Difficile non stropicciarsi gli occhi davanti alla classifica del 83° Masters a 18 buche dal termine: FRANCESCO MOLINARI 203, che tradotto significa 13 colpi sotto il par all’Augusta National Golf Club.
Sì, abbiamo capito e soprattutto visto bene: TREDICI, e con due colpi di vantaggio sui primi inseguitori, nientemeno che Tiger Woods e Tony Finau. Non è un sogno ma il risultato reale finale del terzo giro di un sabato storico, un “Moving Day” tinto d’azzurro che spalanca al nostro Chicco le porte dell’ultimo flight di domenica al Masters.
Solo Costantino Rocca nel 1997 era riuscito in un’impresa simile, giocando le ultime 18 buche del major più bello e ambito proprio con Tiger ma partendo da 210 contro i 201 di Tiger, nell’anno della prima delle quattro Giacche Verdi del Fenomeno, quella in cui firmò il record per il punteggio finale più basso (270, -18) e quello per il maggior margine di distacco dal secondo (12 colpi).
Giusto per capire la portata di quanto Molinari ha fatto sinora ad Augusta basta partire proprio da quel 203, ovvero solo due piccoli colpi in meno del miglior Tiger che il Masters abbia mai visto, quello devastante che a 21 anni nel 1997 si infilò di prepotenza la Giacca Verde addosso iniziando una carriera inimitabile.
A distanza di 22 anni da quella domenica di aprile, Tiger è ancora lì, a giocarsi il titolo con quello che oggi, a tutti gli effetti, è una delle più grandi stelle del golf mondiale, Francesco Molinari.
Chicco è ripartito da dove aveva finito ieri, dalla testa. Nessun proclama, solo fatti: un golf capace di rasentare la perfezione assoluta su un tracciato in grado di punire anche i più grandi al minimo errore.
Freddo, impassibile, implacabile. Dopo due giri perfetti ecco il capolavoro di sabato. Partendo da leader, con gli occhi del mondo addosso e il fiato di tutti i più grandi al collo, Molinari firma un 66 da antologia, andando ad attaccare tutte le aste del campo senza timore.
Un laser dal tee, un cecchino dal fairway, infallibile con il putt, sempre toccato con i giri perfetti per cadere, immancabilmente, in centro alla buca.
Da queste parti, si sa, Tiger è una leggenda intoccabile; aver in parte rubato la scena a chi ha scritto la storia di questo magico torneo e quella del golf degli ultimi vent’anni è già di per sé qualcosa di sovrumano.
A togliere la prima pagina a Chicco ci ha provato Tony Finau, autore con Webb Simpson e Patrick Cantlay del giro più basso della giornata in 64, a un solo colpo dal record ad Augusta, 63, score segnato solo due volte nella storia del torneo da Nick Price nel 1986 e da Greg Norman nel 1996.
Ma non è bastato neppure questo e un grandissimo Tiger per spodestare Laser Frankie dalla testa; anche gli americani si sono dovuti alzare in piedi e applaudire la spettacolare sequenza di quattro birdie consecutivi dalla 12 alla 15 con cui l’azzurro ha domato la parte più delicata dell’Augusta National e i suoi avversari, andando a chiudere senza nemmeno l’ombra di una piccola sbavatura.
Quando lo scorso luglio, nello scenario di Carnoustie, si è andato a prendere la Claret Jug proprio davanti a sua maestà Tiger Woods, chiunque, anche l’ultimo scettico, aveva capito che quella non poteva essere una vittoria nata per caso.
E, se volete prendere nota, Chicco ha chiuso le prime 54 buche del Masters con un solo bogey (!), alla 11 del giorno iniziale. Il che significa anche 43 buche consecutive senza un errore. Pazzesco, visto che stiamo parlando dell’Augusta National.
Domani l’asticella rispetto all’Open Championship sarà però ancora più alta; in palio questa volta c’è una giacca che Woods vuole rindossare più di ogni altra cosa al mondo e che farà di tutto per riportarsi a casa. Così come da dietro, con i green decisamente più morbidi dello standard di Augusta, non ci sarà da sorprendersi di assistere a clamorose rimonte e punteggi ancora molto bassi.
L’Augusta National domenica pomeriggio sarà un’arena, una bolgia da cui solo i grandissimi sono in grado di uscire vincitori. La storia è dietro l’angolo.