Fino alla metà degli anni ’90 i caddie superavano il centinaio nei circoli italiani, oggi, invece, sono un fenomeno unico e raro da trovare perché sostituiti dai nuovi strumenti digitali.
La scomparsa è dovuta all’avvento dei carrelli elettrici che sicuramente sostituiscono un aspetto meccanico legato al trasporto della sacca, ma che spersonalizzano la natura tecnica e umana del servizio che un caddie è capace di offrire. Possiamo, tuttavia, considerarle ancora adesso delle figure che hanno scritto la storia, sinonimo di valore tradizionale decisamente radicato nei più importanti club della nostra Penisola.
La realtà attuale ci narra che gli ultimi caddie degni di questo nome sono scomparsi ormai da 20 anni, e i pochi rimasti sono figure addette a portare bastoni su richiesta
Quei circoli che ancora si distinguono per averli al proprio interno possono contarne il numero sulle dita di una mano, trattandosi di anziani appassionati o soci di lunga data che per nostalgia prestano questa tipologia di servizio, molto spesso riconducibile più all’accompagnamento dei nipoti in gara per una passeggiata insieme. In ogni caso gli accordi tra giocatore e caddie sono presi direttamente tra le due parti, in via privata, soprattutto quando sono i soci a decidere di portare un proprio accompagnatore esterno.
Ma parlando di una personalità così fondamentale nella tradizione del golf, è doveroso menzionare il grande valore aggiunto portato dai caddie nella storia del nostro sport.
Tra gli aspetti in cui maggiormente hanno inciso positivamente si ricordano quello sportivo e pratico: un buon caddie permette miglioramenti sia in termini di gioco che di gestione delle tempistiche.
Il perché lo spiega il fatto che i professionisti dei maggiori circuiti agonistici ne hanno un assoluto bisogno: un caddie conosce a mena dito il campo, le pendenze e il suo stesso assistito. Recentemente al Circolo di Rapallo una signora, dopo un evidente miglioramento dei risultati ottenuti, ha attribuito il suo successo al supporto del ragazzo che gli ha consigliato in campo bastoni che non aveva mai utilizzato, aiutandola sui green a risparmiare addirittura cinque o sei colpi.
In questa realtà ligure resistono ancora pochissimi caddie, cinque o sei anziani, ma la speranza del direttore, Fabrizio Pagliettini, è di rivalutare in chiave moderna questa professione e rivederla finalmente anche nel golf dilettantistico. Si tenga conto che negli anni ’90, periodo d’oro dei caddie, avere un team di ragazzi che si manteneva attraverso pane e golf significava avere dei testimonial che difendevano una realtà importante, rappresentando un collante tra la città e il circolo.
Va de sé, poi, che questo impiego è stato negli anni una valida soluzione ai problemi che affliggono il golf attuale, in primo luogo la velocità di gioco. Un accompagnatore così esperto permette di ottimizzare i tempi e di non perdere quasi mai la pallina.
Questo perché conosce il percorso a memoria, controlla dove la palla va a finire e sa fissare le distanze, velocizzando tantissimo le tempistiche di gara. Inoltre, dal momento in cui la Federazione ha allargato l’handicap di gioco a 54 questo porta in campo, spesso in solitudine, dei giocatori non ancora pronti ad affrontare la competizione secondo i regolamenti così complessi del nostro sport. Avere un caddie capace all’interno di un team significa avere una maggiore garanzia di rispetto delle regole e di confronto con una persona più qualificata rispetto al compagno di terza categoria.
Tra i compiti primari che il caddie ha sempre esercitato vi erano quelli di sistemare bunker, pitch e zolle. Mansioni di corollario preziose che permettevano all’ora di avere un campo immediatamente in ordine e che oggi invece costringono i tecnici a una sollecita presenza per garantire condizioni perfette ai soci.
Il direttore di Rapallo ricorda Carlo Figari, soprannominato Carlin, uno dei caddie più significativi e amati del suo circolo:
“Era molto, molto di più: era la guida attenta che proteggeva il campo: zolle, pitch, bunker rovinati erano una rarità. Era l’aiuto che velocizzava il gioco su palle perse e attese interminabili per la scelta del bastone giusto. Carlin era il segreto di molti successi perché conosceva il campo in ogni angolo, in ogni insidia, perché consigliava sempre ‘la cosa buona e giusta’. Un angelo custode e un fine psicologo ed era soprattutto un innamorato del gioco del golf; un amore incondizionato che nessuno che ha fatto il caddie da ragazzo, ha mai tradito”.
Nel panorama golfistico italiano si ricordano grandi personaggi nati come caddie e diventati successivamente parte dello staff o addirittura professionisti, devoti al circolo e alla fame di fare del golf una professione
Un esempio lampante è Costantino Rocca, campione italiano di appannaggio mondiale nato e cresciuto golfisticamente al Golf Club Bergamo, che ha iniziato come caddie per poi diventare un professionista riconosciuto in tutto il mondo. Tino lavorava di giorno per cui era costretto a giocare la notte. Aveva imparato a leggere il volo della pallina ascoltandola in silenzio durante il suo volo notturno. Poesia che è diventata realtà nella vita di Rocca grazie al suo impiego iniziale da caddie. Ciò che emerge è proprio il legame stretto con il club che porta quei pochi caddie rimasti ogni domenica al circolo anche in condizioni di pioggia.
Sebbene siano ben consapevoli che a causa delle cattive condizioni atmosferiche non giocheranno, non mancheranno dal presentarsi la mattina presto solo per il piacere di stare insieme. Ogni anno il circolo bergamasco celebra gli storici caddie e il loro prezioso aiuto con la gara a loro riservata e al personale. Un momento di grande condivisione e sfida sentita tra le due compagini, dove sono proprio gli psicologi del green a voler primeggiare.
A Menaggio i caddie sono sempre stati soprannominati “gnoffi” – dall’inglese “no fee” – e oggi si tratta per lo più di ex caddie ormai impossibilitati a giocare su 18 buche ma cresciuti esercitando questa professione e che, estremamente appassionati del nostro sport, continuano a frequentare un ambiente che sentono famigliare.
A Villa d’Este la figura non si è estinta del tutto, cinque o sei caddie resistono all’era digitale che ne determina la scomparsa e un paio di ragazzi giovani saltuariamente prestano servizio.
Qui fino agli anni ’90 ogni giocatore che scendesse in campo era accompagnato dal proprio caddie e la tradizione del circolo comasco è talmente forte che per loro organizza ogni anno per la giornata di ferragosto la storica gara. 18 buche con formula Lousiana tra amateur e caddie che si chiude all’imbrunire con una cena a cui partecipano caddie ed ex caddie, in un momento di ritrovo e di festeggiamenti in memoria dei tempi passati.
Nella speranza che un giorno i nostri insostituibili consiglieri possano tornare, ci piace ricordarli attraverso fotografie contenute negli archivi storici dei nostri club. Reperti in bianco e nero che raffigurano l’era dei caddie dai calzoni larghi con la sacca sempre in mano e delle giocatrice dalle lunghe gonnelle a solcare i fairway italiani.