Devastante, mostruoso, un extraterreste. Questi gli aggettivi per descrivere il Rory McIlroy entrato nell’area dell’Augusta National per il terzo giro dell’89° Masters. Il suo primo tee shot alla buca 1, 371 yard a volare il bunker di destra, è parso quasi una sorta di avvisaglia a quello che si sarebbe assistito da lì a poco.
Un giocatore che di fatto, se ancora ce n’era bisogno, ha mostrato di essere di un’altra categoria rispetto a tutto il resto del field. Birdie, eagle, birdie lo score delle sue prime tre buche, la folla in delirio, la testa del Masters presa in un lampo alla faccia di Justin Rose e compagni.
Il solo Bryson DeChambeau ha resistito, rimanendo in scia di un nordirlandese scatenato, impeccabile per le prime sette buche di questo attesissimo sabato in cui aveva gli occhi del mondo puntati addosso.
Poi il peso del Masters, quello della storia e dei fantasmi dei tanti major buttati al vento in undici anni di tentativi dall’ultimo Slam vinto hanno provato ancora una volta a spezzare in parte la magia di un giro magico.
Ma in un dettaglio non indifferente McIlroy è apparso diverso: là dove gli errori (pochi) sono arrivati, non si è mai scomposto come in passato, non li ha subiti al punto tale da perdere convinzioni e gioco. Li ha assimilati, in una sorta di accettazione di quello che il Masters e l’Augusta Masters rappresentino nel suo cammino, l’ultimo, decisivo passaggio per entrare nella leggenda del golf di tutti i tempi.
Il suo bogey alla 8, il birdie mancato alla 9 e il secondo colpo perso in tre buche alla 10 in molti sono apparsi come il primo segnale dell’ennesimo crollo del nordirlandese.
Invece questa volta il vento è cambiato: McIlroy ha stretto i denti nel momento più complicato, ha lottato per poi tornare a mostrare il suo lato migliore, quello del vero fenomeno. Il pesante e decisivo birdie della 13 e lo strepitoso eagle della 15, tutto potenza e classe, hanno rimesso il corso della storia al suo posto, prima di un finale senza sbavature sino alla 18.
Secondo 66 di fila dopo quello di venerdì, secondo miglior score di giornata di questa 89esima edizione (oggi pareggiato solo da Zach Joonson) e leadership solitaria a -12, con due colpi di vantaggio su un Brysonn DeChambeau che ha lottato come un leone sino all’ultimo colpo della 18, imbucato dalla lunghissima distanza per rimanere in scia del nordirlandese.
Solo 18 buche dividono ormai Rory McIlroy dal coronare il sogno di realizzare finalmente il tanto sospirato Grande Slam della carriera, conquistando l’unico major che ancora gli manca in bacheca, il Masters.
Diciotto buche che, ancora una volta, metteranno a dura prova Rory di fronte a quelli che sono stati per undici anni i suoi peggiori fantasmi, l’Augusta National e l’enorme peso di sapere di non poter fallire.
Senza dimenticare Bryson DeChambeau, l’ultimo in ordine di tempo a soffiargli un major, lo U.S. Open a Pinehurst lo scorso giugno.
Per entrare nell’Olimpo del golf McIlroy lo sa bene. Ad Augusta domenica servirà mettere in campo non solo il suo immenso talento ma cuore, testa e anima, e forse qualcosa in più.
Il destino è solo e soltanto nelle sue mani. Manca un ultimo sforzo, diciotto lunghissime buche nel tempio dell’Augusta National per chiudere il conto e diventare finalmente leggenda.
Questa la classifica al termine del terzo giro del 89° Masters
