Shane Lowry è uno di quei campioni con i quali potresti tranquillamente giocare una “partitella” di golf insieme, a condizione che il premio finale sia una birra.
Solare, simpatico e sempre con il sorriso sulle labbra, Lowry si presenta a Royal St. George’s come defending champion del major più antico del mondo.
La sua vittoria all’Open Championship a Royal Portrush del 2019 ha fatto il giro del mondo. Non solo per i festeggiamenti che, come ci ha raccontato, sono durati cinque giorni, ma anche e soprattutto per la sua bellissima storia.
Chi ne capisce di golf, si stupisce sempre per il suo gioco attorno al green. Pochi Tour Player sembrano così naturali con il wedge in mano e la fluidità e la naturalezza con cui si destreggia con i colpi corti creano qualche invidia, anche tra i suoi colleghi. È stato proprio il suo gioco corto, in un’incredibile ultima giornata al Royal Portrush, a fare la differenza, tenendo a distanza i diretti inseguitori.
Da qui vogliamo partire chiedendogli in esclusiva come si preparerà all’importante appuntamento con la Claret Jug.
Come ci si sente a presentarsi sul tee della 1 del Royal St. George’s da defending champion?
L’emozione è sempre enorme, indipendentemente dal risultato ottenuto nelle edizioni precedenti. Però, se devo essere sincero, quando inizio un torneo cerco di non pensare mai al risultato finale e a cosa si aspetta la gente da me. Avrei troppa pressione addosso. Gioco invece colpo dopo colpo, con la consapevolezza che sono lì per dare sempre il massimo.
Da quando hai vinto l’Open Championship com’è cambiata la tua vita?
A dire la verità è cambiata poco, soprattutto nelle piccole cose. Sono aumentate le interviste, quello sì e ne sono grato, ma per il resto sono lo stesso ragazzone irlandese di sempre.
Ti sei però trasferito in America. Trovi tante differenze tra la vita in Irlanda e questa oltreoceano?
Inizialmente il piano mio e di mia moglie era di restare in Irlanda fino a che nostra figlia, Iris, non avesse compiuto i cinque anni. Poi il Covid è arrivato e ha ribaltato tutti i progetti. Ma ammetto di essere molto felice del trasferimento negli USA. Abbiamo traslocato a Jupiter, in Florida, e non potevamo fare scelta migliore per mia figlia Iris e, soprattutto, per la mia carriera. Ovvio che mi manca l’Irlanda ma sento che questa sistemazione è la soluzione giusta per il mio gioco. Qui sono focalizzato sul golf al 100%. Non ci sono dubbi.
Che cosa intendi con “focalizzato sul golf al 100%”? In Irlanda non succedeva la stessa cosa?Intendo che il clima e le strutture della Florida mi danno la possibilità di allenarmi ogni singolo giorno in condizioni praticamente perfette. Nelle settimane di riposo dai tornei posso giocare con alcuni dei migliori giocatori del mondo. Mi sono fatto socio al The Bear’s Club, a casa del grande Jack (Nicklaus) e per la pratica è in assoluto il posto più incredibile che possa esistere. Ieri, ad esempio, ero lì con Justin Thomas. Domani vado a giocare qualche buca con Rory McIlory.
C’è stata la tentazione di emulare Padraig Harrington, continuando a giocare sul PGA Tour pur mantenendo una base irlandese?
Pensavo di poterlo fare ma abbiamo personalità troppo diverse. Padraig è stato per ben undici settimane lontano dalla sua famiglia. Io ci ho provato, sono stato fuori casa per nove settimane nel 2018 ma non ho retto alla malinconia. Ho bisogno di avere mia moglie e mia figlia accanto. Con loro do il meglio di me e mi sembra di giocare il mio miglior golf.
Sei uno dei giocatori migliori con il wedge in mano. Frutto di costanti allenamenti o le tue mani alla Ballesteros sono un dono naturale?
Mi fa molto strano essere paragonato a Seve, non c’è nessuno come lui! In ogni caso, ti direi che possiamo fare un metà e metà. Ovviamente pratico molto il gioco corto ma ammetto anche che è sempre stato il mio colpo vincente, il mio cavallo di battaglia. Fin da bambino sono cresciuto nei links irlandesi dove saper lavorare la palla intorno al green era una prerogativa necessaria. Oggi, questo “dono” me lo tengo ben stretto e non dimentico che mi ha aiutato ad alzare al cielo la Claret Jug nel 2019.
A proposito di Harrigton. Sappiamo che siete grandi amici, te la prenderai se non dovesse concederti la wild card per la prossima Ryder Cup?
L’obiettivo è quello di qualificarmi, giocare la Ryder Cup è sempre stato uno dei miei sogni più grandi. Poi, qualora non dovessi riuscirci, starà al capitano decidere quale giocatore sia meglio portare. Non ci sarà mai nessun rancore nei confronti di Padraig, ci mancherebbe. Penso comunque di essere un buon candidato e di poter dare il mio supporto al team europeo. Il mio golf è solido al momento e la mia personalità aiuterebbe la squadra. Mi ci vedo in America a Whistling Straits, a fine settembre, con un po’ di vento e un po’ di freddo. Se il capitano vorrà schierarmi, mi farò trovare pronto.
Sembri davvero grato alla vita per tutto quello che ti sei conquistato.
È proprio così. Amo la mia famiglia, amo trascorrere del tempo con lei, amo giocare, allenarmi e prepararmi in vista di un grande torneo. Mi piace giocare sotto pressione, il brusio del pubblico che mi segue e, come si può notare, la buona cucina. Insomma, amo la mia vita e tutto ciò che mi circonda.