In quest’ultimo decennio l’età media del passaggio al professionismo si è notevolmente abbassata in tutti gli sport.
Nel golf questo fenomeno mette di fronte a un bivio la maggior parte dei buoni dilettanti europei già a partire dal quarto anno di liceo, momento nel quale devono iniziare a prendere delle decisioni importanti sul loro futuro di studenti/golfisti.
Tanti sono i dubbi che tormentano i nostri ragazzi e di conseguenza anche le loro famiglie:
- Cerco una borsa di studio per gli Usa?
- Passo pro e inizio la mia carriera partendo dall’Alps Tour?
- Faccio ancora un anno nella nazionale dilettanti e mi preparo bene al passaggio al professionismo?
- Mi iscrivo a un’università italiana e dopo la laurea tenterò la carriera da Tour pro?
In effetti, più alternative ci sono più dubbi si possono avere.
Cominciamo quindi con il chiarire le cause principali di questi dubbi e il motivo per il quale i migliori giocatori europei avvertano, ormai da molti anni, la necessità di andare negli Stati Uniti a studiare e gareggiare.
Semplice, perché in Europa, ancora oggi a più di 40 anni dalla nascita dei programmi sportivi delle università statunitensi, non esiste nessuno tipo di organizzazione che permetta a un giocatore di golf di continuare a studiare, usufruendo di alcune agevolazioni, e nel frattempo di competere e misurarsi con i migliori dilettanti al mondo. Il nostro continente in questi ultimi decenni ha davvero dormito sotto questo punto di vista.
Rappresentata dall’European Tour e dalle varie Federazioni e PGA locali, non ha mai lavorato e collaborato al fine di organizzare un progetto che potesse risolvere questa problematica.
Non lamentiamoci quindi se, una volta finiti gli studi universitari, i nostri migliori giocatori passano al professionismo e restano a giocare negli Stati Uniti, indebolendo i nostri circuiti che rimangono di conseguenza orfani di fenomeni come Jon Rahm.
Emblematico è vedere come nelle classifiche in USA appaia, vicino al nome del giocatore, lo stemma dell’università che ha frequentato, mentre in Europa compare solo il tipo di palla che gioca.
In Italia poi la situazione è davvero drammatica: lo sportivo nelle scuole è addirittura molto spesso mal visto e ostacolato.
In molti paesi stranieri, quando pratichi uno sport ad alto livello agonistico, sei considerato un esempio, un’eccellenza, una persona che sa rispettare le regole, in poche parole un vincente.
Da noi, quando dedichi troppo tempo allo sport, sembra invece che tu stia cercando delle facili scorciatoie nella vita e vieni subito etichettato come il ragazzo che non ha voglia di studiare.
Si parla molto di quanto faccia bene lo sport ai giovani, sia dal punto di vista fisico che mentale, del fatto che gli atleti abbiano più possibilità di stare alla larga dai pericoli e dalle insane tentazioni della vita odierna. Si parla, si parla e si parla: tante parole, tante buone intenzioni.
In realtà dagli anni 80 non è cambiato nulla o, per lo meno, molto poco.
Se poi lo sport in questione è il golf, apriti cielo. Inutile negarlo, essendo ancor oggi considerato uno sport d’élite, non è proprio ben visto dalla classe dirigente scolastica.
In Italia ci sono ancora troppi luoghi comuni e tanta ignoranza nei riguardi della nostra disciplina e dello sport in generale.
Le conseguenze di questa visione distorta dello sport causano sempre di più una scarsa istruzione di parecchi atleti, costretti a scappare dalle scuole convenzionali per approdare in quelle da emarginati sociali, dove spesso si viene a contatto con ragazzi senza obbiettivi, parcheggiati lì per convenienza.
In tanti possono ora ribattere dicendo: ma cosa dici? Ci sono i licei sportivi in Italia!
Sì pochi, ma senza dubbio un’ottima alternativa per chi vuole fare dello sport in generale.
Peccato che non ti agevolino nell’unica cosa della quale hai bisogno, la pratica del tuo sport, e devi al contrario seguire il protocollo di tutti gli altri normali studenti, allenandoti in differenti discipline che, oltre a servire poco alla tua causa, possono anche causarti infortuni.
Può essere utile logisticamente fare preparazione atletica tutti insieme ma quando vai nello specifico ogni studente dovrebbe essere favorito nella pratica del proprio sport.
Che utilità può avere obbligare un golfista a fare un mese di rugby?
Potrei capirlo alle Elementari o alle Medie: sono più che convinto che ogni sport che pratichi ti possa regalare qualcosa di positivo nella fase dello sviluppo fisico, soprattutto a livello di conoscenza del proprio corpo, ma sono anche convinto che al giorno d’oggi, dai 15 anni in poi, se vuoi fare il professionista “non c’è più tempo per perdere tempo”!
L’unica novità degli ultimi anni è il progetto scuola del Miur, che si pone fra i tanti obbiettivi quello di diffondere una corretta cultura dello Sport e quello di contrastare l’abbandono scolastico.
Uno strumento che dovrebbe quindi agevolare gli studenti sportivi di alto livello, dando loro la possibilità di giustificare le proprie assenze, dovute a competizioni, e di poter programmare le interrogazioni.
Indubbiamente un bel passo avanti, ma c’è poco da vantarsi: si sono persi troppi anni in tal senso ed era quindi ora che si iniziasse a ragionare in questa direzione.
