Non avete mai sognato di portare a casa un birdie, da tramandare ai posteri, giocando sulla 7 di Pebble Beach? In questo servizio che farà innamorare qualsiasi vero golfista, il meraviglioso par 3 californiano aperto sull’Oceano Pacifico è in straordinaria compagnia. I
In redazione, sfogliando qua è là fra i nostri ricordi, abbiamo radunato dieci spettacolari e oniriche buche “corte” sparse per il mondo.
Non troverete però assoluti “must” come la magica e dannata 12 Golden Bell dell’Augusta National, culla del Masters, o la leggendaria 16 di Cypress Point, forse la più bella in assoluto. Il motivo? Si tratta di gioielli racchiusi in circoli ultraprivati, dove solo pochissimi hanno la fortuna di poter giocare.
I dieci par 3 che vi proponiamo in queste pagine sono invece tutti in campi in cui è possibile, magari anche solo un paio di giorni alla settimana, come Muirfield, acquistare il green fee e godere di spettacoli golfistici indimenticabili.
Spesso la discriminante è invece rappresentata da prezzi da gioielleria, ma è banalmente facile dire che le cose belle (e in questo caso sono fra le più belle del mondo per il nostro sport preferito) costano. E anche molto.
Alcuni esempi. Al già citato Pebble Beach, oltre a mettersi in paziente fila per trovare un tee time, dovremo strisciare la nostra carta di credito per il corrispondente di 550 dollari, oltre cinque volte di più di quanti erano necessari una quarantina di anni fa.
Sono invece 290 le sterline necessarie a Kingsbarns, 190 gli euro a Vale do Lobo, 280 i dollari per il Teeth of the Dog e 200 per Mauna Kea. Se però accettate di partire molto presto (Early Bird) o tardi nel pomeriggio (Twilight), in alcuni casi si può anche risparmiare parecchio. In ogni caso siamo lontani dai green fee di casa nostra.
Ma d’altronde, qual è il prezzo dei sogni?
Buca 17 – Stadium Course – TPC Sawgrass (Florida)
È la signature hole del capolavoro di Pete Dye, lo Stadium Course, campo realizzato nel 1980, quartier generale del PGA Tour e sede del Players Championship. Soprannominata Island Green, e completamente circondata dall’acqua, misura solo 125 metri ma è considerato uno dei par 3 più delicati al mondo anche per le insidiose pendenze del green. Si dice che solo due elementi intimoriscano i professionisti, l’acqua e il vento, fattori che qui sono sempre in gioco e che sono stati la causa di innumerevoli disastri anche da parte di campioni navigati, seppur il green sia di oltre 370 metri quadrati. Si stima che qui ogni anno finiscano in acqua oltre 120milla palline.
Buca 7 – Pebble Beach Links (California)
Gli abbiamo regalato, da altra angolatura, la copertina di questo numero. È il più corto par 3 su cui si gioca il PGA Tour e i major con i suoi soli 99 metri verso la baia di Carmel e l’Oceano Pacifico. Il campo, che ha ospitato a giugno a lo U.S. Open, fu realizzato da Jack Neville e Douglas Grant nel 1919 ma da allora è stato soggetto a numerose modifiche da parte di Alister MacKenzie, William Herbert Fowler, Jack Nicklaus e Arnold Palmer. La leggenda narra che qui Sam Snead preferì ottenere il par con tre putt consecutivi giocando il primo colpo lungo la strada che scende verso il green piuttosto che tirare nel vento un ferro. Anche oggi, in base alle condizioni meteo, i pro possono giocare dal wedge a un punch shot con il ferro 5. Il green è difeso da ben sei bunker, due frontali e quattro nella parte posteriore. La buca ha mantenuto quasi la stessa lunghezza nel corso del suo secolo di vita, mentre diversi sono stati gli interventi sul green e sulle aree circostanti.
Buca 3 – Mauna Kea (Hawaii)
Realizzato nel 1965 da Robert Trent Jones Sr, sorge sull’isola di Hawaii, la più grande dell’arcipelago. Fu commissionato da Laurance Rockefeller per completare l’offerta di un resort cinque stelle. Nato dal genio di uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, fu necessario polverizzare la roccia lavica nera che ricopriva l’intera area per poter innestare il manto erboso. Per posizione e disegno è considerato uno dei percorsi più spettacolari e tecnici al mondo. La buca 3 misura ben 198 metri e il vento è un fattore determinante nel tee shot a un green difeso da bunker e roccia lavica.
