Sono da poco terminati i grandi festeggiamenti per la vittoria della squadra europea di questa Solheim Cup. Le 12 ragazze del Vecchio Continente, capitanate da Catriona Matthew, hanno dominato dal primo all’ultimo giorno la compagine a stelle e strisce.
E lungo i fairway dell’Inverness Club, a Toledo in Ohio, era presente anche la nostra Giulia Molinaro. La giocatrice italiana è stata di supporto alla squadra per tutta la settimana. In particolar modo assisteva la vice capitana Suzann Pettersen.
Un’esperienza più unica che rara e difficile da raccontare. Un sogno che si realizza per Giulia ma anche, e soprattutto, lo stimolo in più per essere lei stessa una delle 12 protagoniste alla prossima sfida contro gli stati Uniti, in programma tra due anni al Finca Cortesin di Casares, nei pressi di Malaga, in Spagna.
Abbiamo raggiunto al telefono Giulia che quest’anno si è fatta valere conquistando un ottimo 3° posto al KPMG Championship PGA, major femminile in calendario sull’LPGA Tour.
Giulia finiti i festeggiamenti per questa incredibile vittoria?
Da poco… Noi europee sappiamo fare festa e celebrare i trionfi. E a Toledo è stato uno spettacolo continuo.
Eri lì come aiuto e supporto alla squadra. Raccontaci i retroscena di questa impresa
Dall’esterno in molti hanno dato questa vittoria sugli Stati Uniti come una sorta di miracolo. Ma vi assicuro che noi eravamo convinte che la coppa ce la saremmo portata nuovamente a casa. La motivazione era davvero alta e il livello di gioco sotto gli occhi di tutti
Qual è la vostra arma segreta?
Sembrerà scontato ma è il legame e l’amicizia che ci lega. Tra le 12 proette non c’erano gruppetti, nessuna primeggiava sulle altre. Eravamo sempre tutte insieme e il merito va in gran parte alla capitana Catriona Matthew per essere riuscita a creare quest’atmosfera. Siamo una grande famiglia.
Quindi si ripete quello che succede in Ryder Cup? Stati Uniti individualisti ed europei amici?
Per certi versi sì, è proprio così. Le americane erano sempre in gruppetti da quattro, non stavano mai tutte insieme, anche la sera a cena. E questo fa la differenza soprattutto in una competizione del genere. Essere unite, coese, giocare per la stessa causa e dare il cuore è uno dei nostri più grandi punti di forza.
Ci sono stati discorsi motivazionali della capitana Matthew?
Sì, ogni mattina prima dei match e la sera. Ma sai cosa ti dico, non c’era nemmeno tanto bisogno di grandi parole perché le ragazze erano talmente motivate e vogliose di vittoria che bastavano davvero due parole di incoraggiamento e di sostegno.
Ci sveli qualche dettaglio dei discorsi?
Il punto focale di tutti i discorsi era di scendere in campo, divertirsi e, soprattutto, non dar retta al pubblico. In America gli spettatori possono essere poco “fair”. Applaudivano e urlavano di gioia per un colpo sbagliato delle europee e dal campo sembrava che l’America fosse sempre in vantaggio. Ma non era così. La bravura della capitana è stata quella di lasciar fare alle sue giocatrici, lasciarle libere di giocare senza intervenire troppo. Era sempre pronta per sostenerle nel momento del bisogno ma lasciando loro la piena libertà di azione.
Quando avete capito che era fatta e che la coppa sarebbe stata vostra?
Dopo i primi tre match le cose erano nettamente a nostro favore. Il mezzo punto di Nanna Koerst Madsen ci ha fatto raggiungere i 13 punti e con la vittoria di Matilda Castren eravamo già in campo a festeggiare. Abbiamo aspettato che vincesse anche Emily Pedersen per stappare bottiglie di champagne e iniziare la vera festa proseguita fino a notte fonda.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza?
La consapevolezza di fare parte di un gruppo eccezionale che mette sempre cuore e anima in quello che fa. La conferma che sia una settimana da sogno e la motivazione in più per continuare ad allenarmi, giocare bene e qualificarmi per la prossima Solheim Cup. D’ora in avanti questo sarà il mio obiettivo principale.