Intervista speciale con Brooks Koepka, defending champion a Valhalla, a caccia questa settimana del terzo titolo consecutivo nel PGA Championship e del sesto major in carriera.
– Con il successo a Oak Hill lo scorso anno sei diventato il terzo giocatore nella storia del golf dopo Jack Nicklaus e Tiger Woods a vincere almeno tre titoli del PGA Championship da quando si gioca Stroke Play. Come ci si sente ad essere menzionati insieme a figure così iconiche del nostro sport?
Una sensazione quasi surreale direi. Nemmeno da bambino sognavo di arrivare così in alto. Il fatto di aver ottenuto così tanto successo è per certi versi pazzesco. È ancora piuttosto sconcertante per me essere menzionato insieme a queste due icone del golf, significa che sicuramente ho fatto qualcosa di buono nella mia carriera!
Con la vittoria di 12 mesi fa sei diventato anche il 20° giocatore nella storia del golf ad aver conquistato almeno cinque major. Puoi descriverci l’emozione di aver ottenuto un traguardo così importante?
Il quinto titolo major ha avuto un significato molto speciale considerando tutto quello che ho passato con l’infortunio e il duro recupero che ho dovuto affrontare per tornare a competere. A Oak Hill oltre alla mia famiglia c’era tutto il mio team ed è stato davvero unico festeggiare con loro. Ogni professionista vive con il sogno di eguagliare le gesta di Nicklaus e Woods nei major ma nell’era moderna è molto difficile pensare di superare i loro 18 e 15 titoli, probabilmente nessuno ci riuscirà mai. Ci sono solo pochi giocatori che hanno vinto più di un major, quindi averne già cinque è qualcosa di incredibile. Mi sento come se stessi vivendo un sogno, e spero ancora di non svegliarmi…
Oak Hill è stata anche la terza volta in cinque anni in cui hai vinto un major nello stato di New York dopo ai successi allo U.S. Open 2018 (Shinnecock) e al PGA Championship 2019 (Bethpage)? C’è qualcosa di questi percorsi e dell’ambiente che tira fuori il meglio dal tuo gioco?
Vorrei saperlo! Diciamo che mi piace New York e il tifo chiassoso dei suoi fan. Mi è sempre piaciuta l’energia che trasmettono a noi giocatori, quindi forse questo ha qualcosa a che fare con il mio successo davanti a questo pubblico. Non mi dispiacerebbe giocare altri major nello stato di New York ma spero che la mia fortuna giri e possa ottenere una vittoria anche in Georgia e all’estero.
Quale è stato il momento più memorabile o il colpo che ricordi con più piacere nelle tre vittorie che hai ottenuto al PGA Championship?
Il ricordo più nitido che spesso mi torna in mente risale a Bellerive nell’edizione del 2018. Nel quarto giro mi stavo giocando il titolo nientemeno che con Adam Scott e Tiger Woods. Entrambi sono stati i miei idoli da ragazzo e sono sempre stati il mio punto di riferimento, quelli a cui volevo assomigliare. Chi non vorrebbe avere lo swing di Adam Scott? È un giocatore di classe assoluta e chiunque lo abbia mai incontrato lo può confermare. E su Tiger non c’è molto altro da dire. Giocarsi il titolo contro loro due è stato davvero speciale. Ho giocato un ferro 4 al par 3 della 16 che è finito a circa due metri e mezzo dall’asta, penso che quello sia stato il miglior colpo che ho giocato nella mia carriera sotto pressione. È un ricordo su cui torno spesso con l’obiettivo di ricreare quello stesso feeling.
Parliamo di questa 106esima edizione al Valhalla Golf Club dove arrivi da defending champion con all’attivo due successi nelle tue ultime apparizioni sul LIV Golf. Come ci si prepara a difendere un titolo major?
Spero di no perché qualunque cosa stia facendo sembra funzionare e sto giocando bene attualmente, in più al PGA Championship ho sempre ottenuto ottimi risultati sin’ora. Spero di essere in contention anche quest’anno, è bello tornare a Valhalla, è un grande campo e lo adoro, quindi spero di poter difendere sino all’ultimo giorno il mio titolo, la prospettiva di conquistare tre titoli consecutivi è qualcosa di incredibile solo a pensarla.
