A chi non ha il piacere di conoscere il golf, o ancora meglio a chi è convinto che questo sia soltanto un hobby da ristretto ed esclusivissimo circolo di ultraottantenni mi piacerebbe invitarlo questa settimana a trascorrere una giornata per lui fuori dall’ordinario al Marco Simone.
Quando ancora le luci dell’alba stentavano a colorare la campagna romana, siamo arrivati a Guidonia Montecelio per iniziare la copertura redazionale dell’evento più importante che il nostro paese abbia mai avuto l’onore di organizzare, la Ryder Cup.
Ora, spiegare a chi non è animato dalla passione per bastoni e palline cosa rappresenti davvero la biennale sfida tra i due poli golfistici per antonomasia non è certamente una passeggiata. Ma credo che basterebbero poche ore a stretto contatto con tutto quello che oggi abbiamo visto al Marco Simone per farlo cambiare immediatamente opinione.
Molto più dei numeri, che comunque parlano di un audience televisiva di oltre 600 milioni di spettatori per quello che di fatto è il terzo evento sportivo mediatico più importante del Pianeta, a parlare sarebbe semplicemente una sola cosa: la realtà.
Da tre anni conosciamo ormai ogni angolo e dettaglio del Marco Simone e del suo percorso, sede delle ultime tre edizioni dell’Open d’Italia. Lo abbiamo visto crescere e migliorare stagione dopo stagione, fino ad arrivare pronto e nella veste migliore per esibirsi nel suo spettacolo più atteso, la 44esima Ryder Cup.
Sono stati scritti fiumi di parole su questa per noi storica e per molti versi irripetibile prima volta, con i più scettici a ipotizzare scenari apocalittici e flop epocali per il nostro paese. Entrare al Marco Simone oggi è stato invece come calarsi nel nostro miglior sogno possibile, anzi forse qualcosa in più. Ho provato mille volte a immaginarmi IL MOMENTO, quello del primo impatto, e se mai mi sarei davvero emozionato di fronte a quanto avrei visto.
Il colpo d’occhio, con l’alba ormai dietro l’angolo, è stato quello delle grandi occasioni, delle esperienze che ti ricordi per il resto della tua vita. Pochi passi per esibire ai controlli il fresco pass stampa appena ritirato ed ecco di fronte a noi la Ryder Cup in tutta la sua potenza.
Mi sono fermato a osservare per qualche istante la vastità del Fan Village, cuore pulsante del divertimento di un’intera settimana che vedrà transitare da qui oltre 250mila persone, i dettagli di ogni singolo spazio allestito nei suoi dintorni per godersi la festa, l’imponente Merchandising Pavilion e là, dietro alle enormi tribune, il campo, in tutto il suo fascino e splendore, quasi fosse stato dipinto tra le pieghe dei naturali saliscendi collinari della campagna romana.
Ho dovuto metterci qualche secondo per capire che tutto questo stava accadendo proprio qui, non in Scozia, in Inghilterra, in Galles o Francia che sia, e nemmeno in uno degli iconici campi degli Stati Uniti che hanno scritto la storia di questo evento. Stava succedendo a Roma e al Marco Simone.
Da italiano e da chi conosce quale e quanto sia stato enorme lo sforzo di tutti gli attori protagonisti coinvolti in questo viaggio ammetto che la soddisfazione è stata enorme. Un brivido di emozione mi ha attraversato in quel minuto di silenzio in doverosa ammirazione dello scenario che avevamo di fronte.
Dal silenzio delle prime ore del giorno al piacevole frastuono della festa, della musica e dei primi cori dei tantissimi tifosi accorsi per godersi la giornata è stato un attimo. È l’ora delle foto ufficiali, di sorrisi tra compagni di team, di riunioni e di strategie da mettere a punto e di affinare i colpi testando il teatro dei sogni, il percorso.
Europa e Stati Uniti sembrano volutamente non sfiorarsi nemmeno, con le due squadre impegnate sulle buche opposte. La battaglia in un certo senso è già iniziata, almeno quella dei nervi. E tutto intorno lo spettacolo anche. La Ryder è questo, nulla più, nulla meno. Emozione pura, adrenalina, l’essenza del golf nella sua massima espressione. E l’Italia, Roma e il Marco Simone hanno risposto presenti.