’eccezione. I quattro campi che abbiamo visitato si collocano tutti nei primi 100 degli Stati Uniti.
Non occorre quindi dilungarsi molto sulle loro qualità, larghi o stretti che siano i fairway, piccoli o grandi green e bunker, tutti hanno rivelato condizioni di assoluta eccellenza.
Sono infatti sufficienti 20 minuti d’auto, dieci miglia lungo la Highway 5 in direzione nord, per arrivare alla meraviglia più vicina alla città: il Torrey Pines Golf Course.
È un campo pubblico con due percorsi gestito dal Park & Recreation Department – Golf Operation Division.
Il suo South Course (6.444 metri par 72) si colloca stabilmente tra i primi 40 negli Stati Uniti e a conferma di questa eccellente qualità nel 2021 ospiterà nuovamente lo U.S. Open.
Disegnato da William F. Bell e aperto nel 1957, è stato rinnovato da Rees Jones nel 2001 e da quasi vent’anni appartiene all’élite del golf americano avendo ospitato, tra altri numerosi grandi tornei, l’US Open del 2008 vinto da Tiger Woods.
Ogni anno poi è sede fissa di una gara del PGA Tour, che dal 2010 porta l’etichetta di Farmers Insurance (in precedenza era invece legato al marchio automobilistico Buick).
Il campo si apre su di un vasto altipiano che fronteggia l’oceano e s’innalza di una cinquantina di metri sopra a una lunghissima spiaggia.
Le prime nove buche sono adagiate su un terreno lievemente ondulato, le seconde, più emozionanti, seguono il profilo frastagliato della costa e della scogliera.
Il paesaggio è aperto con pochi alberi e un’ampia visuale, il rough è giocabile tra un fairway e l’altro, il profumo dell’oceano e il suo orizzonte infinito si prendono tutto il vostro cuore e la vostra mente.
I bunker lungo i fairway sono solidamente appostati per punire il gioco non preciso, soprattutto intorno ai green che sono ampi, con ondulazioni importanti, divisi in cinque zone e tutti ben rialzati.
Difficile stabilire una graduatoria di difficoltà ma le emozioni maggiori arrivano sulla 14 (383 metri par 4), un dogleg a sinistra non particolarmente difficile, il cui drive è un tiro nel cielo verso il mare, cui deve seguire un approccio a sinistra su di un green in basso.
Impegnative anche la 16 (191 metri par 3) che affronta una scarpata in salita e la 17 (385 metri par 4), difesa da uno specchio d’acqua proprio prima dell’approccio ad un green ben difeso.
Il North Course (6.200 metri par 72) è una diversa declinazione delle caratteristiche del South Course, ma più semplice e facile: il rough è meno alto e sempre giocabile, i bunker meno aggressivi, i green generalmente di dimensioni minori.
Ancora una volta sono le nove di ritorno a offrire una vicinanza maggiore alla scogliera e la 15 (161 metri par 3), in particolare, scende deliziosamente sul green con bel salto al limite della scarpata.
Non è particolarmente difficile ma, se non vi siete scattati neanche un selfie durante il percorso, fatelo almeno qui.
I gioielli di Tom Fazio e Johnny Miller
In viaggio sempre verso nord giungiamo a Los Peñasquitos Canyon, alle prime pendici della Catena Costiera.
Da qui poi continueremo ancora verso il Maderas Golf Club.
Sono solo poche miglia dal mare ma il paesaggio diviene più appartato, quasi selvaggio, fatto di alte colline e ripidi pendii, fitti boschi e grandi panorami.
Qui troviamo il Fairmont Grand Del Mar Resort e il suo Grand Golf Club Course (6.227 metri par 72). In questo contesto, non facile da interpretare, nel 1999 Tom Fazio ha disegnato un altro dei suoi magnifici campi.
Ci sono oltre cento metri di dislivello tra il punto più basso e quello più alto del percorso e i continui saliscendi aggiungono molti metri alla sua lunghezza ufficiale.