Come si gestiscono la pressione e le enormi aspettative in un torneo così prestigioso come il PGA Championship?
Mi godo semplicemente l’atmosfera speciale di questo torneo, mi stimola il fatto di essere sotto i riflettori e quando le cose si fanno più difficili. I major mettono davvero alla prova e premiano il migliore; c’è chi regge tutto questo e chi no. Come si dice in altri sport, sono uno che vuole la palla a pochi secondi dalla fine e questa è una cosa che ho dentro di me fin da quando ero bambino. Quando penso al successo lo identifico nei major. Sono l’unica cosa che ti distingue davvero in questo gioco e vincere quanti più major possibili è sempre stato il mio obiettivo principale.
Sei uno dei prestigiosi golf ambassador di Rolex dal 2015. Cosa significa far parte di questa speciale famiglia insieme alle più grandi figure che questo sport abbia mai avuto?
Userei una sola parola: “iconico”. Quando guardi tutti i grandi campioni che hanno giocato a questo gioco, ognuno di loro ha una cosa in comune, hanno sempre un Rolex al polso. Spero un giorno di essere considerato nello stesso modo in cui lo sono Nicklaus, Tiger, Arnold Palmer e tutte le leggende che sono venute prima di me.
Penso che far parte della famiglia Rolex sia qualcosa di molto speciale, una gratificazione assoluta. Ci unisce un legamo unico, quello a un marchio iconico che ha fatto dello stile e dell’eleganza il suo marchio di fabbrica. Allo U.S. Open la Maison ginevrina riunisce tutti i suoi ambassador per una serata speciale ed è incredibile vedere insieme tutte quelle leggende del nostro sport insieme, qualcosa che conferma la grandezza della Famiglia Rolex.
Qual è la tua opinione sull’impegno di Rolex nel golf?
Rolex sostiene il gioco del golf da ormai quasi 60 anni, il che dimostra semplicemente come la Maison è sempre stata al fianco di questo mondo e lo abbia appoggiato in modo diretto. Quando pensi al golf pensi a Rolex. Hanno fatto un lavoro fenomenale collaborando con tutti i principali tour, i migliori tornei del mondo e i top player. Quando unisci il meglio a Rolex è sempre un’ottima combinazione.
Nel 2018 sei diventato il numero uno al mondo e sei rimasto al vertice del World Ranking per 47 settimane. In che modo il raggiungimento di questo traguardo ha influenzato il tuo approccio al gioco e i tuoi obiettivi a lungo termine?
In termini di obiettivi a lungo termine, voglio arrivare a doppia cifra nei titoli major. Penso che dieci sia un numero raggiungibile. Nel corso della carriera devi continuare a darti nuovi obiettivi per rimanere motivato e affamato di successi. Devi fissare obiettivi che puoi raggiungere nel breve ma anche altri a lungo termine, in modo da avere qualcosa su cui lavorare ogni giorno.
Arrivare ad essere il numero 1 del mondo è qualcosa di unico. Non riesco nemmeno a ricordare per quante settimane Tiger Woods è stato in vetta al World Ranking (683 settimane, ndr), il che siginfica che è una cifra folle, ma essere il migliore nella propria professione è una sensazione davvero strana. Quando stavo inseguendo questo obiettivo non sapevo cosa pensare, ma quando finalmente l’ho ottenuto mi sono detto tra me: “Ce l’ho fatta”, ed è stata la sensazione più bella dmai vissuta. È stato un traguardo molto importante nella mia carriera e sono stato molto felice di ottenerlo.
Il passaggio dal golf dilettantistico a quello professionistico comporta notevoli cambiamenti. Quali sono state le sfide più grandi che hai dovuto affrontare quando nel 2012 hai fatto il grande salto e come le hai superate?
