Si sa che spesso le prime impressioni sono quelle che contano e di rado Noor Ahmed, giovane studentessa dell’Università del Nebraska, è passata inosservata nel corso della sua vita.
A volte è bastato solamente il nome per attirare l’attenzione su di sé e quando decise di presentarsi a scuola e solcare i fairway indossando lo hijab, il velo della tradizione islamica, gli occhi di tutto il mondo si catalizzarono di lei.
Questa è la storia di Noor Ahmed e del suo incredibile coraggio nel dimostrare al mondo come una ragazza di religione musulmana possa andare contro tutto e tutti, sfidando gli haters per dimostrare la propria appartenenza al mondo ed essere esempio per tutte le ragazze come lei.
Tutta questa forza Noor l’ha acquisita dalla sua famiglia.
Figlia di egiziani emigrati negli Stati Uniti a causa delle persecuzioni politiche, Noor è nata e cresciuta in America.
Il padre, Tamir, è un ingegnere civile e la madre un’insegnante della scuola elementare.
Da sempre, hanno incoraggiato la figlia e il fratello minore a dedicarsi allo sport, strumento fondamentale nella tradizione egiziana, ma l’avvicinamento al golf non è stato amore a prima vista.
“Ammetto che lo odiavo, avevo appena 8 anni quando mio padre mi mise in mano un ferro e lo trovavo uno sport estremamente umiliante” – ci ha raccontato la giovane atleta.
“Avrei voluto smettere e dedicarmi ad altro ma mio padre è stato categorico, dicendomi che se nella vita e nello sport voglio raggiungere un determinata meta, questo percorso passa attraverso il duro lavoro e continue prove.
Ho allora iniziato a pormi dei piccoli obiettivi che man mano raggiungevo con l’allenamento e la dedizione e da allora non mi sono più fermata.
Mi sono innamorata del golf perché ti dà indietro tutto quello che investi in termini di sacrificio e passione”.
Parliamo della tua scelta di indossare lo hijab, è stata una tua iniziativa e sei stata costretta?
È stata una scelta fortemente voluta da me, nessuno mi ha costretto anzi, inizialmente non l’avevo nemmeno detto ai miei genitori, volevo prima testare la reazione dei miei compagni, di chi mi stava attorno e capire quanto potessi sentirmi a mio agio.
È difficile giocare con il velo? Non ti senti costantemente gli occhi della gente addosso?
Non è difficile fisicamente ma può essere mentalmente impegnativo perché devi accettare che sarai l’unica ragazza “diversa”.
Ammetto che inizialmente mi sentissi come un pesce fuor d’acqua ma la forza di volontà e la mia voglia di fare la differenza hanno prevalso.
Questa tua scelta ha generato, specialmente sul web, diverse critiche da parte degli haters. Come hai reagito e superato queste difficoltà?
Non riesco a controllare ciò che le altre persone pensavo e fanno ma posso invece controllare i miei sentimenti.
Sto facendo del mio meglio per estraniarmi e imparare a bloccare tutta la negatività che arriva dall’esterno, è l’unica cosa che posso gestire.
Questi haters pensano di demolirmi quando invece non fanno altro che alimentare la mia voglia di indipendenza.
A tuo parere, quali sono i tabù da superare?
Ci sono stereotipi sulle donne musulmane che sto provando a demolire, tra questi, la credenza che le donne siano oppresse e mansuete, senza una propria identità.
Bene, se dovessi incontrarmi per strada direi esattamente l’opposto e mi accorgerei invece che sono prima di tutto molto schietta.
Non ho paura di condividere il mio pensiero e sicuramente non permetto a nessuno di zittirmi.
Tutto questo lo devo ai miei genitori che mi hanno cresciuto con un obiettivo per preciso, essere finanziariamente indipendente, avere un carattere forte, non fermarmi mai davanti all’apparenza ed esprimere le mie opinioni senza paura delle conseguenze.
Può sorprendere specie quando si ha una visione ristretta della donna musulmana, anche nello sport.
La religione non è un ostacolo, ci sono molte ragazze che praticano attività fisica, più di quelle che si pensi.
Noor, hai forza da vendere! Quanta discriminazione c’è ancora nello sport nei confronti di noi donne?
Non posso rispondere a nome di tutte, ma sì ce n’è ancora molta e credo che una soluzione sia cambiare la propria prospettiva perché il cambiamento è negli occhi di chi guarda.
E allora facciamolo, perché se vogliamo davvero eliminare le barriere dobbiamo partire dallo sguardo con il quale guardiamo il mondo.
Il racconto personale di Noor ci offre diversi spunti di riflessione.
Come lei tantissime giovani donne ogni giorno lottano per realizzare i propri sogni pur rimanendo fedeli al proprio credo.
E nello sport la storia è ricca di esempi.
Durante le Olimpiadi di Rio 2016 hanno fatto parlare di loro la pakistana Kulsoom Abdullah, la prima donna con l’hijab nella storia del sollevamento pesi, la diciottenne Kimia Alizadeh, che nel taekwondo è stata la prima iraniana a vincere una medaglia olimpica.
Ci fu la coppia egiziana di beach volley, che sulle spiagge di Copacabana hanno sfidato col caratteristico velo i bikini mozzafiato delle avversarie, e la saudita Kariman Abuljadayel, che si è presentata ai Giochi brasiliani nonostante il suo governo storcesse il naso e ha coronato il sogno di correre i 100 metri.
Ma, forse, il vero problema non è il velo o una tuta che copra il corpo, piuttosto il modo attraverso il quale interpretiamo questi strumenti come proibizionistici e non come forme di rispetto della propria persona e della propria culturalità.
Storie di donne e di coraggio che a volte vengono date per scontate, riducendo tutto a un mero pregiudizio.
E no, questo non è banale femminismo.
Siamo ancora in un mondo pieno di cultura dominata dall’odio e dal risentimento nei confronti delle minoranze e ancora una volta siamo noi, il “sesso debole” a dover fare la differenza spezzando le catene.