Il caddie-filosofo: Il golf è il tempio dell’egualitarismo
Parlando con un amico in club house, ci siamo trovati a ragionare nuovamente sulla questione affrontata in precedenza degli ostacoli che complicano il raggiungimento del nostro obiettivo di fare il giro nel minor numero di colpi possibile. Approfondendo l’argomento ci siamo accorti che il golf, considerato sport elitario, è in realtà il tempio dell’egualitarismo.
Facciamo un passo indietro.
L’idea che gli esseri umani siano uguali tra loro entra nella cultura occidentale soprattutto con il cristianesimo, che considera tutti gli uomini dotati della stessa dignità in quanto figli di un medesimo Padre, ma diventa centrale nel pensiero sociale e politico soltanto a partire dal Seicento.
I principali pensatori del XVII e XVIII secolo da Hobbes a Locke, da Rousseau a Kant, partono dall’ipotesi che tutti gli esseri umani, in ogni momento e luogo, sono liberi e hanno uguali diritti morali naturali.
Un aspetto dell’uguaglianza che ha assunto sempre maggior importanza è l’idea di garantire uguaglianza nelle opportunità, ovvero l’idea che ognuno possa competere sulla base delle proprie capacità eliminando tutti quei fattori di distorsione legati a cause esterne all’individuo.
Da un punto di vista filosofico è una sfida di grande rilievo: far sì che esiti diversi (ovvero che A ottenga risultati migliori di B) dipendano solo da elementi controllabili dagli individui stessi quali maggior impegno, applicazione e così via, garantendo a tutti le medesime opportunità alla partenza.
Nel golf questo avviene in due modi molto raffinati. Come prima cosa si modificano le difficoltà ambientali in modo asimmetrico a seconda della classe di abilità dei giocatori. Questo si ottiene modificando i tee di partenza. Poiché una delle differenze più significative tra pro e i giocatori di circolo, e anche tra donne e uomini di pari livello di abilità, è proprio la lunghezza del colpo dal tee.
Mettendo le partenze a diverse distanze tutti le giocatrici e i giocatori hanno le medesime opportunità dal secondo colpo in poi (almeno in teoria).
Poi si modificano gli ‘obiettivi interni’ al gioco di ogni giocatore attraverso il meccanismo dell’handicap: se per me che sono un giocatore scarso il parametro per fare il giro nel ‘minor numero di colpi possibile’ è quasi 100, per il mio amico bravo-bravo è 72.
L’obiettivo interno non è più fare un punteggio lordo inferiore a quello dell’avversario ma fare un punteggio netto inferiore al suo.
Con questi due accorgimenti il golf è riuscito a fare quello che da centinaia di anni la politica cerca di fare con scarso successo
Questo è anche uno degli aspetti del successo del golf: si può giocare con (o contro, scegli tu) tutti: nonni con nipoti, amici di età e capacità diverse, perfino moglie e marito se ami il rischio.
Se volete approfondire i temi trattati potete scrivermi a: stefano@stefanoscolari.it