Buca 17 – Ocean Course – Cabo del Sol (Messico)
Situato sulla punta della Baja California, tra Cabo San Lucas e San José del Cabo, l’Ocean Course è il fulcro della comunità residenziale di Cabo del Sol. Opera del grande Jack Nicklaus, fu aperto al pubblico nel 1994 e offre dal campo un paesaggio desertico naturale unico al mondo, con giganteschi cactus che sovrastano green e tee perfettamente curati. Sette delle sue buche seguono la costa a due passi dal blu brillante del Mare di Cortez, tra cui la spettacolare 17, par 3 di 162 metri con un green posizionato su una baia sabbiosa circondato da rocce.
Buca 7 – Teeth of the Dog – Casa de Campo (Rep. Dominicana)
Non si può sbagliare. Il marchio di fabbrica è quello inconfondibile di Pete Dye, che a Casa de Campo ha avuto carta bianca per creare tre gioielli di rara bellezza. Accanto al Dye Fore e a The Links, il primo a essere aperto fu, nel 1971, l’ormai leggendario “Denti del Cane”, da sempre considerato il numero 1 nei Caraibi. La sua buca più celebre, fotografatissima, è il par 3 della 7, uno dei primi esempi in assoluto in cui, per raggiungere il green, si doveva superare un braccio di mare. Piuttosto lunga (fino a 200 metri), può essere giocata da cinque partenze diverse, ovviamente con difficoltà minori mano a mano che il mare entra meno in gioco. Il green è ampio, ma con numerosi cambi di pendenze, che lo rendono assai insidioso.
Buca 13 – Muirfield (Scozia)
L’impegnativo par 3 fu disegnato da Old Tom Morris, vincitore di quattro Open Championship e uno dei primi grandi architetti di campi da golf di tutti i tempi. La buca di 145 metri, definita nel 1966 da Jack Nicklaus “una gemma”, è stata allungata di 29 metri e ha un green profondo 42 metri, ma stretto e protetto da grandi bunker su entrambi i lati. Pericolo costato il torneo e la gloria a diversi campioni nel corso della sua lunga storia, iniziata nel 1744. Indimenticabile l’82 di Tiger Woods durante la terza giornata dell’Open Championship nel 2002. Alla buca 13 il Fenomeno finì in uno dei profondi bunker e impiegò tre colpi per uscire, segnando alla fine il peggior score da quando era passato professionista.
Buca 12 – Royal Birkdale (Inghilterra)
Proprio quest’anno il circolo di Southport festeggia i suoi 130 anni. Dal 1954 ha ospitato dieci edizioni dell’Open Championship. L’ultima è del 2017, quando trionfò Jordan Spieth. Una curiosità: nessun inglese ha conquistato la Claret Jug sul magnifico percorso a nord di Liverpool. Disegnato da George Lowe e F.W. Hawtree/J.H.Taylor, il campo si muove su altissime dune di sabbia, protagoniste alla splendida 12. I tee arretrati e rialzati sono a circa 160 metri dal green, anch’esso sopraelevato. In mezzo una valle di rough. Il green è piccolo, mosso e difeso da quattro micidiali bunker. Con il vento, non c’è che da pregare.
Buca 6 – New South Wales (Australia)
Situato nella costa rocciosa orientale dell’Australia, questo incredibile par 3 di 176 metri è la buca più fotografata del continente oceanico.
A differenza delle altre disegnate nel 1928 da Alister Mackenzie, la 6 fu accreditata a Eric Apperly dopo la Seconda Guerra Mondiale nel 1947. Il tee di partenza è su uno sperone roccioso che domina Botany Bay, la località nella quale il capitano James Cook sbarcò per la prima volta nel 1770. Il pericolo maggiore è tutto sulla parte sinistra, dominata dall’Oceano Pacifico.
Buca 8 & 15 – Kingsbarns (Scozia)
A una manciata di chilometri da St Andrews, è considerato fra i primi cinque campi del Duemila. Lo ha disegnato Kyle Phillips, ricavandone un links straordinario su due livelli lungo le scogliere, con 14 buche affacciate sul Mare del Nord. La 8 e la 15 hanno i green che si sfiorano e regalano due diverse ma impagabili emozioni. La prima è corta (da 130 metri in giù sui 5 tee), ma con un bunker terribile a sinistra e il pericolo di perdere la palla se si va lunghi a destra. La seconda è un incanto in riva al mare che, in base alla posizione della bandiera, può essere abbordabile (a sinistra) o impossibile.
Buca 16 – Royal Course – Vale do Lobo (Portogallo)
Divenuta il simbolo del golf in Algarve, questo impegnativo par 3 di 215 metri è considerato dai professionisti una delle buche più difficili, se giocato con il vento. Il Royal Golf Course è stato progettato dalla leggenda del golf Sir Henry Cotton. Gli furono poi apportate modifiche dall’architetto americano Rocky Roquemore, con la successiva inaugurazione nel 1997. Dal tee di partenza non si può che restare ammaliati e ammirare la scogliera a strapiombo sul mare. E non è un caso se è diventata una delle buche più fotografate d’Europa.