A poche ore dalla conclusione della Ryder Cup, abbiamo incontrato uno dei grandi protagonisti della vittoria europea, ambassador Tag Heuer con il Connected Calibre E4 Golf.
Trentadue anni, fisico non certo appariscente, look piuttosto anticonformista, un sorriso naturale contagiante e quell’innata pacatezza tutta British lo fanno sembrare più una stella hollywoodiana che uno dei golfisti più amati e celebrati di oggi.
L’apice del suo successo forse non lo ha ancora raggiunto ma non è un fattore che lo ha mai preoccupato più di tanto.
Moliwood
A noi italiani è entrato nel cuore quando cinque anni fa, a Parigi, diede vita con Francesco Molinari a una delle coppie più azzeccate e soprattutto vincenti della storia della Ryder Cup.
I Moliwood divenne nel giro di pochi minuti un marchio universalmente riconosciuto, e Tommy e Chicco, entrambi schivi e poco propensi alle luci dei riflettori, gli eroi quasi per caso portati in trionfo.
A Roma, cinque anni dopo, i due si sono ritrovati ancora fianco a fianco nello stesso team ma con ruoli diversi.
Tutti sappiamo com’è finita, con Fleetwood ancora una volta protagonista e autore del mezzo punto decisivo per il successo europeo, e Francesco a soffrire dentro le corde per poi godersi insieme l’emozione di un trionfo totale.
Il giorno dopo l’esultanza senza freni, le lacrime e i meritati festeggiamenti, l’appuntamento per Tommy era fissato all’Olgiata.
Ambassador TAG Heuer
Ad organizzare la speciale giornata TAG Heuer, maison svizzera che ha nel suo DNA la passione per lo sport e per lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia di cui il campione inglese è brand ambassador dal 2021 con il Connected Calibre E4 Golf, orologio capace di unire l’eleganza e la cura dei dettagli tipiche del marchio a funzionalità golfistiche di assoluta eccellenza.
Per i selezionati media l’occasione unica di partecipare a una golf clinic con una delle stelle della Ryder Cup, prendere parte a un divertente Par 3 Contest e commentare insieme a lui l’ennesima impresa del Team Europe contro gli eterni rivali americani.
Tommy, iniziamo dalla fine: a che ora sono terminati i festeggiamenti al Marco Simone?
Tardi, molto tardi, sull’orario no comment. È stato bellissimo, una gioia indescrivibile di tutti coloro che sono stati coinvolti, non solo noi giocatori. Questa è stata ancora una volta la dimostrazione della forza del gruppo.
Luke Donald e i vicecapitani sono stati impeccabili, abilissimi nell’assemblare una squadra vera, unita dentro e fuori dal campo, particolare che ha fatto come sempre la differenza.
È bello essere dalla parte giusta della storia, quella dei vincitori. Ma quello che mi porto dentro di questa fantastica esperienza è che abbiamo creato una vera e propria famiglia, e questo si è visto anche nei momenti di difficoltà, pochi a dire il vero.
È stata la tua terza partecipazione in Ryder: che giudizio dai a questa edizione italiana?
È stato fatto davvero un ottimo lavoro a livello organizzativo, giocare questo evento a Roma poi ha portato qualcosa di ancora più magico alla Ryder.
Il Marco Simone è un percorso molto bello, tecnico e spettacolare, ed è stato preparato in modo eccezionale. Sapevamo che le buche finali sarebbero state perfette per una formula come il match play e così è stato. Dalla 15 in avanti si sono vissuti momenti memorabili e drammatici.
E poi il pubblico: avere il tifo di casa in Ryder è un fattore molto importante perché ti trasmette una carica indescrivibile e a volte ti permette di andare oltre i tuoi limiti. Ed è stato fantastico.
Per noi è stato uno stimolo enorme vedere tutta quella gente entusiasta che si metteva in fila per un posto sulle tribune già dalle 4:30 del mattino. Volevamo ripagarli e ci siamo riusciti, questa è la gioia più grande. Poi la foto ufficiale sulla scalinata di Trinità dei Monti a Piazza di Spagna, la passeggiata tra le ali di folla in via Condotti, la cena di gala con vista sulla Città Eterna. Tutto ha avuto un sapore speciale, sono ricordi che porteremo dentro per il resto della nostra vita”.
Hai un rapporto speciale con Francesco Molinari sin dai tempi di Parigi. Questa volta non è sceso in campo ma ha avuto un ruolo comunque determinante.
Assolutamente sì. Personalmente Francesco è una delle persone a cui sono più legato fuori dal campo. È stato inoltre determinante nella mia crescita come giocatore di Ryder, da Parigi, che rappresentò il mio esordio, a oggi.
Quando devi performare in una situazione di enorme pressione come durante un match di Ryder avere al tuo fianco una persona che fa parte della tua comfort zone è molto importante, ti consente di mantenere quella giusta tranquillità che ti permette di prendere decisioni corrette e di eseguire i colpi che hai in mente.
Quest’anno non ci siamo visti molto in giro, avevamo programmi piuttosto diversi ma nella settimana di Roma siamo stati molto insieme, in compagnia delle nostre mogli Claire e Valentina, ritrovando quel feeling speciale che ci lega.
Lui è un grande giocatore, lo è ancora, questa volta è stato chiamato come vicecapitano e ha avuto il merito di svolgere il suo ruolo in maniera perfetta. La sua energia positiva e la sua calma hanno aiutato molto noi in campo, così come la sua ferrea voglia di vincere è stata un’ispirazione per tutti. Ma giocherà ancora in Ryder, ne sono convinto.
