La storia del golf è ricca di giocatori saliti alla ribalta nonostante uno swing nettamente anticonvenzionale rispetto agli standard di eleganza ai quali siamo abituati.
Movimenti particolari che potrebbero far storcere il naso a molti ma che, in realtà, celano una perfezione unica nel loro genere.
JIM FURYK
Classe 1970, nativo di West Chester, in Pennsylvania, Jim Furyk è uno degli esempi più eclatanti di swing poco convenzionali ma tremendamente efficaci e vincenti nella storia del golf.
Come ben descrisse Mike Furyk, padre e coach del campione americano in un’intervista a Golf Digest di qualche anno fa, i fianchi di Jim “si ribaltano” si abbassano durante il backswing e si ribaltano nel downswing.
Durante il downswing, il suo bastone disegna un ampio arco dietro il corpo, per poi incollare il gomito contro il fianco destro all’impatto.
Celebre la descrizione di David Feherty, ex pro e noto commentatore televisivo, che una volta paragonò il suo swing a “un polipo che cade da un albero”.
Il suo particolare e unico movimento non gli ha impedito di diventare una stella del golf mondiale, conquistando 29 titoli da professionista, tra cui spiccano lo U.S. Open 2003 e la FedEx Cup 2010, senza dimenticare un altro Slam, quello ottenuto tra gli Over 50, lo U.S. Senior Open del 2021.
Ha giocato in carriera 94 major, totalizzando 23 Top 10. Ha partecipato a ben nove Ryder Cup più una da capitano (Parigi 2018) oltre a sette Presidents Cup.
TOMMY “TWO GLOVES” GAINEY
Nato a Darlington, South Carolina, nel 1975, e passato pro nel 1997, ha ottenuto in carriera 13 vittorie tra cui una sola sul PGA Tour, arrivando sino al numero 84 del World Ranking nel 2011.
Detto ‘Two Gloves’ perché utilizza due guanti, il suo swing potrebbe tranquillamente mescolarsi in un flight di una normale gara di circolo.
Usa il rarissimo grip baseball in cui aggancia il pollice sinistro (superiore) dietro la mano destra (la posizione normale del pollice sinistro per un giocatore di golf destrorso è sotto il pollice destro).
Il suo swing è vistosamente a scatti ed eccentrico. Grip molto forte all’address, le sue spalle sono incredibilmente inclinate il che influisce anche sull’angolo della colonna vertebrale. Un arco ampio ma relativamente corto lo porta al culmine del backswing.
Da qui si getta verso l’impatto come un battitore di baseball. Le sue ginocchia faticano a far fronte alla molla del corpo e le mani a rilasciare la testa del bastone in tempo per l’impatto.
L’uso eccessivo delle gambe nel downswing si traduce in una posizione finale spesso sbilanciata. Ha però la capacità di mantenere la faccia square per un periodo di tempo prolungato fino alla fase di impatto.
BUBBA WATSON
Classe 1978, di Bagdad, Florida, possiede uno degli swing meno ortodossi ma più vincenti degli ultimi anni.
Nel suo palmares spiccano due Masters (2012 e 2014) e altre dieci vittorie sul PGA Tour.
Ha fatto parte del team USA di Ryder in quattro edizioni (2010, 2012, 2014 e 2018), due alla Presidents e ha giocato 58 major con cinque Top 10.
Nel febbraio del 2015 ha raggiunto il secondo posto nel World Ranking e dal luglio del 2022 si è unito al LIV Golf.
È un picchiatore che ama lavorare la palla e la maggior parte di questa azione avviene in realtà nel follow-through.
Si setta generalmente per giocare in fade, con il ginocchio destro piegato. Stacca il bastone con la testa che rimane fuori dalle mani, con il braccio guida quasi verticale in alto.
Nella transizione pianta il tallone destro e usa le gambe in modo fantastico mentre i suoi fianchi tornano nella posizione in cui si trovavano all’address molto prima che il busto e le mani/braccia inizino a muoversi.
