Il racconto dell’incredibile Open Championship di Carnoustie vissuto al fianco dei più forti
di Davide Santandrea
In Europa dicono che The Opensia il major più affasciante di tutti. Storia, tradizione, epica: da 147 anni tutto concorre a rendere quella settimana indimenticabile. C’è un aggettivo tutto inglese, non traducibile, che rende onore al clima che si respira durante quei giorni: dramatic. Nella nostra lingua non esiste, in Italia si carica di un significato negativo che, oltre Manica, non gli appartiene.
Il nostro dramatic Open(mio e di Luca, compagno di mille avventure) comincia a metà marzo quando, con parecchi mesi di anticipo, decidiamo di comprare i biglietti per andare a vedere il grande ritorno di Tiger Woods. Era impensabile, almeno per noi che non l’abbiamo mai visto negli anni d’oro, capire come una sola persona avesse il potere di muoverne tante altre. Era impensabile finché non l’abbiamo visto con i nostri occhi.
Biglietti acquistati, volo preso, casa prenotata… in una ventosa giornata di fine luglio siamo in Scozia. L’impatto è subito significativo: uno sport tanto snobbato in Italia, là è, al contrario, osannato. Tutto sapeva di Carnoustie, tutti assaporavano il grande evento che sarebbe stato. Le stazioni dei paesini, che pur distavano parecchie fermate del treno, erano in fermento per il 147° Open Championship. Niente di meglio che “La bestia”, come viene soprannominato da quelle parti il temibile campo di Carnoustie, appunto.
Il sabato mattina fitti fitti, quasi a spintoni, io e Luca saliamo sul treno che ci porta verso la costa. La caratteristica della Scozia sono proprio i links, campi che lambiscono l’oceano e che sono costantemente sferzati da un vento che non lascia mai il percorso uguale a se stesso.
Scesi dal treno solo qualche metro ci separa dai campioni. Un salto in campo pratica ed ecco Tiger. Basta un suo sorso d’acqua o anche solo uno starnuto per attirare su di sé tutta l’attenzione. È un po’ come se George Clooney piombasse in una piccola città e cominciasse a fare quel che più sa fare. Beh Tiger era così: uno spettacolo.
A fine giornata, appagati dello spettacolo a cui avevamo assistito, ci prepariamo per la domenica. E proprio l’ultimo giorno di gara comincia con una grande notizia. Re dei re mister Tiger Woods gioca con un italiano che tanto bene sta facendo nel corso della stagione: Francesco Molinari. I due sono appaiati a pochi colpi dalla vetta della classifica e durante l’ultimo giro dovranno inseguire gli americani che fin qui hanno dominato. Così comincia l’apoteosi.
Giusto un paio di persone seguono questo match: migliaia e migliaia di appassionati seguono in religioso silenzioso due golfisti tanto diversi quanto accomunati dallo stesso obiettivo, vincere.
Dopo 15 buche il nostro Chicco è lì che se la gioca con gli americani ma, si sa, a Carnoustie non puoi tirare il fiato finché non sei in clubhouse. Sul fairway della 17, con Tiger fuori dai giochi, lo spartiacque. Molinari è in pieno controllo del suo gioco: driving iron a bomba in the wind, “nel vento” come dicono gli scozzesi, e non “contro vento” come diciamo noi, perché là è un fattore talmente frequente che non lo considerano negativo. Palla in asta, birdie mancato, ma fa lo stesso… è il preludio per quello che succederà da lì a poco. Alla 18, dopo un buon tee shot, Chicco approccia con un ferro corto e mette una palla da birdie. Tutto il resto è storia.
Nel frattempo noi abbiamo fotografato, filmato, urlato qualsiasi cosa, ma finché non siamo giunti al cospetto dell’ultimo green non ci siamo mai resi conto di quello che stava davvero succedendo. Spintonati dalla massa finiamo in un angolino dove facciamo amicizia con due francesi che stavano canticchiando “Francesco ti amo” sulle celebri note di Umberto Tozzi. Improvvisamente ci accorgiamo che, come noi, tifano per Chicco. Tutta la Scozia, in quel momento, soffre con noi e tifa per lui, perché il golf ti infonde questa incredibile capacità di portare rispetto anche per chi non è il tuo beniamino.
L’ultimo putt dell’Open, noi, manco l’abbiamo visto. Troppe teste fra la nostra posizione e la buca dentro la quale Molinari ha infilato il birdie che gli ha consegnato la Claret Jug. Quella sì, l’abbiamo vista. Era bellissima e luccicava, quando l’ha baciata e alzata al cielo. Quando ha scritto una pagina indelebile dello sport italiano.
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