Parliamo di golf e statistiche. Quanto è importante avere al polso il TAG Heuer Connected Golf capace di analizzare in maniera capillare ogni parte del gioco?
Determinante direi. Che tu sia un professionista o un amateur, avere a disposizione così tante informazioni sul tuo gioco e le tue caratteristiche ti permette di prendere sempre la decisione corretta e, soprattutto, di lavorare sulle parti che vanno migliorate. I
o dico sempre che la cosa più importante è quella di sapere bene chi siamo, qualunque sia il nostro livello. Più elementi conosciamo del nostro gioco più siamo in grado di ottimizzarlo.
Tutti cerchiamo ogni giorno di migliorarci ma se conosci ogni singolo dettaglio di chi sei sul campo puoi farlo in maniera più sistematica e produttiva, raggiungendo risultati reali in minor tempo.
Se non sai realmente che tipo di giocatore sei e cosa ti manca allora diventa difficile poter abbassare lo score, performare meglio e soprattutto in maniera costante. Quando mi chiedono qual è il primo consiglio che do a un amateur rispondo che non mi interessa sapere il suo handicap ma che abbia coscienza del suo gioco e di cosa fa in campo.
Il TAG Heuer Connected Golf ti consente di avere il massimo in termini di informazioni e questa è la chiave per poter migliorare là dove necessario e diventare giro dopo giro un golfista migliore. Poi la grafica e l’accesso a tutte le informazioni è perfetta e immediata, facile da usare, ed è utilissimo anche nei consigli che ti dà in campo. È un must to have, qualsiasi sia il vostro livello. E non ultimo è un TAG Heuer, quindi esteticamente e tecnologicamente un orologio stupendo da indossare anche fuori dal campo.
Sei diventato una super star seppur mantenendo un profilo basso. Come ti spieghi questo successo e quali pensi siano i giovani europei destinati a diventare le nuove stelle della Ryder?
Ho sempre pensato ad essere me stesso, fuori e dentro al campo. La gente mi ama perché evidentemente si rendono conto che sono una persona semplice, uno di loro.
Noi abbiamo una grande missione come uomini di sport, dare l’esempio a milioni di ragazzi, e non solo quelli innamorati di golf. Quindi essere per loro un punto di riferimento mi inorgoglisce e mi responsabilizza allo stesso tempo. Riguardo alle nuove generazioni, l’Europa è di fronte a un cambio generazionale importante.
Quella di quest’anno era una squadra in cui, chi come me o più di me aveva già vissuto la Ryder, ha cercato di tramandare ai nuovi i valori e l’eredità di leggende come Seve. È stato molto bello vedere come i veterani, a partire da Luke Donald, abbiamo sin dal primo giorno cercato di far entrare in sintonia i rookie lavorando su questo concetto. E non è scontato in uno sport come il nostro che è per natura individuale ma loro si sono calati perfettamente nella realtà di una squadra che in una settimana è diventata una vera grande famiglia.
Credo che abbiamo posto solide basi per una nuova epoca del Team Europe, sono convinto che molti di questi ragazzi li rivedremo anche nelle prossime 3/4 edizioni.
Ci hai raccontato il Connected Golf e quanto lo ritieni utile per il gioco ma, parlando di orologi, sei anche un collezionista?
Mi sto appassionando al mondo dell’alta orologeria sempre di più. Da quando ho iniziato a collaborare con TAG Heuer nel 2021 ho una nuova visione sul settore, mi piace vedere come vengono prodotti certi modelli, delle vere e proprie opere d’arte, e sono attento alle nuove uscite. Il Connected Golf è uno smartwatch di lusso con il DNA TAG Heuer, brand che produce alcuni degli orologi sportivi più iconici al mondo. Una passione che certamente continuerò a coltivare da qui in avanti.
Quest’anno sei andato vicino a ottenere nuovi importanti titoli, tra cui anche il tuo primo major. L’obiettivo numero uno resta la Claret Jug?
Chiaramente vincere un major, e soprattutto la Claret Jug per me che sono britannico, è uno dei miei obiettivi principali ma non è un’ossessione. Ogni volta che inizia una stagione e mi avvicino ai major cerco nella mia testa una nuova storia per motivarmi.
Nel 2024 l’Open Championship si giocherà a Troon e l’ultima volta che si disputò lì, nel 2016, fu uno dei momenti più bassi della mia carriera. Era un periodo davvero difficile al punto che stavo pure considerando se continuare o meno a competere. Giocai malissimo il torneo e non passai il taglio. Ora pensando a dove sono e a quello che ho fatto da lì a oggi mi dico: è ora di chiudere il cerchio e vincere, proprio a Troon, il mio primo major.
È una tecnica che utilizzo per motivarmi di fronte a un appuntamento importante e anche l’occasione per ricordarmi che attraverso il lavoro, la tenacia e la sofferenza sono riuscito a lasciarmi alle spalle quel periodo e ritrovare il sorriso e il mio gioco”.
Ti vedi nel ruolo di capitano di Ryder Cup in futuro?
Certamente è qualcosa che mi piacerebbe fare un domani ma oggi ho ancora molta voglia di giocare la Ryder da protagonista in campo e per molto tempo. Per ora ascolto, osservo e apprendo dai capitani che ho avuto, un ruolo non certo semplice e di grande responsabilità dove devi essere in grado di toccare sempre le corde giuste nel momento giusto.
Cosa pensiamo di Donald? Che è stato una guida fantastica, sotto ogni punto di vista, e che se sarà possibile lo vorremmo anche tra due anni a New York. Perché no, non si dice del resto squadra che vince non si cambia? Noi dodici giocatori di sicuro faremo di tutto per esserci ancora una volta.