Questo accumula un’enorme potenza che rilascia con un’incredibile rotazione del corpo aprendo i fianchi e il busto molto prima che il bastone colpisca la palla.
La parte inferiore del suo corpo effettua un’enorme rotazione, il suo busto è inclinato ed esteso, i piedi rimangono ben piantati fino a dopo l’impatto per poi iniziare a muoversi a causa della quantità di forza al suolo che genera.
ALLEN DOYLE
Di Woonsocket, Rhode Island, oggi settantacinquenne, decise di non diventare professionista dopo l’università, trasferendosi in Georgia per aprire un campo pratica.
Nel tempo libero giocava tornei amateur di alto livello dove si impose in svariate occasioni.
Il grande salto tra i pro lo fece nel 1995, a 46 anni, e si impose subito in tre tornei del Nike Tour (il secondo circuito americano ai tempi) e in ben undici del Champions Tour, con due titoli pure in uno dei major Over 50, lo U.S. Senior Open.
In tutto conquistò da professionista ben 19 titoli.
Doyle era noto soprattutto per essere un ottimo puttatore, il suo unico punto debole era la mancanza di lunghezza dal tee.
Aveva infatti uno swing cortissimo e metteva la palla in mezzo allo stance nel drive.
L’apice del suo swing coinciderebbe per molti golfisti probabilmente a metà del back. Ciò che compensava questa mancanza era l’eccellente azione della parte inferiore del corpo.
Nel downswing fletteva le ginocchia in modo accentuato, abbassava il baricentro e usa il terreno per spingere e potenziare il suo perno.
Il suo swing ricordava a molti il gesto dell’hockeista nel colpire il disco.
Lui invece, che era alto ben 192 centimetri, lo negò sempre, affermando che aveva messo a punto il suo movimento in una stanza dal soffitto basso.
BRYSON DECHAMBEAU
Celebre per il suo approccio scientifico al gioco e influenzato dal libro di tecnica ‘Golf Machine’, DeChambeau ha seguito la teoria dello swing ‘One Plane’, in cui fa oscillare mani e bastone sullo stesso piano dell’angolo di lie bastone stesso.
Si posiziona sulla palla con le mani molto più alte rispetto a un golfista tradizionale.
Il polso sinistro piatto è uno dei principi della teoria di Golf Machine, e si sforza di mantenerlo costante durante tutto lo swing.
Esegue una evidente rotazione con le spalle, gira anche la testa all’indietro e mette le mani dietro il tallone destro nella parte superiore dello swing.
Una posizione estremamente potente per arrivare all’apice ed effettuare il suo colpo in draw.
Il downswing presenta un mostruoso spostamento dell’anca a sinistra e i suoi avambracci sono significativamente chiusi all’impatto.
All’impatto il bastone e il braccio si allineano e colpisce ogni bastone, dal driver al wedge, con il polso sinistro perfettamente piatto.
Così, controlla la direzione, con la sensazione che la palla inizierà nella traiettoria in cui punta il suo polso sinistro all’impatto.
EAMONN DARCY
Uno dei più celebri giocatori irlandesi degli anni ‘80 e ‘90, è universalmente ricordato soprattutto per il suo bizzarro swing, con il gomito destro alto all’apice.
Classe 1952, passò pro nel 1968 e vinse 16 tornei di cui quattro sull’European Tour.
Tra i major giocò solo l’Open Championship, in cui vanta un 5° posto nel 1991.
In Ryder Cup face parte prima del team Gran Bretagna & Irlanda (1975, 1977, 1981) e poi dell’Europa (1987), dove a Muirfield Village fu uno dei protagonisti del primo storico successo del Vecchio Continente in terra americana.
Ivan Morris, celebre giornalista di golf irlandese, così lo descrisse: “La sua idiosincrasia non era altro che il suo gomito destro che ‘saltava fuori’ all’apice mentre raccoglieva tutta la potenza per sferrare il colpo.
Il risultato è quello di aver giocato praticamente solo con la mano e il braccio destro.
