Sergio Garcia: “Una vittoria all’Open Championship? Mai dire mai…”
Cosa si può dire di più su Sergio Garcia? Campione ispanico, eroe di Ryder Cup, il più forte di sempre nella storia della biennale sfida tra Europa e Stati Uniti.
Vincitore major e pluripremiato protagonista sull’European Tour e sul PGA Tour con all’attivo 36 vittorie.
Di strada ‘El Niño’ ne ha fatta parecchia dalla sua prima apparizione sul circuito professionistico nel 1999. Ora, sposato con due figli e con la Giacca Verde appesa nell’armadio, è un giocatore diverso. Appagato, sereno ma con ancora acceso negli occhi quel fuoco che da sempre lo contraddistingue.
Ambassador Omega dal 2003, oggi Sergio Garcia si presenta all’Omega Dubai Desert Classic dopo aver vinto l’edizione del 2017.
Un rapporto lungo quasi vent’anni quello che ha con Omega
Sì e ne vado molto orgoglioso. Non è mai stato unilaterale ma è un rapporto di fiducia reciproco che si è alimentato nel tempo. La famiglia Omega c’è sempre stata per me così come io sono fiero di poter portare il brand di alta orologeria in giro per il mondo.
Com’è tornare all’Omega Dubai Desert Classic?
Devo dire che torno sempre volentieri a Dubai. Il percorso mi piace molto, nel 2017 ho anche vinto questo torneo e quest’anno spero di potermi ripetere. Ho già fatto 18 buche e rispetto al 2020 il percorso mi sembra meno punitivo. Rough più bassi e green leggermente meno veloci del solito. Ci saranno molte occasioni da birdie e speriamo di riuscire a concretizzarle.
Ormai conosce Omega perfettamente. Se fosse un orologio quale sarebbe la sua caratteristica principale?
La costanza. Credo che sia una mia grande dote che ritrovo in ogni modello Omega. Così come anche la pulizia e la precisione, caratteristiche che ricerco abitualmente. Non sarò preciso come il mio modello Seamaster Aqua Terra “ultra light” che ho al polso, ma spero di andarci vicino.
È il giocatore che nella storia della Ryder Cup ha avuto più successo portando ben 25,5 punti alla sua squadra. Ci svela il suo segreto?
Semplice, amo giocare la Ryder. Ogni anno è per me un onore che va oltre ogni torneo disputato e ogni montepremi vinto. La mia forza me la dà il gruppo, l’affiatamento che si crea ogni anno con i miei compagni di squadra. Giochiamo per una bandiera, per il pubblico e per lo spettacolo. L’energia che si sprigiona sul tee della 1 è davvero impagabile.
Come è cambiata la sua vita ora che ha due bambini?
Le tue priorità ovviamente cambiano. Ora ci sono loro prima di tutto. Ma nonostante questo, siamo tutti atleti, la competizione ci scorre nel sangue. È ovviamente difficile lasciare casa ma ora che sono così piccoli riusciamo a portali con noi il più possibile. Quando inizieranno la scuola farò magari scelte diverse.
Ha intenzione di allargare la famiglia?
Non farti sentire da mia moglie che altrimenti si fa strane idee. (Ride) Due non sarà il numero perfetto ma per quanto riguarda i figli direi che è più che sufficiente.
Quanto è stata dura mancare il Masters 2020 dopo essere risultato positivo al Coronavirus?
Il timing è stato tremendo. Saltare questo appuntamento è stato per me un duro colpo. Adoro quel torneo non solo perché l’ho vinto ma perché è uno dei miei momenti preferiti dell’anno. Nonostante questo, sono stato fortunato perché né io né mia moglie abbiamo avuto sintomi gravi e, cosa ancora più importante, non abbiamo contagiato nessuno della nostra famiglia.
Come vede lo sviluppo del golf da qui a 10 anni?
Bella domanda. Questo sport ha fatto negli anni passi da gigante. È cresciuto, è diventato molto popolare levandosi quell’etichetta elitaria che da sempre lo accompagna. Credo che nei prossimi anni questo problema si limerà sempre di più anche in Paesi dove questo retaggio è ancora forte. Quello che però mi auguro con tutto il cuore è di ritornare a vedere il golf che è rimasto fermo a febbraio 2020. Il golf che amo giocare. Quello con il pubblico che ti incita dietro le corde, quello nel quale puoi abbracciare i tuoi fan, gli altri giocatori e non vivere più nel terrore.
C’è un torneo che vorrebbe vincere?
Senza alcun dubbio, l’Open Championship. L’atmosfera che si respira in quel torneo è unica nel suo genere. Ci sono andato vicino a vincerlo più volte, purtroppo senza mai riuscirci. Mai dire mai…
Dopo 22 anni di carriera, 36 tornei vinti, un major e due figli, dove trova ancora la forza di mettersi sempre alla prova?
Uno dei fattori principali è la competitività e la passione, elementi senza i quali non si va da nessuna parte. Poi arriva la stabilità che mi ha dato la famiglia e la volontà di provare a essere migliore. Finché avrò tutte queste qualità mi schiererò sempre sul tee della buca 1 e darò il massimo.
Che consiglio darebbe ai giovani golfisti di oggi?
Devo ammettere che i giovani che si affacciano sui Tour sono molto più preparati di quanto non lo fossimo noi 20 anni fa. Da “vecchia guardia” del golf posso dire loro di usare la testa, essere aggressivi nei momenti giusti e conservatori quando il momento lo richiede. L’esperienza è fondamentale in questo mondo, la raggiungi ovviamente con il tempo ma l’aspetto da non scordare mai è quello di divertirsi perché facciamo tutti il lavoro più bello che ci possa essere. È importante amare quello che si fa e credere in se stessi. Spesso la vita pare voltarti le spalle ma avere la forza di rialzarsi fa di un giocatore di golf, un grande campione.
Pratica altri sport?
Sono un fanatico dello sport. Seguo e pratico in particolar modo il calcio e il tennis. Gioco ogni tanto con Rafa Nadal anche se tutte le volte esco dal campo distrutto.