Onestamente non le vedevo davvero come vere e proprie sfide. Ho considerato tutto ciò che poteva essere percepito come una sfida come qualcosa di divertente ed emozionante. Iniziare la mia carriera in Europa è stata un’ottima scelta. Penso che gran parte del motivo per cui sono la persona che sono oggi derivi da quell’esperienza. Avevo 22 anni e viaggiavo per il mondo. Non penso che potesse andare meglio di così. Questo è il lavoro dei miei sogni e riesco a farlo ogni giorno ancora oggi, quindi mi ritengo molto, molto fortunato.
C’è un segreto che si nasconde dietro alla tua evidente capacità di performare al meglio nei major? È una questione di mentalità e di approccio a questi tornei?
So chi sono e quello che posso dare, sono super competitivo e odio perdere. Penso spesso a Michael Jordan e ha quello che ha fatto, contro tutto e tutti, e cerco di replicarlo nella mia testa. Posso raccontarti nel dettaglio ogni volta in cui ho perso contro qualcuno e nel golf, sappiamo tutti che lo sport è un gioco di fallimenti in cui non hai l’opportunità di vincere così spesso, quindi quando accade devi saper capitalizzare ed elaborare.
Chi ti ha influenzato maggiormente sulla tua carriera golfistica?
Diverse persone. Quando ero più giovane probabilmente mio padre, giocare con lui e mio fratello ha sicuramente avuto un ruolo importante, mi sono innamorato del golf e ho sviluppato le aspirazioni per farlo poi con successo. Quando sono cresciuto e ho iniziato ad evolvermi ho avuto un coach che mi ha portato dall’essere un semplice innamorato del gioco ad avere la passione di volerlo fare ogni giorno. È difficile restringere il campo a una sola persona perché ci sono diverse fasi della propria vita in cui vieni a contatto con soggetti che diventanno chiave nel tuo percorso. Queste persone sono state la ragione per cui ho iniziato a giocare, ora è molto diverso. Ho appena avuto un bambino l’anno scorso, quindi tutto ciò che faccio è cercare di dargli un buon esempio e, si spera, di farlo innamorare un domani di questo sport.
Qual è il miglior consiglio che ti sia mai stato dato?
Probabilmente dopo il Masters dello scorso anno. Penso di aver sempre imparato qualcosa da una sconfitta e questo è una delle chiavi del mio successo. Dopo aver perso, sono tornato a casa e c’erano molte persone ad attendermi. Come puoi immaginare, dopo una sconfitta bruciante non sempre vuoi vedere qualcuno, ma sono rimasto seduto con il mio migliore amico per sei /sette ore e non dimenticherò mai il momento in cui mi ha detto: “Non aver mai paura vincere”. Penso che quella frase mi abbia segnato. Il mese dopo ho vinto il mio terzo PGA Championship.
Qual è il tuo campo preferito e perché?
Questo è facile, l’Old Course di St Andrews, la patria del golf. È il posto dove sento le farfalle nello stomaco quando scendo in campo, un’emozione speciale – lo sento anche adesso al solo pensarci. Adoro quel percorso. È unico nel fatto che puoi giocarci un giorno e volare letteralmente un bunker pensando “perché lo hanno messo qui?”, e poi giocaci il giorno dopo, con la direzione del vento completamente cambiata, e la tua palla ci finisce dentro. Questo è il bello. Per me i links sono sempre stati speciali, sono cresciuto golfisticamente su questi, lontano dalla Florida e dagli Stati Uniti. Un links fa emergere il lato creativo del tuo golf e questo è un aspetto che mi è sempre piaciuto molto.
Come passi il tuo tempo libero lontano dal campo e dal golf?
Devo dire che è cambiato nel corso degli anni. Una cosa che mi è sempre piaciuto fare è salire su una barca e andare a pescare, ma onestamente, in questo momento, la cosa più bella per me è semplicemente tornare a casa e passare del tempo con mio figlio Crew. Avere un bambino è qualcosa che mi ha sicuramente cambiato in meglio come persona. Ho imparato ad apprezzare anche le cose più piccole e che nella vita sono stato davvero molto fortunato.