È il grosso punto di domanda di questa vigilia dell’85° Masters. Che Rory McIlroy ci dobbiamo aspettare ad Augusta, quello falloso e impreciso delle ultime deludenti uscite o quello brillante e spettacolare che lo ha portato ad essere considerato il giocatore con più talento in circolazione?
Tra poco meno di un mese (il 4 maggio) quel riccioluto ragazzino nordirlandese che ha stupito il mondo vincendo 4 major in altrettanti anni (U.S. Open 2011, Pga Championship 2012, Open Championship e Pga Championship 2014) compirà 32 anni.
Dal 2007 calca i fairway di European e PGA Tour e giovedì ad Augusta giocherà il suo 48° major e il suo 13° Masters. Ma il vero Rory, quello tritatutto e tutti capace di performance stellari è al momento un pallido ricordo: il successo gli manca dal dicembre del 2019 (WGC-HSBC Champions) ma soprattutto il suo gioco è entrato in una spirale di preoccupanti alti e bassi che lo hanno momentaneamente allontanato dalle prime posizioni del World Ranking (attualmente è 12°), minandone la fiducia.
Che un cambiamento di strada e di marcia fosse necessario per rimettersi in fretta in carreggiata e non perdere il treno del successo Rory lo sapeva bene: ecco allora Pete Cowen, storico coach di molti attuali top player, assoldato per iniziare un nuovo percorso e tornare più forte di prima.
Le aspettative di Rory alla vigilia di questo 85° Masters sono molte: prima su tutte verificare lo stato del lavoro in corso con Cowen (in carica come ‘swing coach’ dal 23 marzo scorso) e capire fino a che punto questo possa portarlo a essere di nuovo protagonista, a partire dai major.
“Cowen mi ha visto crescere swingando. Non penso che abbia idee preconcette nella sua testa su come dovrei fare il movimento – ha dichiarato ad Augusta -. Mi sembrava solo che fosse una scelta naturale per il fatto che lui sa perfettamente qual è il mio obiettivo. Anche la sua esperienza nel gioco corto è incredibile e penso che se riesco a rendere proficui i suoi suggerimenti questi possono servirmi non solo ora ma a lungo termine”.
McIlroy ha anche spiegato che la filosofia dello swing di Cowen è in sintonia con ciò su cui sta cercando di lavorare in questo momento, soprattutto sul downswing e sul braccio destro. “Dubito che qualche sessione di allenamento possa portare subito a cambiamenti visibili ma sono convinto che questa sia la strada giusta e che prima o poi il lavoro che stiamo facendo ci ripagherà”.
McIlroy con il Masters ha avuto sin’ora un rapporto di odio-amore. Ad Augusta nel 2011 stava sgretolando ogni record, giocando quasi sul velluto intanto che gli altri annaspavano dietro a lui. Poi, improvvisamente, il crollo, iniziato con quel celebre hook alla buca 10 del 4° giro, finito nel giardino di una delle ville, e un pesantissimo 80 finale che ha sgretolato il suo sogno di indossare la prima Giacca Verde.
Dopo quell’incredibile debacle McIlroy ha continuato da dove aveva iniziato, vincendo. Lo ha fatto sul PGA e sull’European Tour, nei major e nei WGC, ma la ferita di Augusta è rimasta sempre aperta. Con tre dei quattro major già in bacheca, il Masters resta il crocevia della sua carriera, il torneo che gli permetterebbe di mettere a tacere tutti e di entrare nell’Olimpo del golf, in compagnia di Gene Sarazen, Ben Hogan, Gary Player, Jack Nicklaus e Tiger Woods, gli unici cinque ad aver completato il Grande Slam.
Dal 2014 al 2018 Rory non è mai uscito dai Top Ten ad Augusta, ma negli ultimi due anni ha giocato sempre a rincorrere i migliori a causa di inizi disastrosi, un dejavù visto e rivisto spesso anche quest’anno.
Se Pete Cowen sarà come dice lui l’inizio di un nuovo percorso lo vedremo presto, a partire da giovedì e da come gestirà le prime difficoltà a cui andrà incontro. Un Masters senza Tiger non è un vero Masters: la speranza è quindi quella di non perdere per strada anche un altro grande talento del golf mondiale. Il golf e Augusta hanno bisogno del miglior Rory.