Quello di Gianfranco Zola con il golf, scoperto a Londra nel 1996 grazie a Gianluca Vialli, è stato amore a prima vista.
Lo abbiamo incontrato a Mauritius durante l’MCB Tour Championship. Ne è nata una piacevole chiacchierata sulle grandi passioni di uno dei calciatori italiani più amati degli ultimi decenni.
Ho sempre avuto una stima particolare per i sardi. Gente dai sani e nobili principi, genuina, trasparente, di poche parole, determinata e mai fuori dalle righe.
C’è chi a volte li definisce duri, spigolosi, difficili da trattare, ma in realtà pensateci bene: se siete in grado di entrare in sintonia con loro vi apriranno cuore e anima.
La carriera di Gianfranco Zola nel calcio
Uno dei sardi più famosi al mondo è ‘Sir’ Gianfranco Zola. Classe 1966, è partito alla conquista del mondo grazie al suo immenso talento calcistico e la sua ferrea determinazione.
Il destino ha voluto che il grande salto dall’amata Sardegna lo facesse alla corte di Maradona, nel Napoli delle meraviglie con cui vinse il suo primo e unico scudetto nel 1990.
A Parma la consacrazione: Supercoppa europea nel 1993 e Coppa Uefa nel 1995.
Nel 1996 sbarca in Premier, al Chelsea, e con i Blues resta sino al 2003, conquistando due Coppe d’Inghilterra, una Coppa di Lega, una Charity Shield, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea.
Chiude al Cagliari, contribuendo al suo ritorno in Serie A, prima di lasciare il calcio giocato nel 2005.
Con l’Italia vanta 35 presenze e dieci reti e ha partecipato al Mondiale del 1994 e all’Europeo del 1996.
Dopo il ritiro da calciatore e le esperienze da allenatore (West Ham, Watford, Cagliari e Birmingham City) diventa opinionista in TV ma il suo grande amore resta il golf, un vero e proprio colpo di fulmine nato nei primi anni al Chelsea.
Lo abbiamo incontrato al Constance Belle Mare Plage di Mauritius, nel corso della settimana del MCB Tour Championship in cui ha partecipato alla Wapp Celebrities Series Grand Final, evento benefico creato dal Legends Tour.
Ne è scaturita una chiacchierata alla scoperta delle grandi passioni della sua vita.
Come è nata questo tuo viscerale amore per il gioco del golf?
Era il 1996 e mi ero appena trasferito al Chelsea. Io e Gianluca Vialli abitavamo vicino per cui spesso andavamo all’allenamento insieme. Un giorno mi disse: “ Dai, andiamo a fare due tiri a golf!”.
Io gli risposi di getto di no, lui insistette e così ci recammo al Dukes Meadows, un club alla periferia ovest di Londra.
Il primo colpo è stata una mezza flappa, ma è stato amore a prima vista.
In seguito, trovai un centro dietro casa dove prendevo lezioni. Erano tifosi del Chelsea e alla fine mi lasciarono addirittura le chiavi per andarci quando volevo…
Come descriveresti il golf se dovessi consigliarlo?
Se vuoi fare strada, qualunque sia il livello a cui aspiri, devi avere una dote imprescindibile, la pazienza.
È una disciplina estremamente difficile e tecnica, richiede tempo e una grande dose di umiltà. Devi capire che non è facile, è un movimento complicato e bisogna usare un sacco di leve.
È uno sport che dal punto di vista mentale ti aiuta moltissimo, perché non puoi perdere mai la concentrazione.
Chi è il più forte tra i tuoi colleghi calciatori?
Andriy Shevchenko è uno dei migliori in assoluto, ma anche Alain Boghossian non è da meno. Uno che non molla mai, un tignoso vero, è Roberto Donadoni.
Il più simpatico?
Quando ci giochi contro nessuno lo è, tutti vogliono vincere e basta…
Parliamo della Wapp Celebrities Grand Final, evento organizzato dal Legends Tour nella settimana del MCB Tour Championship in cui sei arrivato terzo. Che esperienza è stata?
Abbiamo avuto l’opportunità grazie agli sponsor che sostengono l’iniziativa di dare una mano alle nostre rispettive charity.
Io ho appoggiato il Centro di Ricerca di Sclerosi Multipla del San Raffaele di Milano. Fanno un lavoro meraviglioso tutti, in particolare la Dottoressa Lucia Moiola. Dedicano la loro vita e le loro energie per trovare una soluzione a questo grave problema.
Meritano la nostra attenzione e il nostro supporto. Poi c’è stato l’aspetto ludico della gara, giocata insieme a grandi stelle di cricket, calcio e Formula 1 come Packie Bonner, Liam Botham, Robbie Fowler, Damon Hill, Glenn Hoddle e Teddy Sheringham.
Abbiamo creato un bel gruppo e ci siamo divertiti, coccolati da un resort fantastico qual è il Constance Belle Mare Plage.
La Ryder Cup di Roma è stata un successo su tutta la linea. Riuscirà adesso l’Italia a cavalcare l’onda mediatica?
Se parliamo di promuovere il golf dal punto di vista turistico è una cosa, far crescere i praticanti è un’altra, ma a mio avviso sono due aspetti legati tra loro.
Bisogna lavorare sulla qualità delle strutture, che vanno migliorate non solo per le persone che vengono a giocare da fuori ma anche per i locali.
Dobbiamo puntare sui giovani, bisogna coinvolgerli fin da bambini e poi bisogna rendere il golf più accessibile.
Torniamo al calcio, come è nata la tua esperienza inglese?
