Sulle buche ondulate del Muirfield Village, si è consumato un nuovo dramma. La striscia di pessimi ricordi, difficili da cancellare, si sta davvero allungando troppo.
Ormai il mito dell’invincibile Tiger è un ricordo lontano, ma tutti quelli che si sono esaltati alle sue imprese, innamorandosi del golf grazie a lui, non vogliono credere che quella cui stiamo assistendo sia una mesta passeggiata sul Sunset Boulevard, sul viale del tramonto. I numeri però sembrerebbero lasciare poco spazio a speranze. Esaminiamoli insieme.
L’ultimo piazzamento nei primi dieci risale all’8 dicembre 2013, con il posto d’onore nel Northwestern Mutual World Challenge. Da allora Woods è riuscito una sola volta a chiudere un torneo sotto par (Masters 2015, -5). Nelle 13 apparizioni in campo su 19 mesi, il ruolino di marcia recita due 17.i posti, cinque piazzamenti oltre il 25°, tre tagli e altrettanti ritiri. Dal primo posto nel World Golf Ranking del 17 maggio 2014 (era la 60.a settimana consecutiva sulle sue 683 complessive, record assoluto) Tiger è franato oggi al 181°.
Ma quello che spaventa di più sono gli errori in campo, gravissimi con driver e legno 3 dal tee, seguiti a volte anche da vuoti di memoria attorno al green. In quello che era il suo punto di forza, approccio e putt, Woods commette errori da vero principiante, come quelli che lo hanno portato a fondo negli ultimi score. Difficile assorbire un 82 come quello rimediato a gennaio nel Waste Managemement o addirittura l’85 di sabato scorso al Memorial, peggiore giro in carriera, per un totale di 302 colpi nel torneo, +14 rispetto al par.
Abbiamo girato in lungo e in largo giornali e portali golfistici americani, per capire cosa ne pensano oltreoceano di questa sempre più pericolosa discesa di Tiger nelle sabbie mobili dello scoramento. Ne sono venute fuori alcune tesi interessanti sui complessi motivi che possono aver portato a questa situazione, che pare senza via d’uscita. Ve li proponiamo in ordine sparso. A voi la scelta di quale sia la più corretta.
Il fisico – Woods ha solo 39 anni e quindi – sulla carta – parecchio tempo davanti a sé, visto ad esempio che l’attuale numero tre mondiale è il sempreverde Jim Furyk, che ne ha da poco compiuti 45. Ma Tiger ha alle spalle operazioni multiple, al ginocchio e alla schiena. E anche il suo esasperato lavoro in campo pratica può avergli logorato il fisico. Inoltre, potrebbe non essere più in grado di sopportare quei carichi di lavoro che gli erano indispensabili nei momenti d’oro della carriera.
Lo swing – Tiger dichiara di essere in un momento di transizione fra il suo vecchio movimento e quello che sta cercando di mettere a punto con la collaborazione di Chris Como. Diceva di essersi sentito molto bene giovedì scorso, quando ha resistito alla tentazione di tornare all’antico dopo le prime brutte nove buche. Un buon 33 che gli ha salvato il giro, chiuso comunque in 73 colpi quando gli altri score sono stati molto bassi. Poi è arrivato il sabato nero, con l’85 da record negativo.
Il gioco dal tee – È il suo evidentissimo tallone d’Achille. Le ultime statistiche gli accreditano un 48% di drive in pista (44 nell’ultimo Memorial), quando la media PGA viaggia attorno al 70 e il nostro Chicco Molinari è addirittura lievitato sopra il 90 nell’ultimo torneo che gli ha consegnato un fantastico terzo posto, a casa di Jack Nicklaus. Conseguenza inevitabile, statistiche scarse anche nei green in regulation, un buon 15 per cento peggio della media. C’è chi dice che Tiger si sta allenando moltissimo durante i tornei per venirne a capo, ma altri oppongono il fatto che invece si dedichi poco ai compiti a casa. La prova sarebbero gli approcci sbagliati in modo puerile, segno di scarsa pratica e ridotta sensibilità.
Sindrome da swing – Sono in molti a sostenere che la esasperata ricerca di un movimento perfetto stia creando non pochi problemi alla sua centrale di controllo. Dopo essersi forzato forzato a costanti cambi di impostazione con Butch Harmon, Hank Haney, Sean Foley e Chris Como, ora nel cervello potrebbe avere un gran numero di pensieri sullo swing che rischiano di collidere. Lui sostiene che si tratti di un processo in evoluzione, ma la realtà è che a un certo punto questi cambiamenti hanno smesso di funzionare. E accanto ai troppi pensieri, anche i suoi muscoli hanno memorizzato un numero forse eccessivo di messaggi.
I problemi personali – Difficile non pensare che tutto ciò che è successo nella sua vita, dalla morte del padre-allenatore alla traumatica separazione dalla moglie, dagli scandali a sfondo sessuale alla nuova recente rottura del rapporto con Lindsey Vonn, non abbiano inciso sul suo gioco. Se torniamo indietro nel tempo, dopo le vicende che poi hanno portato al divorzio Tiger non è più stato lo stesso. C’è l’ultima bella parentesi, quella delle cinque vittorie del 2013, ma nei major che erano il suo vero obiettivo, Woods è sempre caduto o crollato nel weekend decisivo.
Il passare del tempo – Chi avesse sostenuto, nell’ormai lontano 2008, che lo U.S. Open sarebbe stato l’ultimo major da appuntare nel palmarès di Woods, sarebbe stato preso per matto. E invece, come aveva profetizzato il buon Earl dopo la vittoria nello U.S. Amateur a Newport (“Mio figlio vincerà 14 major”), Tiger si è fermato a Torrey Pines. Dicevamo prima che in fondo ha solo 39 anni ma, a parte l’eccezione degli ultralongevi Jack Nicklaus e Gary Player, anche i più grandi campioni hanno concentrato i maggiori successi nell’arco di 8/10 anni. E Tiger, dal 1996 al 2008, ha già raggiunto quota 13. Più gli ormai sette anni dall’ultimo major a oggi. Parafrasando Voltaire, il tempo sarà anche galantuomo, ma raramente lo è con gli sportivi. In bocca al lupo, Tigre.