Birdie & Brain, questa la formula vincente di Virginia Elena Carta. Tanto golf sì, ma anche tanto cervello, studio, intraprendenza e costanza, ingredienti da sempre alla base della sua formazione.
Terminati gli studi in Italia, ben 27 università americane le avevano offerto una borsa di studio completa e tra tutte la sua scelta è ricaduta sulla Duke University.
Quindi una laurea in Scienze ambientali e politiche dell’ambiente negli Stati Uniti, il premio come miglior laureanda del suo corso di studi, un master a Cambridge, una delle più rinomate università del mondo, colonna portante della Nazionale Italiana Femminile e delle “Blue Devils”, squadra della Duke.
Nel palmarès da dilettante si annoverano titoli sia individuali che a squadre e l’invito niente meno che alla Casa Bianca nel novembre del 2019 per celebrare la vittoria dell’NCAA Division I Women’s Golf Championship, il più importante campionato nazionale universitario americano.
Poi, nel 2021, il passaggio al professionismo e una vita sempre con la valigia in mano tra voli aerei, jet-leg e tornei. In aggiunta a tutto ciò, un lavoro come consulente per una multinazionale.
Parto con il dire che sono già stanca anche solo ad elencare tutto quello che fai. Ti bastano 24 ore in una giornata?
A fatica. Diciamo che mi tengo parecchio occupata e i momenti liberi li passo a fare lavatrici, valigie e progetti lavorativi.
Ho la fortuna di avere due grandi passioni e di riuscire a portarle avanti entrambe: il golf e mettere in pratica quello per cui ho studiato.
Ecco, iniziamo da qui. Oltre ai tuoi impegni come giocatrice del Ladies European Tour, lavori anche per un’azienda?
Sì, nel 2020 a causa della Pandemia si era congelato tutto e a fine dicembre non avevo avuto la possibilità di andare a fare la Qualifying School, così ho iniziato una consulenza per un’importante multinazionale inglese, attività che porto avanti tutt’ora.
Avere un piano B è molto importante perché, intanto mi permette di pagare parte delle mie spese sul Ladies European Tour, in più ritengo sia basilare lasciarsi sempre una porta aperta e mai fossilizzarsi su un unico obiettivo.
Nel golf, si sa, nonostante il duro lavoro quotidiano, spesso può accadere che i risultati non arrivino nell’immediato.
Com’è iniziata la tua storia con il golf, è stato amore a prima vista?
Non è stato un colpo di fulmine. Mi sono avvicinata grazie a mia mamma che fin da piccola mi portava con sé al circolo.
Peccato che odiasse la competizione e quindi il weekend, sia in estate o in inverno, venivo tirata giù dal letto all’alba perché andava a giocare prima dell’inizio delle gare.
Ammetto che ero molto più interessata ai laghetti e alla natura circostante che al suo gioco. Ho sempre praticato tantissimi sport a partire dal basket, mio primo amore, la vela e la scherma.
Poi, verso i nove anni, mi sono decisa a prendere in mano i primi ferri fino a quando il fato ha deciso per me.
Mi sono rotta il legamento della caviglia durante una partita di basket che avrebbe decretato il mio ingresso in un’importante squadra e da lì la decisione di smettere e di dedicarmi esclusivamente al golf.
Nelle ultime quattro gare tra la fine di settembre e inizio di ottobre hai conquistato quattro Top 10. Cosa ti ha fatto fare questo salto di qualità?
Non c’è stato nessun vero cambiamento né tecnico né mentale. Da anni lavoro sodo senza però ottenere i risultati sperati.
Sicuramente il mio grande tallone d’Achille è sempre stato il putt nonostante un gioco lungo veramente solido.
Quest’anno con le statistiche che ho nell’accuratezza sui colpi al green (è prima sul LET alla voce Total Approach Strokes Gained), il problema si dilata.
Quindi, direi che c’è stato una sorta di “click” nel mio cervello che aspettavo da tempo e potrei aver trovato la chiave di volta sul green.
In più, altra grande novità, è la mia una nuova caddie, Becky Brewerton, ex giocatrice del LET con due Solheim Cup alle spalle, una delle quali giocata con Diana Luna.
Tanta esperienza, da cui si può solo che imparare.
Quanto è importante il ruolo del caddie per voi giocatrici?
