Sono stato qualche settimana fa in Portogallo, dalle parti di Lisbona. La scusa era quella di andare a trovare un amico che si è trasferito in riva all’Atlantico per motivi climatico/fiscali.
Eravamo una mezza dozzina di golfisti con moglie e sacca al seguito.
Ci siamo resi conto, nell’anticipo di primavera che Cascais, Estoril e Lisbona ci hanno regalato, che potrebbe anche non essere l’Algarve la destinazione lusitana più appetibile per il golfista medio, ma proprio la zona attorno alla capitale.
Intanto c’è la città con i suoi monumenti, il suo fascino, il gusto indolente e un po’ antico che si respira nei suoi quartieri, la luce dei tramonti sul Tago e quell’aria di eterno porto di partenza o di arrivo che trasuda dalle sue vie.
Poi ci sono 17 campi da golf nel giro di pochi chilometri, da quelli più conosciuti e celebrati (Troia, Oitavos Dunes, Quinta do Perù) a quelli storici (Estoril, a lungo sede dell’Open del Portogallo) a quelli lambiti dalle onde dell’Atlantico (Quinta da Marinha).
Tutti campi ben curati, dal disegno interessante, accarezzati da un clima dolce e, a volte, spazzati da un vento che rende problematici anche i colpi più semplici.
Fino a qui, però, il match con l’Algarve o altre zone benedette dal clima e dall’intraprendenza d’imprenditori lungimiranti (da Malaga a Cadice, dalla Costa Azzurra al Marocco) potrebbe al massimo finire in pari.
Quello che invece rende unica la zona di Lisbona è la possibilità, quando il tempo, la stanchezza o l’insofferenza di qualche familiare consigliano di lasciare la sacca nel baule della macchina, di perdersi nella storia dei luoghi sulle orme di Ulisse – che la leggenda vorrebbe fondatore della capitale portoghese – o di Vasco da Gama, scopritore della “rotta delle spezie” tra coste occidentali dell’Africa e Oceano Indiano, il percorso che permise a questo piccolo Stato di diventare una potenza coloniale.
Per non parlare dei vini e del cibo: a parte il celebrato “bacalhau” cucinato in modi innumerevoli e i deliziosi “pastel de nata”, la cucina portoghese fonde nel piatto storia e tradizione: pesce, agnello, capretto, maialino in un’infinità di preparazioni, tutte generalmente semplici e poco elaborate, come si faceva una volta anche da noi, prima che la tv e i masterchef traviassero anche gli osti più genuini, preoccupati dell’impiattamento e del nome roboante sul menù ( per cui polenta e baccalà diventa “pesce veloce del Baltico su letto di pasticcio di mais”) piuttosto che della bontà di quanto preparavano.
Tornando al golf, con gli amici con i quali viaggiavo abbiamo curiosato nelle bacheche delle club house.
Come spesso capita anche da noi, erano esposti gli handicap aggiornati dei soci del Circolo.
Al massimo cento/centocinquanta nomi. E qui i casi son o due: o i portoghesi se ne fregano dell’handicap e delle gare e quindi non figurano in quei fogli, oppure i soci di quei club prestigiosi sono veramente pochini.
Cosa che, secondo i canoni del golf tricolore, porta a bilanci da equilibristi, risparmi parossistici, difficoltà di gestione.
Così non ci è sembrato: i campi erano in perfetto ordine, i servizi di ottimo livello, i prezzi sicuramente concorrenziali rispetto ai nostri (in media 90 euro per il green fee più mezza quota del cart).
Abbiamo capito l’arcano quando, volendo giocare anche l’ultimo giorno prima di prendere l’aereo, abbiamo telefonato a “Quinta da Marinha” per chiedere una partenza la mattina successiva, un venerdì feriale di fine inverno.
Risposta: ne abbiamo solo una alle 7,30. Le entrate, da quelle parti, si fanno con i green fee. I soci non sono altro che abbonati fedeli, non certo i pilastri del bilancio.
Così i Circoli non passano il tempo a rubarsi giocatori, non si fanno la guerra a colpi di quote scontate, si fanno belli per gli ospiti esterni e non li relegano nell’angolo più sperduto e scomodo degli spogliatoi.
Non ho fatto approfondimenti particolari, ma dalle bacheche non mi risultavano nel fine settimana “Coppe Fragola” che di fatto chiudessero il percorso a chi voleva, come noli, solo giocarsi una birretta tra amici.
Vuoi vedere che, se la mamma dei golfisti non fa gli straordinari nei prossimi anni, è proprio questa la ricetta per rimettere in linea di galleggiamento anche i nostri club?
Di città belle come Lisbona ne abbiamo a vagonate, nell’enogastronomia non ci batte nessuno, quanto a clima siamo il giardino d’Europa.
Adesso c’è anche la Ryder Cup ad accendere i riflettori su di noi e sui nostri green.
Perdere quest’occasione sarebbe imperdonabile.