Si dice che l’apparenza inganni e Brooks Koepka rappresenta a pieno questo motto.
Partiamo nel dire che il campione americano non sembra affatto un killer spietato come molti lo disegnano. Il trentunenne, quattro volte vincitore di major, si presenta davanti a noi calmo, sorridente, indossa una maglietta e dei pantaloncini corti.
Il classico ragazzo della porta accanto se non fosse per un dettaglio impossibile da non notare. Il suo ginocchio destro presenta una cicatrice molto evidente, ricordo dello strano incidente avvenuto nel marzo scorso, quando un passo falso si è trasformato in una rotula lussata e la sua gamba si è girata di lato in modo innaturale.
Forse ci vorrebbe un assassino per fare ciò che poi ha fatto Koepka allora: ha abbassato lo sguardo e ha raddrizzato la gamba rimettendo la rotula in sede. Peccato che, così facendo, ha compromesso l’intero ginocchio, rendendo necessario un intervento chirurgico per ricollegare il tendine rotuleo al residuo osseo. Il suo racconto stringato e semplificato di quell’evento è perfettamente coerente con il ragazzo che abbiamo di fronte.
Un giocatore che ha preferito che i suoi bastoni parlassero per sé, un fuoriclasse che ha ottenuto 15 Top 10 nei major dal 2015 ad oggi. In un’intervista a cuore aperto, Brooks Koepka ci mostra lo spettro emotivo dell’atleta professionista moderno, le capacità fisiche e mentali necessarie per vincere, l’essere nella mischia durante le vittorie iconiche di Tiger Woods al Masters del 2019 e cosa significhi rappresentare l’America in Ryder Cup.
La tua sacca non è come quella dei tuoi colleghi del Tour. Nessun grande logo, un mix eclettico di bastoni di diverse marche, incluso un ferro che non esiste più…
Non sono un tipo che ama le novità. Da cinque anni gioco lo stesso ferro 3 della Nike, fuori produzione da non so quanto tempo e uso ancora un wedge Vokey SM4. A che numero di serie sono arrivati adesso, SM8? Per non parlare del putter, ho lo stesso modello dal 2008.
Quindi sei dell’idea che “Se funziona, perché cambiare”?
Esattamente. Sono sette anni che non faccio un fitting e non testo un driver o lo shaft di un legno 3.
Levaci una curiosità: ma con la tua potenza non hai mai rotto dei bastoni così datati e consumati?
Eccome! Vi racconto una storia divertente. Nel 2016, in occasione dello U.S. Open di Oakmont, ero in campo pratica e, durante l’allenamento, faccio uno swing di prova con il mio driver Nike e mi parte una zolla enorme. Era uno swing così brutto che lo shaft mi si spezzò appena sotto l’impugnatura, anche perché la grafite si indebolisce nel tempo. A quel punto decisi di regalarlo a un bambino lì presente. In quel momento intervenne il mio coach dell’epoca, Claude Harmon III, che in pratica strappò il bastone dalle mani del bambino e me lo riconsegnò perché riteneva che fosse perfetto per me.
Quanto al bambino, gli promisi che gli avrei spedito un altro driver, identico al mio. Bene, il giorno dopo, la Nike smise di produrre bastoni da golf.
Ormai esistono solo bombardieri o i giocatori sanno ancora lavorare la palla come ai vecchi tempi?
Credo che esistano entrambi. Gli architetti moderni progettano i campi sempre più lunghi per difenderli dai giocatori dalle distanze siderali ma non si rendono conto che le buche più belle e difficili sono lunghe 140 metri.
Ci puoi fare un esempio?
La 11 del Royal St. George’s, un par 3 con un green enorme e un piccolo gradino in fondo. Dai back tee misura 215 metri al centro del green e dal tee avanzato sono più o meno 155 metri e, paradossalmente, il colpo più difficile è proprio quello più corto. Da dietro, si gioca sempre un ferro 3 e, siamo sinceri, con quel bastone non hai grandi prospettive, se la palla finisce cinque metri corta o cinque metri lunga fa poca differenza. Ma con un ferro 7 o 8 le cose cambiano e le aspettative su quel determinato colpo sono nettamente superiori.
Qual è allora il par 3 che ti invoglia a rischiare di più?
Senza dubbi la 12 dell’Augusta National. Una buca dove devi saper controllare il volo della palla. Quando andai in acqua l’ultimo giro del Masters del 2019, anno della vittoria di Tiger, feci un buon colpo ma diedi troppo effetto alla palla, che spinnò e finì nell’ostacolo. In quel momento ero indietro di tre colpi e dovevo fare qualcosa per ribaltare la mia situazione. Il secondo posto non era contemplato, dovevo provarci e, fosse andata male, avrei convissuto con il risultato.
A soli 31 anni hai già subìto un intervento chirurgico al polso e uno importante al ginocchio. Il futuro sta arrivando più velocemente di quanto ti saresti aspettato?