Purtroppo al momento anche quest’ottima iniziativa viene gestita in maniera diversa da Istituto a Istituto.
C’è chi la applica, chi la rifiuta e chi non ne rispetta i principi fondamentali, declassando il progetto a una, non certo amata dai professori, giustificazione alle assenze.
Voglio essere positivo, diamogli del tempo!
Per lo meno i numeri dei ragazzi che hanno aderito nell’anno 2019/20 sono notevolmente aumentati.
Speriamo quindi che a poco a poco cresca anche il rispetto per gli atleti e la volontà di capire e accettare il fatto che lo sport occupa un ruolo fondamentale nella vita dei nostri giovani.
Detto questo, passiamo alla valutazione delle alternative post-Liceo.
Per chi nutre il desiderio di continuare a giocare ad alti livelli e di conseguire un diploma, l’unica alternativa valida è andare a studiare in Usa e competere nei team delle università.
Esaminiamo quindi le tempistiche e i vantaggi di questa ormai popolare scelta di vita.
Come fanno i ragazzi a mettersi in contatto con le università americane?
Il miglior biglietto da visita è come sempre il World Ranking del giocatore e i suoi risultati. I coach americani vengono spesso in Europa, presenziano ai tornei Under 18 più importanti e studiano i nostri ranking giovanili.
Si mettono poi in contatto con i ragazzi più interessanti, offrendo loro borse di studio che vanno dal 30% al 100% delle spese pagate, a seconda del valore del giocatore e dell’importanza dell’istituto.
Ci tengo a sottolineare che questa strada non è riservata solo ai giocatori di alto livello.
Esistono anche università di seconda divisione che offrono gli stessi benefit e privilegi, l’unica differenza sta soltanto in un field di qualità inferiore nelle gare alle quali parteciperai.
I lati positivi della scelta Usa sono tanti: si impara l’inglese perfettamente, si esce di casa abituandosi sia a badare a sé stessi che alla futura vita da pro, si guadagna un titolo di studio, ci si relaziona con ragazzi di nazioni e culture diverse, si viene a contatto con ottimi atleti di altri sport e ci si allena molto fisicamente.
Dal punto di vista golfistico si ha inoltre la possibilità praticare tutti i settori del gioco in centri di alto livello, con strumenti e palline di ottima qualità.
La maggior parte dei tornei vengono disputati su straordinari campi da Tour, in condizioni perfette e, se non bastasse, si impara anche a lottare ogni settimana per guadagnarsi un posto in squadra.
Direi quindi tutto positivo, a parte la distanza che divide da casa e il fatto che si avranno meno aiuti tecnici rispetto agli anni passati in Italia.
I coach delle squadre infatti molto spesso non sono neppure dei professionisti e si occupano quindi principalmente di organizzare gli studi e le trasferte.
In caso di difficoltà tecnica bisogna essere in grado di uscirne da soli o ci si deve appoggiare a un coach esterno, ma anche per questa necessità si ha il pieno aiuto dell’università di appartenenza.
Se la vostra intenzione è quella di passare professionista ma non vi sentite pronti tecnicamente e volete quindi migliorare, non dovete aver fretta: la scelta più corretta è quella rimanere in Italia e fare ancora uno o due anni nella Nazionale.
Finito il Liceo vi potrete concedere il classico ‘anno sabbatico’ che utilizzerete per allenarvi con costanza insieme al vostro coach, al fine di prepararvi bene al passaggio al professionismo.
Rimanendo dilettanti avrete anche i seguenti vantaggi: un fitto calendario gare che includerà fra l’altro quelle da pro sull’Alps Tour, la possibilità di andare all’estero a fare esperienze utili grazie al prezioso supporto della Fig e, non ultimo, la possibilità di frequentare i Corsi Tecnici Federali.
Insomma, questo periodo sarebbe proprio una sorta di messa a punto e collaudo della “macchina”, prima di schierarla sulla griglia di partenza.
Volete passare subito pro, vi sentite pronti e il mondo dei dilettanti vi sta ormai stretto perché avete già ottenuto le vostre soddisfazioni. In primo luogo, voglio mettervi in guardia: non pensiate che sia facile la vita da Tour Pro.
Non è tutto oro ciò che luccica.
Detto questo, se la vostra scelta fosse questa, rimanete in Italia e vi iscrivete alle costose e difficili qualifiche del Tour Europeo, cercando di guadagnarvi una possibilità di gioco per l’anno successivo e un posto in Nazionale Pro.
Un percorso molto impegnativo che dovrete affrontare nella migliore forma fisica e mentale.
Se non doveste riuscire a guadagnare una categoria sul Tour o sul Challenge, dovreste subito ripiegare sulle qualifiche dell’Alps Tour.
Questo circuito comincia più tardi degli altri e vi darebbe quindi anche la possibilità di allenarvi per 4-5 mesi prima di iniziare la stagione.
L’unica pecca dell’Alps è che si gioca spesso su campi non di primo livello, sia come disegno che come preparazione, con zone di allenamento di basso profilo. In questo modo farete davvero molta fatica a migliorare il vostro gioco.
Direi quindi che l’Alps va più considerato come un circuito di passaggio e non certo una “Way of living”.
Attenzione che, nel caso in cui le qualifiche non dovessero andare bene, non è consigliabile passare pro senza una categoria di gioco su un circuito professionistico.
Si rischierebbe di non avere alcuna opportunità di gioco e quindi di perdere un anno di competizioni, con il risultato che il vostro livello agonistico ne possa davvero risentire molto.