Siamo alla resa dei conti, tra pochi giorni si alza il sipario sulla 44esima edizione della Ryder Cup e il capitano americano Zach Johnson ha le idee molto chiare su quello che sarà il suo momento. Carattere di ferro, dodici vittorie in carriera sul PGA Tour tra le quali due major, il Masters nel 2007 e l’Open Championship nel 2015, e due sul DP World Tour, Johnson non è noto per le sue distanze siderali ma per il suo gioco preciso ed efficace, soprattutto sui green. Tutte queste qualità gli saranno utili per condurre, a detta di molti, una delle squadre più deboli della storia americana.
Il team a stelle e strisce non vince in Europa da 30 anni, dal 1993 al The Belfry, in Inghilterra, e a seguito delle sue sei wild card in molti si domandano se questa sarà l’occasione di ottenere finalmente una vittoria in Europa.
La sua scelta è stata quella di prediligere l’esperienza e l’intesa di squadra a discapito di giocatori più in forma. Uno su tutti, la decisione di convocare Justin Thomas con all’attivo la sua peggior stagione di sempre a discapito del Rookie of the Year Cameron Young, di Keegan Bradley, Denny McCarthy e Lucas Glover. Due cose sono ben chiare in questa decisione: non sta necessariamente cercando i giocatori attualmente più forti sulla carta o quelli più in voga, ma piuttosto quelli che secondo lui sono i giocatori giusti per un evento di tale portata. Esperienza contro forma fisica del momento. Chi avrà la meglio?
Le sono piovute addosso critiche per la scelta di portare Justin Thomas dopo una stagione non certo brillante. Cosa può dirci a riguardo?
Justin è il cuore pulsante della squadra, dà sempre tutto se stesso, è un esempio per tutti i giocatori ed è nato per questa competizione. Non sarà arrivato alle fasi finali di FedeEx Cup ma la storia insegna che è il miglior giocatore che la Ryder può avere con all’attivo sei vittorie, due pareggi e una sola sconfitta. Ecco perché, per quanto mi riguarda, non è proprio possibile lasciare JT a casa.
Che tipo di capitano pensa di essere?
La mia esperienza come giocatore prima e come vice capitano dopo spero mi aiuti ad essere degno e all’altezza di questo ruolo e di questi 12 giocatori. Non posso che essere onorato di guidarli in questa avventura romana e rappresentare gli Stati Uniti in una manifestazione unica al mondo. Ci prepariamo da mesi e pensare che ormai la Ryder è dietro l’angolo mette, da una parte quasi malinconia nel pensare che a breve questo viaggio volga al termine, dall’altro esalta all’ennesima potenza.
Altra scelta discutibile è stata quella di Brooks Koepka, giocatore passato al LIV Golf.
La mia scelta si basa solo ed esclusivamente sul gioco e sulla personalità del giocatore non certo sulle sue scelte di vita personali. Non sono qui per fare politica ma per portare a Roma la squadra più forte e più idonea a scendere in campo e conquistare più punti possibili. Negli anni Brooks si è fatto strada tra i suoi compagni di squadra, tutti i ragazzi lo volevano, io in primis.
Una squadra composta da diversi rookie. Come si affronta un evento del genere per la prima volta?
Che sia la prima o la decima volta poco cambia. Quando si sale sul tee della 1 il venerdì mattina l’adrenalina e la tensione sono sempre le stesse. Ai miei ragazzi voglio solo dire di godersi appieno quel momento perché questa esperienza non ha nulla a che vedere con nessun torneo del PGA Tour.
Arrivate da una vittoria schiacciante a Whistling Straits. Cosa si aspetta da questa edizione?
Si riparte da zero, si resetta tutto quello che è stato perché c’è una nuova sfida da affrontare con nuovi giocatori, un percorso diverso e nuovi avversari da affrontare. L’unica costante è la voglia di vincere e di far divertire il pubblico.
Ha avuto modo di vedere il Marco Simone in anteprima nell’ottobre scorso. Cosa pensa di questo tracciato?
Il percorso è sicuramente un bel banco di prova per tutti, ci sono diversi colpi da interpretare e ostacoli da affrontare con tanta testa e astuzia, non basta tirare forte. Il contesto e il disegno sono perfettamente integrati, le aree circostanti e le insenature naturali rendono il Marco Simone il campo perfetto per ospitare la Ryder Cup.
Le sue sei scelte sono dipese anche dal tipo di percorso sul quale si svolgerà la sfida?
Assolutamente no. Sono i giocatori che si devono adattare al Marco Simone e non il contrario, sono loro che con il loro talento e capacità tecniche interpreteranno il tracciato e lo plasmeranno sul loro gioco.
Come descriverebbe in pochi semplici punti i suoi 12 giocatori?
Partiamo da Scheffler, beh, cosa aggiungere sul talento del numero uno del mondo?
Clark e Harman, i primi due rookie del gruppo, sono energia e una bella ventata di freschezza. Cantlay, consistenza allo stato puro, Homa carattere di ferro e uomo di squadra. Schauffele è la consistenza, un giocatore sul quale si può sempre contare.
Poi arriviamo alle mie sei wild card: Burns, ottimo gioco intorno al green e carattere perfetto per i match-play. Fowler, un bel ritorno, un grande uomo di spogliatoio e amico di tutti che si è conquistato meritatamente il posto lavorando duramente in questi ultimi due anni.
Koepka, major champion quest’anno, in Ryder Cup ha vinto tutti i suoi match singoli e darà un importante apporto alla squadra. Morikawa, giovane dal talento smisurato e dalla forte personalità. Spieth, ottimo giocatore di match-play dal grande cuore e Thomas, uno dei più forti talenti sul PGA Tour, vero uomo di Ryder che sa divertire e divertirsi mettendo tutto se stesso appena sale sul tee della 1.
C’è una parola chiave che in breve riassume la sua squadra?
Cameratismo e spirito di squadra.
In campo non ci saranno dodici giocatori ma un’unica entità che insieme sarà in grado di far fronte alle difficoltà che si presenteranno. Il mio lavoro principale sarà quello di creare quella chimica perfetta tra tutti, staff e caddie inclusi.
A Roma saremo una grande famiglia, nessuno sarà lasciato indietro e in disparte perché tutti faranno la loro parte per rendere questa esperienza la più bella ed esaltate mai provata prima.