La cosa più insolita del metodo di Darcy era il grip della mano sinistra eccezionalmente debole che, inevitabilmente, costringeva la destra a fare tutto il lavoro.
Darcy è stato uno dei migliori giocatori di ferri lunghi della sua epoca e le sue più grandi qualità erano le gambe, i polsi, le braccia forti e la capacità di mantenere il piano del suo swing sempre verso il bersaglio.
JIM THORPE
Figlio di un superintendent di un campo da golf, Thorpe sviluppò uno swing tutto suo, con un passaggio feroce sulla palla e caratterizzato da un’inclinazione del busto e da una rotazione esagerata del bastone durante il colpo.
Johnny Miller disse una volta che lo swing di Thorpe aveva “più mosse di quelle del Kung Fu”.
Di coloro che lo prendevano in giro per il suo movimento Thorpe così rispondeva ogni volta: “L’unica cosa che so è che comunque posso battere tutti quelli che si prendono gioco del mio swing”.
Classe 1949 di Roxboro, North Carolina, fu il nono di 12 figli e non prese mai una lezione di golf.
“Non potevamo permettercelo – raccontò una volta -, così da ragazzino, intanto che mio padre tagliava l’erba, presi semplicemente un bastone in mano e iniziai a swingare”.
Thorpe, da totale autodidatta e attraverso il duro lavoro, riuscì a mettere insieme una carriera di tutto rispetto.
Ottenne nove vittorie arrivando addirittura al numero 26 del World Ranking nel 1995, anno in cui si impose in due dei cinque tornei del PGA Tour che ha nel suo palmares.
HO-SUNG CHOI
Di swing strani ne è pieno il mondo, a tutti i livelli. Ma quello di Ho-sung Choi li batte probabilmente tutti.
Molti di voi lo avranno certamente visto sui social, dove è diventato una vera star. Il suo movimento, soprattutto dopo l’impatto, è stato soprannominato “The Fisherman Swing”.
Classe 1973 originario di Pohang, in Corea del Sud, si è avvicinato al golf solo a 25 anni.
Ha vinto tre tornei sul Japan Tour e altri due nel circuito del suo paese.
La vetrina più importante l’ha vissuta a Pebble Beach, dove nel 2019 ha giocato per la prima volta grazie a un invito l’AT&T National Pro-Am.
Il piede sinistro di Choi all’impatto è quasi completamente sollevato da terra ma ciò che risalta è la piena e potente estensione delle braccia.
Questo è il risultato di un buon movimento rotatorio e del movimento del bastone dall’interno.
Fino a questo punto nulla di insolito ma visto che salta letteralmente da terra all’impatto, e gran parte del suo slancio viene spinto in avanti, il piede destro si solleva.
Il suo finish non è certo quello da manuale e, a volte, ci gioca enfatizzando il tutto in modo quasi teatrale.
MATTHEW WOLFF
Californiano di 25 anni, ha fatto parlare di sé per avere uno degli swing più insoliti del momento.
Poco elegante da vedere ma molto efficace: passato pro nel giugno del 2019, dopo solo un mese vince sul PGA Tour il 3M Open.
L’anno successivo chiude quarto e secondo i suoi primi due major, il PGA Championship e lo U.S. Open.
Nel takeaway tiene bassa la punta del bastone che è square alla superficie. Le sue mani rimangono nel corpo mentre le braccia si allontanano per creare la massima larghezza. A metà del backswing è quasi come se stesse per giocare un colpo di cricket.
Il suo marchio di fabbrica lo si vede al top del backwing, con il bastone quasi perpendicolare al terreno. Ruota in modo evidente l’anca e solleva il piede anteriore verso l’alto.
Jack Nicklaus sollevava il tacco circa cinque centimetri per avere una maggiore ampiezza nello swing, Wolff lo alza tre volte tanto.
La gamba destra si raddrizza per consentire al bacino di ruotare maggiormente.
Per passare dal backswing al downswing pianta il tallone sinistro, consentendo alle ginocchia e alle gambe di flettersi.
