L’età ha questo di bello: che aiuta ad accettare verità scomode. Posso fallire, posso dubitare, posso sbagliare: sono verità che tutti conosciamo e che tutti abbiamo sperimentato prima o poi, ma che Matteo Manassero, nella freschezza prorompente dei suoi 20 anni, non aveva mai messo in conto. Semplicemente perché, sorretto da un talento fuori dal comune, non si era mai trovato nella necessità di doverlo fare. Poi è successo quello che è successo: i tagli mancati, il drive ballerino, il crollo nella classifica europea e mondiale, la fiducia nella Fossa delle Marianne.
“Ho trovato un muro – racconta in quel del Golf Milano- quando invece in precedenza non avevo mai trovato ostacoli sulla mia strada. Tutta la mia carriera era stata in discesa fino ad allora. Non sapevo come uscirne, come fare, cosa fare, come comportami, come affrontare il tutto”.
Ma cos’era quel muro?
“È che non riuscivo più a capire cosa facevo bene, quando facevo bene. E allora ho iniziato a dubitare. E ho iniziato a dare ascolto a tutto quello che mi girava intorno. E sentivo cose che non avrei dovuto ascoltare, ma purtroppo tutti abbiamo delle orecchie”.
Avevi paura di non farcela?
“Certo: ci sono stati momenti durissimi. La verità è che non riuscivo più a vedermi vincente. Avevo bisogno di riavvolgere il nastro del film della mia vita e ricominciare a rivedermi per quello che ero e che ero stato capace di essere. Ma non ci riuscivo”.
E come ne sei uscito?
“Con il torneo in Scozia. Lì per la prima volta mi sono risentito a mio agio, contento, in pace. Stavo finalmente bene in campo”
Ma, immagino, il lavoro era iniziato prima…
“Sì. Ho dovuto mettere un punto. Dovevo bloccare tutto quel periodo. Ho preso tempo: tre settimane, per me. Ho cambiato il modo di approcciare le cose. Mi ero allontanato dalle cose che mi facevano stare bene. Allora sono tornato alle basi, mentali e tecniche, che mi avevano accompagnato da sempre. Sono tornato alle persone più vicine: Alberto, Massimo, la mia famiglia. E poi durante l’inverno ho praticato, lavorato tanto. All’inizio dell’anno ovviamente ho fatto un po’ di fatica a portare questo pacchetto in campo, ma poi, piano piano tutto ha iniziato a girare per il verso giusto. E poi finalmente è arrivato lo Scottish Open e il terzo posto. Adesso posso permettermi di avere obiettivi più grandi rispetto all’inizio dell’anno: non più superare il cut, ma ambire a qualcosa di più”.
Chi ti ha aiutato a capire tutto questo?
“L’ho fatto da solo. Dovevo farlo io”.