Fino a qualche mese fa, il grande pubblico dei guardoni delle cose sportive discettava di “gioco di piedi” solo in casi mirabili di tennisti leggeri come farfalle (ad esempio Federer), o di calciatori esplosivi nei dribbling (vedi Cristiano Ronaldo), o di giocatori di basket veloci come un Mamba (Kobe Bryant, e chi se no?).
Dal canto suo, il mondo del golf pareva immune da certe terminologie che implicavano un qualsivoglia sudore della fronte, e che dunque mal si accompagnavano con la sensazione che il movimento dello swing non fosse altro che un ripetersi meccanico e ossessivo di posizioni statiche e assai eleganti imparate su polverosi manuali di tecnica. eppure…
Eppure sotto la patina ormai invecchiata di gioco assai poco atletico, qualcosa di grosso covava sotto la cenere golfistica.
C’era sempre più il ricorso alla tecnologia che avanzava prepotente, e c’erano soprattutto gli studi biomeccanici del dottor Young Hoo Kwon e di Chris Como che a quella stessa tecnologia tantissimo dovevano.
Dopo anni di queste ricerche ossessive e dopo migliaia di test swingatori, infine, il “gioco di piedi” marcava il suo ingresso anche sui fairway e lo faceva dalla porta principale: se un campione solido e dalle piante dei piedi quiete e totalmente ancorate al terreno come Francesco Molinari iniziava a gennaio ad alzare il tallone sinistro all’apice del backswing e ad aprire la punta di quello sinistro nel follow- through, diventava evidente anche al mondo dei guardoni golfistici che qualcosa di nuovo, anzi d’antico, era nell’aria.
“A dire il vero – spiega Federico Bsazza, coach di talenti come Lorenzo Scalise, Luca Cianchetti E Stefano Mazzoli – non stiamo parlando di una vera e propria innovazione, ma di idee e concetti che giravano nell’ambiente del golf da anni, frutto di studi approfonditi dei biomeccanici. Parliamo perciò di una naturale evoluzione della tecnica dello swing, che col tempo si è avvicinata sempre più a quella del lancio del giavellotto o del disco, a quella cioè di gesti atletici veri e propri”.
Grazie ai risultati delle ricerche di Kwon & Co. si è insomma capito che nella fase di discesa verso la palla, la massima velocità della testa del bastone si raggiunge in assenza di spostamenti laterali paralleli al terreno sia da parte del busto che della parte inferiore del corpo del giocatore, che, al contrario, deve utilizzare solo forze verticali e rotative.
“Francesco Molinari – continua Bisazza – alza il tallone del piede sinistro nel backswing per creare una maggiore torsione del busto in salita, per poi cercare di far scendere il bastone più in basso verso il terreno, andando a schiacciare coi piedi sull’erba alla ricerca di quella ground reaction force che è alla base delle lunghezze stratosferiche che vediamo raggiungere col driver da questi campioni”.
Tradotto: se in fase di dowswing con i piedi si crea una forte pressione sul terreno, quello stesso terreno diventa un trampolino da cui prendere una velocità incredibile.
“Questa forza che i giocatori moderni come Justin Thomas o Matthew Wolff imprimono verso il basso – spiega Mario Tadini, responsabile tecnico dell’attività giovanile della zona 1- è talmente violenta che, per leggi fisiche, il terreno può solo restituirgliela maggiorata, facendoli di fatto rimbalzare con i piedi per aria al momento dell’impatto con la pallina”.
Succede così che se un tempo lo swing in discesa era tutto uno spostamento laterale verso sinistra e poi una rotazione verso il bersaglio, oggi quello stesso swing è diventato altro: un’enorme pressione verso il basso, per poi saltare verso l’alto e ruotare in piena velocità verso sinistra.
“Il risultato – riprende Bisazza – è che oggi il perno di tutto il movimento può comodamente restare sempre e solo sulla gamba destra, esattamente come fanno i lanciatori del giavellotto, i discoboli e i giocatori di baseball.
L’unico assioma da rispettare è l’azzeramento totale degli spostamenti laterali orizzontali: si ruota salendo, si salta colpendo e si ruota di nuovo attraverso e dopo l’impatto”.
Lo scopo di questa rivoluzione tecnica è duplice: ottenere il massimale della velocità della testa del bastone in discesa verso la palla, azzerando contemporaneamente le rotazioni della faccia del bastone.
Se ben eseguito, lo swing moderno prevede che sia la testa del bastone a inseguire il corpo e non il contrario, come accadeva invece fino a qualche anno fa.
Ora: questo è quanto sta accadendo nei driving range più moderni e sui tour mondiali con i campioni più giovani, ma il futuro di questo swing a cosa porterà?
La risposta ce la fornisce ancora una volta Bisazza: “punto primo, ci porterà a giocatori con una velocità della testa del bastone intorno alle 130 miglia orarie e infatti il coach George Gankas ha già una decina di giovani allievi assestati su queste cifre; punto secondo, a un finish con la punta del piede sinistro sempre più girata a sinistra verso il bersaglio; punto terzo, a minor problemi alla schiena, alle gambe, alle ginocchia e alle anche”.
Insomma, Robocop pare essere dietro l’angolo anche nel golf.