ARNOLD PALMER
‘The King’ Arnold Palmer, è una delle grandi icone del nostro sport. Una premessa più che doverosa per chi ha scritto la storia del golf contribuendo con le sue imprese a sdoganarlo in ogni angolo del pianeta.
Carisma da vendere, talento cristallino assoluto, con Jack Nicklaus e Gary Player ha formato un trio irripetibile che ha avvicinato al golf milioni di appassionati.
Scomparso a 87 anni nel 2016, nella sua lunghissima e gloriosa carriera durata oltre sei decadi ha vinto 95 tornei portandosi a casa sette major (4 Masters, 2 Open Championship e uno U.S. Open) e disputando sei Ryder Cup più una da capitano (1975) vincendole tutte.
Il suo backswing era abbastanza tipico per l’epoca ma aveva qualcosa in più.
Il tallone anteriore rialzato era un elemento fondamentale dello swing di quei tempi ma il suo era più pronunciato.
Con una prodigiosa rotazione delle spalle e dei fianchi produceva più velocità rispetto alla maggior parte dei suoi coetanei, a volte però a discapito della precisione.
Da lì quindi nacque il suo leggendario marchio di fabbrica, ben impresso ancora oggi nella mente di ogni appassionato di golf: il celebre finish da spadaccino, con le mani alte per prevenire soprattutto gli hook.
RAYMOND FLOYD
Classe 1940 Raymond Floyd ha vinto ben 22 tornei sul PGA Tour dei quali quattro major (due PGA Championship, un Masters e uno U.S. Open). Lo swing di Floyd può essere diviso in due parti.
La prima, quella anticonvenzionale, vede un back swing caratterizzato da un vero e proprio rovesciamento delle mani.
All’apice, infatti, il bastone è piatto, in termine tecnico si dice laid-off, e punta molto a sinistra rispetto al bersaglio.
Ora, arriva la seconda parte che invece anticipa i tempi.
Floyd è infatti molto moderno, nel down swing c’è un grande lavoro con la parte bassa del corpo e il gomito è molto vicino al fianco destro, che è un po’ la posizione che cercano adesso i giocatori.
Questa sua modernità gli permetteva di generare una grande potenza e una perfetta posizione all’impatto.
Non a caso è stato uno dei campioni più consistenti della sua generazione da te a green. Con il putter poi era fenomenale, riusciva a imbucare nei momenti decisivi.
JOHN DALY
Oggi 58enne, è stato uno dei giocatori più anticonvenzionali dell’era moderna.
A 25 anno conquistò da rookie il PGA Championship nel 1991.
Entrato come riserva all’ultimo momento per il forfait di Nick Price, guidò tutta la notte per raggiungere il Crooked Stick Golf Club in Indiana, per poi dominare il torneo con tre colpi di vantaggio sul secondo.
Conquistò 19 titoli da professionista in carriera con due major (l’altro fu l’Open Championship del 1995 a St Andrews, vinto al playoff contro Costantino Rocca), e viene ricordato, a parte la sua tormentata vita privata, per essere stato uno dei primi grandi bombardieri.
Soprannominato Long John, divenne celebre per aver adottato sul suo driver Wilson lo shaft in grafite rosso, con cui superava ampiamente le 300 yard.
Daly aveva uno swing fluido e potente da autodidatta, costruito con un unico obiettivo, fare più distanza possibile.
Il suo marchio di fabbrica era il bastone all’apice, molto oltre la linea parallela del terreno al punto che poteva tranquillamente vedere la testa del driver.
Un avvolgimento estremo delle braccia e delle spalle capace di generare una enorme velocità della testa durante il suo swing verso il basso, permettendogli di coprire distanze siderali rispetto agli altri.
Uno swing tanto potente quanto pericoloso, croce e delizia della sua carriera per la sua fragilità e inconsistenza. Perché funzionasse alla perfezione aveva bisogno di un timing perfetto per non incorrere in traiettorie incontrollabili.
LEE TREVINO
Una delle grandi icone del golf mondiale e uno dei personaggi più carismatici dentro e fuori il campo.