Secondo me il caddie deve andare a completare il giocatore, la sua figura deve essere fittata perfettamente su di te.
La mia fortuna è che la Brewerton è una proette, ha giocato sul Tour e sa benissimo come comportarsi e quali sono i limiti entro i quali restare.
Prima di scendere in campo la prima volta abbiamo definito di cosa ho bisogno.
Sul gioco lungo la decisione del colpo, la scelta del ferro e la strategia è mia, a meno che non ci siano condizioni particolari come di forte vento, dove entrano in gioco altri fattori.
Insieme lavoriamo invece molto sulla lettura dei green e sull’approccio mentale. Uno dei miei problemi è quello di mantenere la lucidità, di andare alla buca successiva dimenticandomi gli errori precedenti, soprattutto quando si tratta dei tre putt.
Mi reputo estremamente fortunata perché, nel complesso, è sempre difficile trovare sul LET persone valide perché troppo sottopagate e questo a causa dei montepremi non alti abbastanza per permettersi, ad esempio, caddie di altissimo livello.
Qui entriamo in un campo minato… golf femminile uguale poco interesse e, soprattutto, poca visibilità?
Esatto. Pensa che dopo questi ultimi buoni piazzamenti ho ricevuto tantissimi messaggi da persone in ogni parte del mondo che mi avevano vista in televisione.
In Italia lo zero assoluto. La gente non sa che esistiamo, che ci sono ragazze sul massimo circuito europeo e che spesso sono in contention per la vittoria.
Manca la conoscenza oltre che l’interesse a far vedere qualcosa che vada oltre il golf professionistico maschile.
Una curiosità, sei praticamente l’unica proette che gioca sempre con occhiali e non mette le lenti a contatto? C’è un motivo specifico, non è di una scomodità inaudita?
Ormai sono abituata (ride). Ho capito di essere parecchio accecata nel 2019 durante una lezione alla Duke University, ma vedendoci poco solo da un occhio le lenti mi creavano più problemi che benefici quindi, unica soluzione, è indossare gli occhiali.
Ormai ho una routine di gestione in campo bella collaudata anche quando si appannano.
Nel 2019 sei stata invitata con la tua squadra della Duke University alla Casa Bianca dall’allora presidente Donald Trump. Com’è stato varcare quel portone?
Che dire, è stata un’esperienza incredibile. La Casa Bianca rappresenta il popolo americano nel suo insieme e non esclusivamente la persona che, in quel momento, siede nello Studio Ovale.
Figurati che Trump pensava fossimo la squadra di bowling quindi diciamo che ci ha dato poca considerazione. Però ho un aneddoto niente male da raccontare.
Durante la visita alle varie stanze, ero in testa al mio gruppo e non so come ma ci siamo praticamente persi per i corridoi.
Ho deciso quindi di imboccare delle scale pensando di trovare una possibile uscita.
Bene, siamo stati letteralmente braccati dalla sicurezza modello film hollywoodiano perché stavamo per accedere alla Situation Room, centro di gestione dell’Intelligence. La visita alla White House stava per trasformarsi in tragedia.
Lo sport in generale e, nel nostro piccolo il golf, è spesso una grande lezione di vita. Cosa diresti alla Virginia ragazzina che si sta avvicinando in questo mondo?
La metterei in allerta. Ho approcciato sempre il golf da punto di vista un po’ naif, tutto rosa e fiori, basato sull’etica, sull’agonismo e sullo spirito di squadra dimenticandomi che, invece, dietro tutto ciò c’è molto altro.
Bisogna aprire gli occhi sulla realtà e capire che il mondo professionistico è individuale ed estremamente solitario.
Bisogna essere forti, grintosi e determinati e prendere tutto ciò che arriva a prescindere dai risultati raggiunti altrimenti non ce la si fa.
La nostra è sicuramente una vita di sacrifici, si è sempre sotto la lente di ingrandimento e sono tutti pronti a puntarti il dito contro.
Poi però, c’è l’altro rovescio della medaglia. Il golf è, a mio avviso, lo sport che, più di qualunque altro, dà le più grandi soddisfazioni.
Quindi, alla me bambina direi di tenere sì gli occhi ben aperti ma anche di sognare, di fare di tutto per arrivare a giocare sul Tour e di prendersi ogni soddisfazione che la vita è in grado di offrirti.