Dopo tre partecipazioni in Ryder Cup e sei titoli sul PGA Tour in 453 gare, nel luglio del 2021 Hunter Mahan ha deciso di smettere.

Il motivo? Troppa pressione e la voglia di dedicarsi ad altro.

La carriera di Hunter Mahan

Nato il 17 maggio del 1982 a Orange, in California, Hunter Myles Mahan è passato professionista nel 2003 attraverso la Qualifying School per poi acquisire lo status di membro del PGA Tour nel 2004.

In carriera ha guadagnato oltre trenta milioni di dollari con le sole vincite. Tra le sue vittorie più importanti ricordiamo quella del 2010 nel World Golf Championship-Bridgestone Invitational e quella del 2012, in occasione sempre di un WGC, l’Accenture Match Play Championship, in cui superò per 2 a 1 Rory McIlroy in finale.

Nello stesso torneo nel 2013 riuscì a raggiungere ancora una volta il match per il titolo, perdendo contro Matt Kuchar per 2 a 1.

Il primo successo arrivò invece al Travelers Championship nel 2007, seguito dal Phoenix Open nel 2010, Shell Houston Open nel 2012 e Barclays nel 2014. 

Le sue statistiche recitano: 286 tagli su 453 tornei disputati, sette volte runner up, un terzo posto, 26 Top Five e 57 Top Ten.

Ha trascorso 19 settimane consecutive tra i primi dieci del World Ranking, raggiungendo la quarta posizione come risultato migliore il 1° aprile 2012.

Ha partecipato a tre edizioni della Ryder Cup, con una vittoria e due sconfitte a livello di team, e a quattro della Presidents.

L’inizio della crisi per Hunter Mahan

I problemi con il suo gioco iniziano a partire dalla stagione 2015-16 del PGA Tour.

Nei quattro anni successivi chiude 183°, 130°, 159° e 184° nella FedEx Cup ed è costretto a partecipare alle Korn Ferry Tour Finals in diverse occasioni per cercare di mantenere la carta.

Tra il 2015-16 e il 2020-21 ottiene un solo piazzamento tra i Top 10 sul PGA Tour con ben 69 tagli mancati. 

Ad aprile del 2021 Mahan era precipitato al 1.738° posto del World Ranking.

Lo stesso anno decide sorprendentemente di abbandonare il PGA Tour e il golf professionistico a soli 39 anni.

Il motivo? “Ero esaurito” ha dichiarato.

Da allora si è trasferito con la famiglia in un sobborgo del Texas, dove ha assunto l’incarico di coach della squadra di golf maschile della Liberty Christian, una piccola scuola privata della zona.

In una recente intervista rilasciata a Bunkered, Mahan ha spiegato il motivo del suo ritiro dalla scena golfistica.

Le parole di Hunter Mahan

“Il golf è una fatica che dura sette giorni su sette, sia a casa che in viaggio. Ho raggiunto il mio limite ed era ora di andare avanti.

Non ho mai pensato di rimanere tutta la vita sul tour e non ero ossessionato dal gioco come altri colleghi. C’è qualcuno di loro che gioca anche mentre dorme, ci pensano tutto il tempo e provano gioia nel farlo. Per me era soltanto un lavoro.

Ovviamente mi sono divertito, e parecchio, ma una volta che ho deciso di smettere, svegliandomi ogni giorno nello stesso letto e prendendomi cura dei miei bambini, ho cambiato completamente ritmo e ne sono molto felice.

Non puoi presentarti il mercoledì e giocare a golf da professionista se non sei assolutamente concentrato su quello che stai facendo. C’è una competizione enorme e tanti grandi giocatori con cui confrontarsi. Se non ci si impegna totalmente si rischia di logorarsi. È lì che ho capito che dovevo smettere.

Qualche anno fa avevo ancora alcuni tornei da disputare ma non ne potevo più. Il gioco e la fatica si erano impadroniti della mia vita in modo negativo e ho dovuto allontanarmi. Ho amato il golf, ma la vita da professionista è un’altra cosa. Richiedeva un livello esagerato di stress”.

