La strada è ancora lunga ma i segnali confortanti si sono già ampiamente visti. Dopo un 2020 in cui ha giocato poco e senza brillare, Francesco Molinari è tornato di nuovo protagonista sul PGA Tour.
I due top ten ottenuti all’American Express e al Farmers Insurance Open, di fronte a molti big del circuito statunitense, sono certamente il miglior viatico di una stagione in cui il numero uno azzurro tenterà di tornare ai livelli che lo hanno reso celebre nel mondo come ‘Laser Frankie’ tra il 2018 e l’inizio del 2019. Un periodo magico che gli ha fruttato due successi sul PGA Tour, quello al PGA Championship di Wentworth, lo storico major all’Open Championship di Carnoustie e la straordinaria Ryder Cup di Parigi.
Questa settimana Chicco gioca in casa. Sì perchè da quando si è trasferito con la famiglia da Londra a Los Angeles, il Riviera Country Club è diventato di fatto la sua nuova sede di lavoro quotidiana. Normale quindi aspettarci da Chicco un’altra prestazione convincente nel Genesis Invitational, in programma proprio su questi fairway da giovedì 18 a domenica 21 febbraio, appuntamento storico del PGA Tour nato nel 1926 e dal 1973 ospitato dal circolo di Pacific Palidades, comunità che sorge nei confini della città di Los Angeles. Qui ha debuttato nel 1992 sul PGA Tour un 16enne dilettante di belle speranze, Tiger Woods, e qui hanno vinto 25 giocatori che fanno parte della prestigiosa Hall of Fame, club che raccoglie i più grandi di sempre di questo sport.
Il 59° posto con cui Molinari ha chiuso settimana scorsa l’AT&T Pebble Beach Pro-Am non può essere considerato un segnale d’allarme ma un semplice passaggio a vuoto del tutto prevedibile in questa fase.
Allora Francesco, qual è il tuo stato di forma alla vigilia del torneo che giochi praticamente in casa?
Sto bene e mi sono preparato nel modo giusto per questa stagione, lavorando tutto l’inverno qui al Riviera. Guardando indietro ora posso dire che nelle ultime stagioni ho dovuto far fronte ad alcuni problemi tecnici con il mio swing. In qualsiasi sport quando i risulati non arrivano è difficile da sopportare ma penso che la maggior parte dei problemi non fossero strettamente correlati a un singolo risultato, come quello del Masters, avevo soltanto perso alcuni elementi che mi avevano fatto giocare così bene nel 2018 e all’inizio del 2019. Ci è voluto del tempo per capire quali.
Il mese scorso, dopo un brutto 2020, hai ottenuto due ottimi Top Ten. Cosa è cambiato?
Ho lavorato bene e mi sono concentrato molto di più sul golf. L’anno scorso all’inizio non giocavo bene. Poi da marzo a settembre non ha fatto davvero molto e avevo da risistemare la mia vita e quella della mia famiglia qui in California. Nei tre eventi a cui ho partecipato lo scorso autunno (taglio allo Shriners Open, 15° al Vivid Houston Open e taglio al Masters) non avevo grandi aspettative, perché avevo effettuato una preparazione minima, ma è stato utile per ritrovare il ritmo e l’atmosfera di gara.
Sei diventato membro del Riviera Country Club, un circolo prestigioso. Com’è stato il primo approccio?
Tutti sono stati fantastici. Todd Yoshitake, il direttore del golf, e il suo staff sono stati davvero ospitali. Ho conosciuto alcuni soci e ho pure giocato con loro. Ho avuto modo di vivere il tracciato da vicino e ora posso dire di iniziare a capirlo meglio. È uno di quei campi che mi piace come layout, anche se in passato non ho mai giocato particolarmente bene il Genesis Invitational.
Non ci sono molti giocatori del PGA Tour che hanno base in California. La maggior parte è in Arizona o in Florida. Non ti dà fastidio non avere alcuni colleghi con cui confrontarti?
Giocare e allenarsi con professionizti del Tour è certamente uno stimolo. Alcuni sono stati qui, come Patrick Rodgers, con cui ho giocato un paio di volte, così come Patrick Cantlay, che durante l’inverno trascorre un po ‘di tempo da queste parti. E poi ci sono alcuni ottimi giocatori che sono soci della Riviera o del Los Angeles Country Club.
Parliamo di motivazioni e di quanto queste siano determinanti per arrivare in alto. Ti è tornato quel fuoco?
Da questo punto di vista prendersi una pausa è stato davvero importante. Ne ho approfittato in un periodo stravolto dalla pandemia, se fosse stato un anno normale probabilmente non l’avrei fatto. Penso che stare lontano da tutto a volte sia il modo migliore per farti capire quanto il tuo mondo ti manca, quanto lo desideri e quanto vuoi tornare ad assaporare il gusto del successo. Tutto questo ha sicuramente aiutato molto a far crescere le mie attuali motivazioni.
Guardi mai i video dei tuoi trionfi passati? Tipo l’ultimo giro a Carnoustie o gli highlights della Ryder Cup 2018?
Ad essere onesto, no. L’anno scorso è stato molto strano per chiunque ma per me soprattutto da un punto di vista professionale. Ci sono stati momenti in agosto in cui non ho giocato per settimane e mi sono detto: tornerò mai a farlo? Poi mi sono sentito spinto a riprovarci, ma ci è voluto un po’ per assimilare il tutto.
Il trasferimento negli Stati Uniti cambierà il tuo programma per il 2021? Giocherai ancora sull’European Tour?
Cambierà un po’. Tornerò in Europa quando i bambini avranno le vacanze scolastiche, e passeremo l’estate lì. Probabilmente giocherò alcuni tornei in più in Europa, cosa che negli ultimi anni non facevo spesso, partecipando solo al finale di stagione. Comunque sì, la mia intenzione è quela di giocare ancora su entrambi i circuiti il più a lungo possibile.
Il tuo gioco attuale ti sta soddisfando?
La cosa più importante è che mi sto divertendo. È bello poi avere Fooch (Mark Fulcher, ex caddie di Justin Rose) che mi porta la sacca. È un grande personaggio, ha un sacco di esperienza e vuole dimostrare il suo valore anche con me. C’è una buona energia in tutto il team e non vedo l’ora che arrivino i primi risultati importanti, ce li meritiamo per il grande lavoro che stiamo facendo.
Questo è un anno di Ryder Cup, e vista l’incredibile esperienza del 2018, immagino che non vorrai perderti l’edizione di esserci a Whistling Straits.
Per tutti è chiaramente un grande obiettivo del 2021. Ad essere onesto sono così indietro che non ho nemmeno guardato dove mi trovo nell’attuale ranking del team europeo (65° nella classifica europea, 54° in quella mondiale). Ho una lunga, lunga strada davanti a me, ma spero di giocare abbastanza bene per meritarmi un posto in squadra. Non posso negare che mi piacerebbe far ancora parte della squadra ma dovrò come tutti meritarmelo attraverso il gioco e i risultati.