Fu Ruud Gullit, ai tempi allenatore del Chelsea, a volermi in squadra. C’erano già Gianluca Vialli e Roberto Di Matteo che mi parlarono molto bene dell’ambiente per cui firmai per loro.
Poi la non positiva esperienza nel l’Europeo del 1996 e il poco fortunato inizio di
campionato con il Parma quell’anno mi aiutarono a prendere quella decisione.
Sei uno dei pochi italiani insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico. Ci racconti l’incontro con la Regina Elisabetta II?
È stata una sorpresa, non me l’aspettavo. Avevo lasciato l’Inghilterra e giocavo in Italia, nel Cagliari.
Mi dissero che ero stato proposto per essere insignito dalla Regina dell’onorificenza per i miei servigi al calcio inglese. Inizialmente pensavo a uno scherzo.
La Regina è venuta a Roma e mi ha ricevuto all’Ambasciata inglese. Quando incontri un reale c’è tutto un protocollo da rispettare quindi ero piuttosto teso.
L’ho salutata e lei mi ha risposto: “Ah, tu sei il famoso calciatore, complimenti, sei un esempio per tante persone per stile ed eleganza”. È stata molto simpatica, era un grande personaggio con un enorme carisma.
Da allenatore hai fatto diverse esperienze, perché hai smesso?
Io ho una certa personalità e non riuscivo ad essere distaccato da quello che succedeva intorno alla squadra.
Mi affezionavo molto ai giocatori. A volte ti si richiede di approcciare la squadra in modo duro per generare una reazione, un po’ troppo lontano dal mio modo di essere.
Al calcio ho dedicato trent’anni della mia vita, trascurando molte cose. La vita è una sola così ho fatto un passo indietro, ma ammetto che è stato doloroso.
Ti piace lo sport di oggi?
Il calcio, il golf e molte discipline sono in balia dei milioni dei sauditi. Lavori per un’azienda, sei bravo, ne arriva un’altra che ti offre 2/3 volte tanto e non ci pensi troppo.
Qui però stiamo parlando di cifre iperboliche. Io appartengo a un’altra generazione, nella mia si parlava di vincere il campionato o la Champions League per il prestigio di quei successi.
L’aspetto agonistico/sportivo veniva prima di tutto. Aver avuto la possibilità di disputare un Mondiale, anche se non eravamo pagati bonus a parte, è stato uno dei traguardi più belli della mia carriera, il coronamento di un sogno, avrei messo io i soldi per esserci.
La società di oggi è totalmente diversa, si parla solo di quanto hai guadagnato e si stanno perdono valori e tradizioni.
È realistico che si vada verso un circuito unico a livello golfistico?
Avrebbero già dovuto farlo da tempo, trovare un format dove magari concedere al LIV alcune gare importanti, mantenendo i major per il bene del golf, della sua storia e della tradizione.
È un libero mercato, loro si sono inseriti, hanno una leva economica che nessuno ha in questo momento e di conseguenza è difficile contrastarli.
Trovare un accordo sarebbe stato più giusto e utile per il golf mondiale e secondo me i presupposti per poterlo fare ci sono ancora.
Qual è il professionista che ti ha impressionato di più tra quelli con cui hai giocato?
Angel Cabrera, poco prima che vincesse il Masters, colpitore di palla eccezionale. Poi Francesco Molinari, per l’accuratezza del suo gioco, la consistenza. Sono molto amico e gioco spesso con due giocatori italiani dal grande talento, Emanuele Canonica e Marcello Santi.
Vedere colpire la palla a Peppo è incredibile ancora oggi. Marcello invece è impressionante nel gioco corto.
Qual è la parte più forte del tuo gioco e quella che devi ancora migliorare?
Nel gioco corto e nel putt sono micidiale. Sono preciso con il driver ma mi piacerebbe coprire distanze maggiori.
Se voglio fare un salto di qualità devo abbassare un po’ di spin ai miei drive. Oggi sono 1,3 di handicap, sono giunto a 0,3 ma l’obiettivo è capire se riesco ad arrivare oltre lo scratch, a plus.
Quali sono i campi più belli in cui hai giocato?
International Aberdeen e Loch Lomond in Scozia, Innisbrook a Tampa, in Florida, sede del Valspar Championship.
Il sogno? Cypress Point più di Pebbele Beach. Ci ho giocato solo alla Playstation ed è fantastico pure lì…
Sei testimonial anche di un nuovo progetto golfistico, l’Official Pairs Golf Ranking, insieme a
Roberto Di Matteo, ci racconti di cosa si tratta?
È la nuova classifica nazionale di tutte le gare quattro palle riservata ai golfisti dilettanti di ogni età, generato con i dati ufficiali della FIG. Tra l’altro ha un montepremi superiore a 300.000 euro in premi di vario genere.
È come disputare un campionato di calcio: non conta la singola gara ma è determinante e stimolante giocare bene per tutto l’anno.
Hai ancora un sogno nel cassetto?
Se non avessi più sogni mi preoccuperei. Mi piace spingermi oltre, trovare nuovi stimoli, e in questo il golf è stato una grande scoperta.
Mi piace la competizione, vivo per questa. Sono competitivo al punto tale che quando gioco con i miei figli do il massimo, per stimolarli a fare sempre meglio.
Mi reputo una persona fortunata che ha avuto la possibilità di fare le cose che gli piacciono. Nella vita come nello sport devi avere degli obiettivi.
Non puoi vivere alla giornata. Anzi puoi farlo, ma cercando di ottenere sempre qualcosa in più, per rendere ogni giorno migliore rispetto al precedente.