Ansia e stress erano diventati troppo forti

Mahan, che ha raggiunto il quarto posto nella classifica del golf mondiale, ha spiegato che la pressione di dover competere ha avuto ripercussioni anche sulla sua salute mentale.

“Ero diventato troppo ansioso. Quando senti davvero l’ansia, è come se dicessi: ‘Non posso stare in un’altra stanza d’albergo, mi sento soffocare ed è come se non riuscissi a muovermi e pensare’. Mi ero stancato di trovarmi ogni volta nella stessa situazione. Pensavo: ‘Devo andarmene da qui’. Ed è quello che ho letteralmente fatto. Ero a Truckee e non riuscivo nemmeno ad arrivare al campo. 

Mi sono detto, andiamo a casa. Non potevo colpire un’altra palla. Non si può mai sapere quando arriva il momento di cambiare, ma se è qualcosa che senti davvero dentro lo devi accettare e andare avanti. Non ne potevo più. 

Non volevo più farlo. Ho 42 anni e sono ancora giovane, quattro figli ancora piccoli e tante cose da fare con loro. Non voglio che vivano la mia vita, voglio far parte della loro”.

Cosa ci lascia la storia di Hunter Mahan?

La storia di Hunter Mahan fa sicuramente riflettere e ci porta inesorabilmente alla tragica scomparsa di Grayson Murray il 25 maggio scorso.

La morte di Murray ha scosso il mondo del golf.

Il giovane pro americano quella mattina di maggio ha deciso di togliersi improvvisamente la vita dopo essersi ritirato il giorno precedente alla buca 16 del Charles Schwab Challenge, adducendo a un malessere fisico. 

Da anni Murray soffriva invece di una forte depressione e abusava di alcol, anche se la sua vittoria di inizio anno nel Sony Open aveva lasciato spiragli per un miglioramento psicofisico del giovane atleta.

Impossibile dire cosa sia passato per la testa e abbia sconvolto il cuore di un ragazzo di appena trent’anni, cosa gli abbia fatto annullare l’istinto di sopravvivenza che ci tiene attaccati alla vita. 

E mentre lui aveva già imboccato una strada senza ritorno nessuno si era veramente accorto del dramma che stava vivendo.

L’importanza della salute mentale nel professionismo

Quel che è certo che fino ad oggi si è sempre dato poco spazio e importanza alla salute mentale dei giocatori e agli sportivi in generale. Tutti noi li vediamo come supereroi milionari e felici, senza pensare che anche loro nel profondo possono convivere con dubbi, debolezze e fragilità come ogni essere umano. 

Per fortuna nell’ultimo periodo si sta dando sempre più importanza a questo problema anche nel mondo dello sport professionistico.

La vita di un golfista del tour non è sempre rose e fiori come può apparire.

Di media i giocatori trascorrono dalle 23 alle 35 settimane all’anno lontano da casa e dai loro cari. Molti hanno una famiglia, dei figli anche piccoli, con tutte le difficoltà annesse e connesse causate dalla lontananza e dalle questioni logistiche. 

Poi entra in gioco l’aspetto mentale. Negli ultimi anni numerosi professionisti si stanno facendo aiutare dai mental coach che, oltre ad approfondire tutto ciò che riguarda il gioco, pongono l’attenzione e lavorano anche su quello che può derivare da una vita solitaria vissuta fuori casa per buona parte dell’anno. 

In quei momenti bisogna essere forti e mantenere il sangue freddo, lavorando e facendo tutto il possibile per mantenere lucidità e concentrazione seguendo il proprio percorso, senza lasciarsi sopraffare da pensieri negativi, frustrazione e depressione. 

Mahan prima di ritirarsi ha avuto il merito di capire che, per il suo bene e per quello della sua famiglia, non poteva più continuare. Purtroppo Grayson Murray questa fortuna non l’ha avuta.