Mentalmente penso ancora di avere 21 anni ma in questo ultimo periodo ho realizzato che non sono più quel giovane che può andare su una moto d’acqua o fare wakeboard. Oggi, ho dovuto cambiare il mio stile di vita. Ho preso dai 10 ai 15 chili dopo l’intervento al ginocchio perché non posso più fare attività fisica come prima. Non posso correre e non potrò farlo mai più. A 25 anni mangiavo quello che volevo, ora sto molto attento e ho un regime alimentare curato nei minimi dettagli.
Hai quindi apportato drastici cambiamenti al tuo stile di vita?
Sì, e non mi riferisco solamente alla dieta da seguire. Quando decido che una cosa va fatta premo un interruttore e tutto cambia. Non so da dove venga questa mia predisposizione, ma non ho problemi a ignorare determinate persone. L’unica cosa che mi interessa è giocare bene a golf quindi mi concentro solo su me stesso dormendo, riposandomi, mangiando sano e allenandomi molto. Il resto passa in secondo piano. Quando sono in campo, nient’altro conta.
Questo immagino abbia reso le relazioni difficili da sostenere?
Ogni grande atleta deve fare i conti con le relazioni interpersonali. I miei rapporti familiari non sono buoni come sarebbero se fossi una persona che fa un altro tipo di lavoro. Mi rendo conto di essere drastico, alcuni miei colleghi non riescono ad essere come me perché è difficile per loro dire di no. Da una parte desidererei avere rapporti più intimi con la famiglia, con i miei genitori, mio fratello e con gli amici ma se voglio essere il miglior giocatore del mondo devo continuare su questa strada e per altri 10 anni fare questo sacrificio.
C’è un giocatore al quale ti ispiri?
Tiger Woods è in assoluto l’atleta che rispetto di più. Rappresenta tutto quello che, golfisticamente parlando, voglio diventare. Nella mia mente, lui è il miglior giocatore del mondo e nessuno gli si è nemmeno lontanamente avvicinato. Ma quando gioco lui diventa come tutti gli altri. Se passa sulla mia strada il mio unico obiettivo è batterlo.
Quando hai capito di dover dare una svolta alla tua vita?
Non so dirti di preciso il momento. Non ero così centrato nei primi 25 anni della mia vita, ma negli ultimi cinque sono stato in grado di capire chi sono e trovare la felicità. E tutto questo è stato anche grazie alla mia fidanzata Jena.
Si dice che le persone non cambino ma a quanto pare lei sta facendo un buon lavoro su di te
Devo ammettere che è proprio così. Al di fuori del golf, ho tutto ciò che desidero e se tutto va per il verso giusto, tra qualche anno avremo dei bambini. Con lei finalmente ho capito che non sono perfetto. Devo solo accettarmi e ottenere il massimo da quello che sto facendo, bello o brutto che sia.
Qual è la chiave di volta che ti ha fatto vincere quattro major?
La capacità di estraniarmi dalla realtà. Quando mi preparo per un torneo del Grande Slam gioco pochissimo, per il resto del tempo mi rilasso e guardo la TV. La mia forza sta nello spegnere il cervello, non nell’attivarlo.
E in Ryder Cup invece?
In Ryder la situazione è per me difficile, frenetica e, se devo essere sincero, anche parecchio strana. Si passa da uno sport prettamente individualista a far parte di gruppo per una settimana ogni due anni. È tutto così lontano dalla mia normale routine. Devo fare i conti con il mio compagno di gioco e assumermi la responsabilità di una buca persa anche quando gioco bene e non sono io a sbagliare. Mi piace rappresentare il mio paese ma forse non è nel mio DNA giocare uno sport di squadra.
Qual è il tuo più grande difetto?
La competitività, aspetto che di per sé non è negativo, anzi. Ma la realtà è che la cosa che più di tutte mi dà soddisfazione nella vita è battere gli altri. Provo così tanto piacere nel farlo che forse c’è qualcosa che non va nella mia testa. Da fuori cerco di non farlo vedere, ma dentro brucio dal desiderio di batterti, qualunque sia lo sport. Possiamo giocare a ping-pong o a qualsiasi altro gioco e il mio scopo sarà sempre e solo quello di umiliarti.
Pensi di poter raggiungere i record di Tiger Woods?
Li supererò, ci credo fermamente. Non trovo alcun motivo che possa fermarmi. Ho 31 anni, me ne restano almeno altri 14 anni di Tour e se vinco un major all’anno, raggiungerò il record di Jack Nicklaus. La gente interpreta male questo mio atteggiamento e mi considera una persona arrogante. La mia non è arroganza ma semplicemente convinzione. Se non pensi di poter vincere, perché diavolo allora metti la pallina sul tee ogni torneo?
Ci sono molti miei colleghi che si accontentano di un secondo posto. Per me lo sport è fatto per avere un vincitore e un perdente. O sei l’uno, o sei l’altro, a te la scelta.