Basta solo la parola: Pebble Beach. È una delle icone mondiali del golf, il campo dove qualsiasi appassionato vorrebbe giocarci almeno una volta nella vita.
Sede di cinque US Open e di un PGA Championship, sui suoi leggendari fairway sono passati e hanno vinto tutti i più grandi della storia di questo sport.
Oggi e domani vi raccontiamo le sue spettacolari 18 buche, teatro, da giovedì 13 giugno, del major americano più antico.
BUCHE 1 – 2 -3
Le prime tre buche non sembrano così impegnative ma è solo un’illusione.
È vero che alla 1 (par 4 di 347 metri) basta non tagliare l’angolo per non correre troppi rischi, ma il calanco che attraversa la 2 (par 5 di 471 metri) e la 3 (par 4 di 369 metri) e il festuca che contorna i bunker costarono a Dustin Jonhson la prima posizione nel round finale dell’U.S. Open 2010 con un triplo bogey e di uguale misura penalizzarono Tiger Woods nel 2000.
BUCA 4
La 4 (par 4 di 302 metri) si srotola tra il mare e una lunga serie di bunker sulla sinistra, per non parlare di quelli intorno al green. Eppure qui Jack Nicklaus nel U.S. Amateur del ’61 fece birdie per due volte di fila e nel 2010 Johnson realizzò un eagle al terzo round.
BUCA 5
La 5 è uno dei più difficili par 3 (178 metri) di tutto il circuito PGA e persino Jack Nicklaus che la disegnò nel ’98 dovette cedere un bogey nell’U.S. Open del 2000. Il piccolo gioiello che si affaccia dalle scogliere che sovrastano la baia di Stillwater Cove mette a dura prova il coraggio e la concentrazione di ogni giocatore, anche perché dal suo green in poi si gioca sulla “arrowhead”, la “punta di freccia” che si slancia nell’oceano con le successive tre buche in un capolavoro di estetica, sapienza tecnica e meraviglia naturale. E qui uno sguardo alle onde può offrire regali inaspettati perché sono frequenti gli avvistamenti di cetacei più o meno grandi.
BUCA 6
La 6 (par 5 di 478 metri) va gestita con linee ben dritte e attenzione ai bunker sulla sinistra. Facile a dirsi… A meno che non siate il Tiger Wood che nel 2000 fece sbottare Roger Malbie, commentatore NBC, in un: “Non è proprio una competizione leale.”Tiger eseguì un approccio cieco di 187 metri a salire al green, con un ferro 7, da un rough alto 16 cm e dietro a un albero di 6 metri.
BUCA 7
La 7 è il par 3 (99 metri) più corto di tutto il circuito PGA. Sam Snead preferì ottenere il par con 3 putt invece di tirare nel vento e Eddie Merrins fece hole in one al Bing Crosby Championship del ’65 con un ferro 3. Ma è davvero incantevole e chi riesce a non farsi un selfie qui è stoico oltre ogni misura.
BUCHE 8-9
Due par 4 della 8 (391 metri), della 9 (452 metri) tra le buche più difficili di tutto il campo. Sul primo il vento la fa da padrone e occorre arrivare al green, in forte pendenza, volando sopra scogli e spiaggia. Sul secondo il par è possibile solo eseguendo linee perfette.
BUCHE 10-11
La 10 (par 4 di 452 metri) si gioca lungo il profilo della scogliera che continua a regalare immagini da sogno. Dalla 10 alla 11 (par 4 di 356 metri) dove inizia il lungo ritorno verso la clubhouse e con il vento e le forti pendenze dei green che ne costituiscono le principali difficoltà.
BUCA 12-13
La 12 (par 3 di 184 metri) i cui profondi bunker sfalsati davanti al green danno una prospettiva errata della distanza e ne fanno quello che oggi è considerato il par 3 più difficile di tutto il Tour PGA. Infine la 13 che con i suoi 406 metri (par 4) tutti in salita è più lungo di quanto dichiari la card e in aggiunta possiede il green con la superficie più veloce di tutto il campo.
BUCA 14
La 14 (par 5 di 530 metri) è un enigma. Il suo dogleg a destra è difeso soltanto da alcuni bunker ma l’handicap sulla card è 1. E infatti Phil Mickelson una volta segnò 11, Arnold Palmer 9 e si contano altre quattro vittime con lo stesso score all’AT&T Pebble Beach Pro-Am del 2010.
BUCA 15
La 15 (par 4 di 363 metri) ridà un po’ di fiato e se si seguono alla lettera i consigli del caddie il par è alla portata. Forse è per questa ragione che nel 2000 alla AT&T Pebble Beach Pro-Am, Tiger Wood fece un eagle che passò alla storia.
BUCA 16
Con la 16 (par 4 di 368 metri) ci si riavvicina all’Oceano giocando normalmente contro il vento e ancora una volta occorre trovare il giusto equilibrio tra forza e ragione, passando sopra e oltre il bunker centrale ma evitando di tagliare il dogleg sulla destra.
BUCA 17
Dalla 17 (par 3 di 190 metri) si ritorna all’estremità occidentale di Stillwater Cove. Ma qui si è alla fine del percorso, il luogo delle imprese grandi o disperate. Nel primo Open del ’72 Nicklaus rimontò Watson con un chip che sbatté sull’asta della bandierina e poi si imbucò per il birdie, e Watson rispose con un altro birdie altrettanto difficile vincendo poi il torneo. Qui Arnold Palmer distrusse la sua leadership nella Pro-Am del ’64 quando la sua pallina finì tra le rocce e l’acqua della battigia, e lui si ostinò a giocarla fino segnare 9 sulla card, scoprendo poi che il barman della Tap Room, il grill bar della clubhouse, aveva inventato un nuovo cocktail: il “Palmer on the Rocks.”
BUCA 18
La 18 (par 5 di 486 metri) è il coronamento di tutta la bellezza sparsa a piene mani sul campo. Arnold Palmer le ha conferito il proprio stile: un ampio arco che giunge fin sotto la clubhouse, con il mare a sinistra e un fortino di bunker a destra a catturare l’arrivo del drive, poi altri bunker a sinistra per impegnare il secondo colpo e infine due alberi accanto al green.
Le sono state dedicate innumerevoli parole e quelle di Tiger Woods non sono assolutamente esagerate:
“Pebble Beach ha probabilmente la più storica e pittoresca 18abuca. Chiunque veda una foto presa dal tee e lungo tutta la buca, sa che cosa sia. Gente che non ha mai giocato a Pebble Beach sa cos’è”.
Ed è per tutti questi motivi che è unanimemente considerata la miglior buca finale nel golf.