È quindi consigliabile l’utilizzo dei cart anche per chi normalmente non li ama. La brezza del mare giunge fino a qui e i boschi offrono un riparo verde al sole della California, ma d’estate può fare molto caldo.
Da rimarcare la 8, un par 4 di 396 metri, la cui lunghezza si sposa magnificamente con un’obbligata area di atterraggio all’impegnativo drive.
Se le nove di ritorno sono globalmente le meno difficili occorre tuttavia sottolineare la bellezza della 17, un lungo par 3 di 181 metri il cui fianco sinistro è potentemente protetto da un largo specchio d’acqua. In ogni caso, se il percorso vi avrà affaticato, il resort saprà colmarvi di squisite attenzioni ben oltre le normali aspettative.
Ancora più a nord e all’interno, troviamo un campo strutturalmente simile al precedente: il Maderas Golf Club (6.269 metri par 72), una delle ultime opere di Johnny Miller in collaborazione con Robert Muir Graves.
Il gioco si sviluppa su di un percorso piuttosto impegnativo ma in un contesto più vicino all’aspra natura del deserto che a quello ombreggiato della costa.
Sebbene i fairway siano generalmente molto ampi, i notevoli dislivelli e le difficoltà del tracciato lo rendono difficile.
Qui la vera battaglia si gioca per arrivare ai green, sempre ottimamente difesi. Occorre pure menzionare la presenza di numerosi specchi d’acqua che trovano nella 9 (349 metri par 4) la loro sintesi: un fairway più stretto con stagni a entrambi i lati, che riducono l’area di atterraggio del drive e complicano l’approccio a un green che si sviluppa su due livelli.
Tutto il fascino del deserto
Per assaporare il gusto dell’avventura occorre salire lungo le verdissime pendici della costa ovest, in mezzo a un’infinita serie di fattorie e allevamenti di cavalli, inoltrarsi nelle più aride montagne di San Ysidro e infine addentrarsi nel deserto dell’Anza-Borrego State Park.
Oltre lo spartiacque ci accoglie un altro mondo, un deserto di cespugli bassi e piante grasse, verde e fiorito da gennaio a marzo, ornato dai fiori rossi di ocotillo fino ad aprile, oppure grigio e implacabile da giugno fino a settembre.
Il Rams Hill Golf Club (6.245 metri par 72) si trova qui.
È un sogno ad occhi aperti a soli 150 chilometri da San Diego, ai margini della semplice e sonnolenta cittadina di Borrego Springs, e già il viaggio è un’esperienza indimenticabile.
In questa specie di “altrove” Tom Fazio ha incastonato uno smeraldo verde di impeccabili fairway e di green piuttosto impegnativi, che viene chiuso in estate per evitare che il sole e l’uso possano rovinare la trama del tessuto verde.
Assolutamente meritato il suo ranking tra i primi 40 campi USA. Nonostante ci si trovi in pieno deserto vi sono ben otto specchi d’acqua che, insieme ai bunker a grappoli lungo i fairway, alle complesse ondulazioni dei green e al vento che qui arriva dal deserto, contribuiscono a rendere impegnativo il suo tasso tecnico.
Ricondizionato e riaperto nel 2014 il disegno del campo è stata una sorpresa perfino per i californiani.
Un percorso dagli ampi spazi e con panorami mozzafiato, da facile a mediamente impegnativo dai tee degli ospiti, a molto ostico da quelli di campionato.
Il mix tra difficoltà e bellezza è davvero intrigante. I par 3 sono piuttosto lunghi e intimidatori come ad esempio la 5 (179 metri). I par 5 invece invitano a sognare l’eagle o a temere il doppio bogey.
La sensazione più viva giocando su questi fairway è l’assenza di rumore, come se il silenzio prendesse forma. Un modo affascinante per apprezzare il lavoro di Tom Fazio o per ritrovare il contatto con sé stessi e con coloro che ci stanno accanto.