Nato nel 1939 a Garland in Texas da una famiglia messicana, trascorreva il suo tempo libero intrufolandosi nei golf vicini a casa per praticare, prima di iniziare a fare il caddie al Dallas Athletic Club.
Dopo il lavoro si fermava a tirare almeno 300 palle al giorno. Giocava su un terreno con pochissima erba (conosciuta come “Texas hardpan”) e spesso in condizioni molto ventose.
Si dice che questo sia stato il motivo per cui Trevino abbia sviluppato uno swing decisamente diverso, per molti versi unico (molti direbbero non ortodosso) e compatto.
La sua caratteristica principale era un fade controllato molto pronunciato, e ancora oggi è ricordato per essere stato uno dei più raffinati lavoratori di palla di tutti i tempi.
La sua carriera parla da sola: 92 titoli da pro di cui 29 sul PGA Tour con 6 major (doppiette nel PGA, nello U.S. Open e nell’Open Championship).
Come lui stesso affermò, uno dei segreti del suo movimento e della precisione dal tee era tenere la mano sinistra davanti alla faccia del bastone.
Lavorava su questo aspetto con uno stance aperto, per dare alle braccia lo spazio necessario per estendersi lungo il percorso mentre il corpo ruotava.
JEEV MILKHA SINGH
Classe 1971, è stato il primo indiano ad avere la carta dell’European Tour nel 1998, dove vinse quattro titoli.
Passò gran parte della carriera in Asia dove ottenne un discreto successo a metà degli anni ‘90, poi il salto prima in Europa e poi sul PGA Tour.
Sfruttò al massimo uno swing plasmato per sopperire ai numerosi infortuni ai legamenti nei primi anni di carriera.
Posizione sulla palla eretta, ha una rotazione minima delle anche e abbassa le mani dall’interno.
Nel back la testa del bastone invece di puntare verso il bersaglio si inclina a sinistra.
Anche durante lo swing verso il basso, i fianchi della maggior parte dei giocatori ruotano 45° verso il bersaglio dalla posizione iniziale square, quelli di Singh molto meno.
Costruì uno swing per proteggere il legamento del polso. Con questo movimento, goffo alla vista, riuscì comunque a togliersi grandi soddisfazioni.
“Puoi portare indietro il bastone come vuoi ma la testa deve essere square rispetto al bersaglio e square all’impatto” affermava il grande Johnny Miller, che una volta disse a Singh che aveva la testa più square all’impatto che avesse mai visto.
Semplificare e perseverare.
Mentre gli altri giocatori potevano giocare qualsiasi tipo di colpo, Singh usava solo il suo fidato fade. Iniziò a praticare yoga e stretching per preservare il corpo e ridusse l’allenamento con i pesi in palestra.
CHRISTO LAMPRECHT
Classe 2001 di George, nel 2023 è diventato il terzo sudafricano in sei anni a vincere l’Amateur Championship, risultato che gli ha permesso di giocare l’Open Championship, il Masters lo scorso aprile (uscito al taglio) e il prossimo U.S. Open a giugno.
Alto 203 centimetri per cento chili, il suo curioso swing ha fatto il giro del mondo.
L’altezza può essere un enorme vantaggio per i golfisti, ma per Lamprecht è stata anche un problema costringendolo a cambiare costantemente swing.
Quando si è assestato ha adottato una mossa unica che è in grado di far volare la palla a 340 yard con una velocità che si avvicina alle 200 mph.
Il bacino si muove verso il bersaglio pochi istanti prima che completi il backswing, una mossa chiamata ricentratura, davvero importante perché dà la possibilità di prendere slancio e liberare l’intero downswing.
Questa mossa è l’inizio dello spostamento discendente di Lamprech sulla palla, una sorta di ‘inchino’ che essenzialmente lo aiuta a contrastare il suo grip forte.
Se non scivolasse così tanto verso il bersaglio probabilmente farebbe solo ganci.
Il ginocchio sinistro rimane piegato a lungo anche dopo che la palla è partita, un movimento tipico dei giocatori molto alti.
Crediti foto: Golf Digest