Perché si droppa all’altezza del ginocchio?
Tra le novità introdotte dalla revisione delle Regole del Golf, entrata in vigore all’inizio del 2019, quella che forse ha fatto – e continua a fare oggi – più discutere, è quella relativa al droppaggio.
La Regola 14.3b dice che la palla deve essere lasciata cadere dall’altezza del ginocchio, con l’intenzione di rimetterla in gioco (il che sostanzialmente proibisce il buttare giù una palla per vedere dove andrà a rotolare), senza dare alcun effetto per influenzare il movimento della palla.
Ma come si è arrivati a decidere che l’altezza del ginocchio fosse quella giusta?
Uno dei primi accenni al fatto di poter rimettere la palla in gioco – ricordiamoci che originariamente le regole non prevedevano praticamente mai la possibilità di alzare la palla, e di conseguenza di rimetterla in gioco, lo troviamo nelle regole del 1908, quando queste stabilivano che la palla dovesse essere droppata sopra le spalle del giocatore:
“Il giocatore deve guardare la buca, stando in posizione eretta, e droppare la palla all’indietro, sopra le sue spalle”.
Questo metodo – che talvolta ha portato a episodi comici, come quando un giocatore, droppando dietro le spalle, ha perso la sua pallina, ritrovandosela infilata nel colletto della maglietta quando negli spogliatoi si preparava per farsi una bella doccia – è rimasto in vigore per 76 anni, quando la grande revisione del 1984 ha modificato la procedura, richiedendo al giocatore di droppare la palla dall’altezza delle spalle, rimanendo sempre in posizione eretta (ovvero il metodo che la maggior parte di noi ha sempre utilizzato fino al 31 dicembre 2018).
Con le modifiche apportate a partire dal gennaio di quest’anno, vi era la necessità – sostanzialmente per limitare il più possibile i “ri-droppaggi” (vecchia regola 20-2c), per una questione di risparmio di tempo e per evitare inutili penalità – di fare in modo che la palla, dopo essere stata droppata, rimanesse all’interno dell’area in cui ovviare (regole 14.3b(3) e 14.3c).
La prima versione della nuova procedura, diffusa dal R&A nel marzo 2017, prevedeva che la palla potesse essere droppata da qualsiasi altezza, suggerendo un minimo di 1 pollice (2 centimetri e mezzo) ed entro un’area che doveva essere di 50 centimetri o un metro in base alla regola che si dovesse applicare.
Come tutti sappiamo, prima di pubblicare la versione definitiva del testo, il Rules Committee del R&A ha voluto condividere la prima bozza coi golfisti di tutto il mondo, ricevendo oltre 20mila risposte e indicazioni.
La modifica che aveva ricevuto la maggior parte delle critiche era proprio quella sul droppaggio. In tanti si chiedevano come mai, se l’altezza decisa poteva essere così bassa (2.5 centimetri), allora non si procedeva direttamente a piazzare le palla.
Altri sostenevano che quest’altezza, avrebbe portato gran parte dei giocatori (furbetti) a piazzare, non a droppare.
Un altro problema che emerse, fu quello dell’area dove ovviare; stabilire una misura fissa, avrebbe costretto i giocatori a doversi portare un righello a ad apporre allo shaft dei bastoni del nastro adesivo alla giusta altezza, ma con l’incognita di una potenziale infrazione alle regole dell’equipaggiamento.
Dopo un’attenta analisi, supportata anche da dati scientifici forniti dall’Equipment Standard Committee dell’R&A (la palla lasciata cadere dall’altezza del ginocchio, arriva a una velocità che è pari alla metà rispetto a quella dall’altezza delle spalle), si è deciso che l’altezza giusta fosse quella del ginocchio, e l’area dove ovviare avesse l’ampiezza del bastone più lungo che il giocatore ha con sé nella sacca.
È stato stabilito che quest’altezza garantisse quella necessaria “imprevedibilità” sul dove la palla andrà a fermarsi, che è uno dei capisaldi del fatto di droppare e non piazzare, ma anche il fatto che nel 99% dei casi, la palla rimanesse all’interno dell’area in cui droppare.
Il metodo, sentendo giocatori e giocatrici di qualsiasi livello, divide molto i golfisti di tutto il mondo, ma questo è forse anche dato dalla nostra innata “resistenza al cambiamento”, che ci rende spesso scettici nel momento in cui qualcosa – nel nostro caso il droppaggio, dopo 35 anni – viene cambiato.
Crediamo che il metodo sia quello corretto e che garantisca, nella maggior parte dei casi, la corretta applicazione delle regole.