Finalmente ci siamo! Il 2023 sta arrivando e con esso la tanto desiderata Ryder Cup in Italia. Non sono però tutti fiori quelli che sbocceranno sotto il Cupolone. Il primo dato, purtroppo sconfortante, è quello legato all’aspetto agonistico. L’anno alle porte è uno dei peggiori per presenza di azzurri sul DP World Tour.
Guido Migliozzi e i fratelli Molinari sono gli unici ad avere la carta piena. La ghigliottina della qualifica è caduta impietosa sui nostri. Alcuni, vedi Paratore e Laporta, hanno mancato la riconferma per pochissimo, altri come Gagli e Pavan nono sono riusciti a ritrovare il loro talento offuscato negli ultimi anni. La sfortuna si è concentrata su Bertasio che non è riuscito a superare l’infortunio alla schiena e sarà proprio fuori da ogni possibilità di ritorno a breve termine. Anche Celli & Co non sono riusciti a compiere il salto verso il tour maggiore. Hanno talento i nostri giovani e probabilmente arriveranno ma non ora. Non nell’anno della Ryder a Roma. Così siamo passati da otto a tre soli italiani a portare nel leaderboard il Tricolore. Un po’ pochino per sperare in presenze in campo al Marco Simone.
Francesco è quello sul quale possiamo puntare un gettone. Troppo forte il ricordo di quanto combinato solo quattro anni fa a Parigi, ultima edizione europea, e calamitante l’attrazione di Roma. È anche vero che Chicco non è riuscito a trovare continuità di rendimento nei tornei ai quali ha preso parte. Diciassette gare sul PGA Tour con una sola Top 10 e sei tagli mancati non sono risultati da campione major. Non semplice adattarsi al gioco americano dove la distanza premia più che la precisione e l’efficacia sui green diventa fondamentale. Chissà che magari non lo vedremo di più in Europa dove i campi gli sono più congeniali.
Guido Migliozzi è riuscito nell’impresa di far svoltare la propria stagione, sino alla pausa di luglio sottotono. Diciassette i tornei giocati sino all’Open Championship dal vicentino con ben dieci tagli mancati e una sola Top Ten. Chi lo seguiva ci raccontava di un gioco che avrebbe dato presto i frutti auspicati. Il 14° posto allo U.S. Open era stato un primo campanello di ritorno che ha continuato a suonare in concomitanza “dell’ultimo giro” quello post estate. Da agosto 10 tornei, due soli tagli mancati due top 20 e una vittoria, preziosissima, in Francia. Il 30° posto del ranking europeo però ci racconta che la strada verso l’eccellenza, quella che rappresenterà l’Europa in Ryder, è ancora lontana.
Dodo Molinari, con molto realismo, ci ha detto che sta giocando bene con un piccolo ma costante miglioramento sui green, vera chiave di svolta del suo gioco, ma che l’idea di essere in campo nelle fila europee è più simile a un’utopia che un obiettivo. Il nostro editorialista fa un’analisi chiara sulla situazione del golf azzurro, la trovate nel suo pezzo a inizio rivista, che spiega il motivo dell’assenza di italiani tra i primi 100 nel World Ranking.
Se sicuramente gli auspici agonistici, ai tempi dell’annuncio dell’assegnazione della Ryder all’Italia erano differenti dalla realtà attuale, lo erano anche quelli legati all’effettiva organizzazione di un evento che pareva troppo per il nostro paese golfisticamente preistorico. Invece almeno sotto l’aspetto organizzativo ce l’abbiamo fatta. È vero, intorno al Marco Simone mancano ancora le strade per l’accesso di un pubblico così ampio, la club house necessita più di un make-up, i trasporti sono tutto un programma ma almeno abbiamo un percorso all’altezza. Il campo di Guidonia è già stato sottoposto a due test che, tutto sommato, ha superato. Se nel 2021 era parso ancora “acerbo”, l’edizione dell’Open d’Italia 2022 lo ha mostrato in tutto il suo fascino. Sappiamo di numerosi lavori ancora in essere per farlo diventare più “europeo”. I fairway si stringeranno e il rough diventerà fitto e duro in modo da punire chi non resterà in pista. Nel primo weekend di maggio, quando si disputerà l’Open della prova definitiva, lo vedremo pronto.
La domanda che ci si può porre ora è: noi lo vedremo ma chi lo giocherà? La risposta si lega alla querelle tra il LIV e “gli altri tour”. Il PGA si sta opponendo con forza e intransigenza. Chi ha aderito alla Superlega araba non può più mettere piede sul suolo golfistico americano. In questo modo il team USA rischia di essere castrato e chissà che a un certo punto, per amor di patria, Mr. Monahan non torni sui propri passi.
Più morbido l’approccio europeo del DP Tour che si limita per ora a delle multe, briciole contro i milioni di dollari ricevuti dai “dissidenti”. Insider ci raccontano che da St Andrews stanno aspettando la sentenza del processo per poter prendere una posizione più ferma in stile PGA. Gli arabi però hanno più che un piede nell’ex European Tour, quindi la situazione si prospetta tutt’altro che semplice da districare. Per ora il punto lo stanno tenendo i contrari al LIV che non riesce a ottenere punti validi per il ranking nei propri tornei. Se i petroldollari sono riusciti a cambiare i calendari mondiali del pallone, con i Mondiali in Qatar, probabilmente otterranno il successo anche nel braccio di ferro delle palline con le fossette. Quello al quale però stiamo assistendo per ora è un impoverimento generale dello spettacolo con tornei, da una parte e dall’altra, orfani delle grandi sfide tra campioni. Insomma, questa guerra non sta facendo il bene del golf anche se in questo periodo ce ne sono di ben peggiori.
Parlando dell’anno che verrà un pensiero non può che andare ai circoli italiani che nei mesi di permanenza di questo numero in club house saranno alle prese con i costi dell’energia e i conti. Purtroppo il Governo ha previsto un contributo non in grado di soddisfare le esigenze delle Associazioni Sportive Dilettantistiche. La Federgolf ha ipotizzato un intervento strutturale in grado di lenire gli esborsi dell’energia. Per portarlo a termine però servono dapprima i soldi, poi il tempo. Entrambi scarseggiano. Allora che fare? Premesso che aumentare il numero di praticanti non è semplice, vuoi per congiuntura economica ma anche per quell’immagine di sport per ricchi che da anni ci accompagna, la soluzione, per rimpinguare le casse dei circoli, potrebbe arrivare dai turisti e i relativi green fee. Ci sono circoli, da Chervò a Franciacorta o Bogogno, solo per citarne alcuni, che da anni miscelano la vita da club a quella dell’ospitalità. C’è una cosa che li accomuna: la qualità. Qualità nella manutenzione dei propri percorsi, qualità nei servizi offerti, qualità nel personale, cura dei dettagli e attento servizio ai clienti. E quando le idee sono chiare e il progetto condiviso ecco che i risultati arrivano. E allora sfruttiamo al meglio l’opportunità che arriverà il 29 settembre perché questa diventi un volano per l’intero Paese e non per i quattro circoli romani nei pressi del Marco Simone.
Sicuramente a settembre si parlerà d’Italia e, in Italia, si parlerà di golf. Facciamoci trovare pronti per mostrare il nostro spettacolo dentro e fuori dai circoli e godiamoci quanto i campioni ci faranno vedere in campo. In fondo capita una volta nella vita di avere la Ryder Cup in casa e noi stiamo per vivere questo storico momento. Quindi, buon golf a tutti!