Il celebre percorso che ospita il Masters dal 1934 ha continuato a cambiare e a evolversi negli anni. Ma siamo sicuri che la versione attuale sia davvero la più bella?
Una delle peculiarità dell’Augusta National è quanto poco i suoi cambiamenti abbiano influito sulla percezione del campo. I miglioramenti hanno avuto luogo principalmente durante i periodi di bassa stagione fin dal Masters inaugurale del marzo 1934, dalle modifiche ai lati dei green alle principali riconfigurazioni di varie buche. Sebbene l’obiettivo principale sia sempre stato quello di aggiornare il percorso al gioco professionistico contemporaneo, molti di questi cambiamenti hanno gradualmente mutato l’aspetto del campo e le caratteristiche del suo disegno. Eppure, nonostante la sua evidente evoluzione, continua ad essere percepito come un’entità immutabile. Nella classifica di Golf Digest dei 100 migliori campi d’America, Augusta è uscito dai Top 10 solo una volta dal 1966 e dal 1985 è fisso tra i primi tre.
Osservate Augusta in qualsiasi momento della sua storia e la sua fisionomia, così come la giocabilità rimangono sempre uniche. La domanda sorge spontanea: c’è stato un momento in cui il tracciato si è avvicinato maggiormente a una condizione ideale se non addirittura perfetta? È possibile individuare un momento in cui la simbiosi tra le esigenze di gioco, la lunghezza delle buche, la fedeltà alle strategie previste, le condizioni di gioco e la tecnologia di bastoni e palline erano in perfetta armonia? In altre parole, se dovessimo consacrare una versione dell’Augusta National nella Hall of Fame dei migliori campi da golf, a quale anno faremmo riferimento?
Il migliore di sempre
Quale versione dell’Augusta National merita allora di appartenere alla Hall of Fame?
Il perfezionamento della manutenzione e la capacità di controllare le superfici di gioco rafforzerebbero la tesi che il campo non è mai stato in condizioni migliori di adesso. Al contrario, la lunghezza eccessiva ha messo la Giacca Verde fuori dalla portata di metà del field, rendendo improbabile che giocatori scaltri ma poco potenti possano contendersi la vittoria.
Il restringimento di numerosi fairway ha eliminato un importante aspetto decisionale che è sempre stato fondamentale per ottenere un buon punteggio.
Crenshaw lo riassunse meglio nel 1986, quando confrontò i calcoli cerebrali di Augusta a campi più punitivi, come il TPC di Sawgrass.
“Ad Augusta si tratta di strategia, strategia e strategia.
L’abilità di un giocatore qui si vede intorno al green e nella sua capacità di posizionare i tee shot in base alla posizione delle aste”. Ora invece su molte buche il criterio prevalente è quello di mettere la palla in fairway, esattamente la critica che fece allora Crenshaw al TPC.
Se non negli anni 2000, 2010 o adesso, allora quel è stato l’Augusta più bello di sempre?
Qualsiasi decennio come gli anni ‘50, che ha tirato fuori il meglio da campioni del calibro di Jimmy Demaret, Sam Snead, Ben Hogan, Cary Middlecoff e Jackie Burke Jr., merita di essere preso in considerazione.
Dal 1960 al 1966 nessun giocatore ha vinto il Masters se non Arnold Palmer, Jack Nicklaus o Gary Player. L’Augusta National di quel periodo richiedeva una serie di colpi in sacca, la capacità di assumersi dei rischi e una buona dose di coraggio, ma le condizioni incoerenti e i green duri in Bermuda dell’epoca precludono la selezione di qualsiasi iterazione del campo prima dell’edizione del 1981.
Gli anni ‘80 furono un decennio affascinante, un’epoca d’oro del talento europeo che vide una varietà di abilità diverse farsi strada ad Augusta e sui suoi green più raffinati, tra cui Ballesteros, Langer, Lyle, Faldo e, nel 1991, Woosnam, insieme a Watson, Crenshaw, Craig Stadler, Nicklaus e Mize.
Le condizioni del manto erboso, tuttavia, non avevano costantemente raggiunto i livelli utopici che avrebbero raggiunto nel decennio successivo e oltre, c’era ancora ampio margine di miglioramento.
Ciò colloca il dibattito tra la metà e la fine degli anni ‘90, dopo che il circolo aveva iniziato a installare i sistemi SubAir (1994) e si avvicinava al nirvana della manutenzione, ma prima dell’aggiunta del secondo taglio di rough che non aveva un bell’aspetto e deviava dall’eredità di Augusta.
La nostra scelta quindi per la versione ideale è il campo dal 1995 al 1998.
Prima dello smisurato allungamento qualsiasi tipo di giocatore poteva ancora contendersi il titolo. Oltre alla vittoria record di Tiger Woods con 18 sotto il par nel 1997, ci furono quelle del 43enne Crenshaw (1995), del 38enne Faldo (1996) e del 41enne O’Meara (1998).
Sebbene le distanze con i driver stessero aumentando, il disegno rimaneva un ostacolo sufficiente per le palline da golf spinnanti e i driver con le piccole teste metalliche dell’epoca, e si dovevano ancora giocare ferri lunghi e legni nei par 5 (e anche in alcuni par 4).
Alcuni dicono che MacKenzie, morto nel 1934, non riconoscerebbe l’Augusta National se lo vedesse oggi. Probabilmente no dopo tutte le modifiche fatte alle buche, i bordi del bunker rasati, i boschetti di pini, i green di Perry Maxwell e il manto erboso immacolato.
Ma se venisse trasportato nel 1998 è probabile che apprezzerebbe il percorso che premiava una varietà di abilità fisiche e tattiche, un campo che richiedeva coraggio, astuzia ed esperienza, tanto quanto la forza fisica. Quello, almeno, era l’Augusta che aveva creato insieme a Bobby Jones.