In queste mie riflessioni sul golf e non solo, mi piace tornare sul binomio golf e turismo, non per piaggeria nei confronti della testata che mi ospita, ma perché sono convinto che anche attraverso questi due fattori possa passare quella spintarella al PIL che da troppo tempo stiamo aspettando.
Ora nessuno si sogna di proporre il “golf di cittadinanza, con 18 buche garantite a tutti, magari in par, nella speranza che questo aumenti i consumi di palline da campo pratica, di birre consolatorie o assolutorie in club house, o faccia schizzare il numero dei nuovi soci conquistati dal fascino dello swing.
Per quest’ultimo obiettivo basterebbe abbattere le barriere cli cui parlavo il mese scorso e che non sono, sia chiaro, monetarie, ma solo di atteggiamento, accessibilità, disponibilità da parte cli tutti i Circoli.
Gli stranieri, d’altra parte, stanno cominciando a considerare l’Italia come possibile destinazione golfistica.
Lo ha dimostrato, cifre alla mano Maurizio De Vito Piscicelli quando, nell’ultimo meeting di GolfImpresa, ha sottolineato come alla fine del 2017 nei nostri Circoli fossero stati venduti 700.000 green fee a giocatori stranieri.
Tre anni prima, nel 2014, eravamo fermi a 500.000.
Lombardia e Piemonte sono le locomotive trainanti di un trend che ci ha portati a superare nientemeno che la Francia in questa speciale classifica.
Tutto questo nonostante non si sia in grado di fare sistema, tanto per cambiare.
La riforma del Titolo V della Costituzione ha in pratica affidato a ogni Regione la competenza sul turismo e quindi sulla possibilità di propaganda all’estero.
Il risultato è che ognuno va per la sua strada e che iniziative collettive diventano difficili, laboriose, quasi impossibili.
Morale: ogni assessore regionale investe e spende secondo il proprio piano di marketing, diffidando (siamo o non siamo il Paese dei campanili?) di quello che fanno le Regioni vicine.
L’effetto di questa situazione è che l’!talia, come meta golfistica globale, non riesce a imporsi, disintegrata in mille rivoli senza un comun denominatore.
E pensare che per quanto riguarda il nostro sport, siamo un Paese molto più appetibile della Spagna, dove solo una parte relativamente piccola (Costa del Sol e dintorni) è desiderabile per chi viaggia con sacca al seguito.
Dalle Langhe alSalento, dalle Dolomiti al Campidano ogni angolo delloStivale offre invece opportunità irripetibili dal punto di vista storico, artistico, enogastronomico, e, naturalmente, golfistico.
Ma occorre farlo sapere. Perché quasi tutti al mondo conoscono Michelangelo, Venezia, la pizza e la pasta alla bolognese.
Pochi sanno che i nostri campi da golf ben poco hanno da invidiare alle migliori strutture internazionali e che, rispetto a molte di queste, godono di un clima molto più favorevole.
Anche se il campo, a pensarci bene , è il minimo sindacale: ogni golfista si aspetta fairway curati, green in ordine, club house funzionali.
Ma in più, il globetrotter del golf vorrebbe anche qualità e varietà della sistemazione alberghiera durante il soggiorno, una scelta di percorsi vicini e facilmente raggiungibili, una buona disponibilità di tee time.
Su quest’ultimo aspetto, quei viziati dei turisti stranieri vorrebbero anche poter giocare il sabato e la domenica in orari civili, non all’alba e neppure all’imbrunire, quando gli ultimi iscritti alla gara hanno finalmente liberato buche e rough.
Utopia? A queste latitudini probabilmente sì.
Ma fino a che non soddisferemo le richieste dei turisti, saremo noi soci stanziali a dover tappare i buchi di bilancio, altro che ‘più Pil per tutti”.