Le ruote dell’aereo partito dagli USA toccano la pista londinese. Francesco Molinari è rientrato dagli States dopo l’interruzione del Players Championship. Gettatosi nella realtà britannica si è trovato immerso nel turbinio dell’epidemia tra l’approccio americano della crisi, le notizie che rimbalzavano dall’Italia e le decisioni del proprio paese di residenza. Come sempre, da grande persona quale è, ha trovato il tempo per far una chiacchierata con noi.
Immagino che ora il golf non sia al centro dei tuoi pensieri. Ho letto di una tua presa di posizione sulla gestione inglese al primo diffondersi del Coronavirus in Gran Bretagna.
Mi rinnovi il tuo pensiero?
Non ho conoscenze specifiche, però leggendo e informandomi, mi sono fatto un’idea. Ho vissuto la versione inglese e americana. In USA sino al primo giorno del Players Championship si faceva finta di nulla. Come se il Coronavirus fosse una cosa distante. Poi, resisi conto dell’avanzamento del pericolo, sono corsi ai ripari. In generale, tra America e Regno Unito, mi è sembrato stupido non utilizzare l’esperienza di altri paesi che hanno affrontato per primi l’emergenza. Noi abbiamo anche pensato di rientrare in Italia ma era impossibile come voli. Il vantaggio sarebbe stato di essere più avanti temporalmente rispetto all’Inghilterra ma saremmo stati costretti alla quarantena in un albergo, situazione non certo migliore dal non uscire. Abbiamo deciso di tenere a casa i figli, iniziando a organizzare una vita domestica.
Avevi anche auspicato un rinvio dei giochi Olimpici, inizialmente confermati e poi rinviati al 2021.
Mi sembrava improbabile si potesse risolvere tutto per i Giochi, anche per via delle difficoltà delle qualificazioni. Fare un’Olimpiade a porte chiuse non avrebbe avuto senso, così come gli altri grandi eventi. Ovviamente gli organizzatori di manifestazioni internazionali prima di decretarne la cancellazione si tutelano. Il problema delle Olimpiadi era anche legato a persone che sarebbero arrivate da Paesi diversi con tempi di gestione del virus differenti. Per gli eventi internazionali bisogna aspettare che tutti i paesi riaprano i confini e, secondo me, passerà ancora molto tempo.
Cosa fa Francesco Molinari a casa?
I campi da golf hanno chiuso immediatamente anche qui in Inghilterra. Appena rientrato mi sono organizzato con una mini palestra in casa, con cyclette e qualche peso. Inoltre, avendo la fortuna di avere un giardino, ho messo una rete con il Trackman dove praticare. Ovviamente non è come allenarsi in driving range. Andare in campo pratica con poche persone non mi sembra particolarmente pericoloso, vedremo quando si potrà tornare a farlo, speriamo presto.
Come riprogrammerete la stagione?
Da poco abbiamo saputo delle nuove date di Masters, PGA e U.S. Open e della cancellazione dell’Open Championship, ma non sappiamo ancora quando e come ricominceremo. Il World Ranking è stato al momento congelato mentre la Ryder Cup sembra confermata. Tutto dipenderà ovviamente da come evolverà il contagio a livello mondiale.
C’è il pericolo che i giocatori come te, impegnati sui due Tour, avranno difficoltà a partecipare ai tornei richiesti per il mantenimento della carta. Ci saranno problemi?
In questo momento non ho idea, non abbiamo ancora avuto news. Noi giocatori ci rimettiamo all’intelligenza dei vari Tour nel capire la situazione. Credo che abbasseranno il numero minimo di tornei.
Tornando al golf giocato, le prime uscite dell’anno sono state sotto le aspettative. Andando a ritroso, hai fatto dei cambiamenti nel corso della preparazione invernale?
Ho perso un po’ di tempo lavorando su alcuni aspetti che, con il senno di poi, non sono risultati ideali. Gli obiettivi che ci eravamo posti non sono ancora arrivati.
Alcuni, analizzando il tuo movimento nuovo, hanno detto che hai lavorato sul guadagnare distanza. È stato così?
No, il lavoro era legato al miglioramento della qualità dei colpi più che alla lunghezza. A volte succede di non prendere decisioni esatte. Dopo le prime quattro settimane, cercando di adattare il lavoro e migliorare, non si sono visti i progressi che speravamo.
Così siamo andati più in profondità, analizzando il movimento grazie al 3D e unendo altre tecnologie. Abbiamo cambiato approccio. Sono emersi alcuni dettagli che erano collegati ai colpi brutti che capitavano, così abbiamo ritrovato il filo logico che avevamo smarrito. Poi, un conto è fare la diagnosi, un altro è introdurre aggiustamenti e modifiche che siano efficaci. Questo richiede tempo. Al Players, rispetto al WGC in Messico, stavo lavorando su cose nuove e diverse. Nei giri di prova vedevo miglioramenti ma sotto pressione mi sono accorto che era difficile metterli in pratica.
Hai fatto alcune modifiche nell’attrezzatura, nella fattispecie la pallina. Quanto influisce cambiare questo piccolo strumento per un professionista?
Cambia tanto. La pallina è l’elemento più importante perché è l’unico che rimane lo stesso su ogni colpo. Ci si deve adattare e influisce molto sul gioco. Ho fatto diversi cambiamenti nel corso della carriera ma, fortunatamente, non li ho mai patiti. La base è avere un buon feeling da subito. Ho il vantaggio di adattarmi rapidamente anche quando l’attrezzatura non è perfettamente idonea al mio swing. Con il passare degli anni la tecnologia ci ha aiutato e i bastoni sono sempre più performanti e tolleranti. Grazie alle analisi che abbiamo fatto ci siamo resi conto che alcuni bastoni erano settati in modo da colmare alcune lacune del mio swing. Poi però, quando si fanno variazioni e il movimento cambia, bisogna modificare nuovamente l’attrezzatura.
Hai cambiato anche il caddie. Come ti trovi con Mark Fulcher?
Mi trovo molto bene. Non essere in un periodo di forma buona, avendo giocato con idee un po’ confuse sullo swing, ha reso l’inizio complicato. Lui ha una grande esperienza per quello che ha fatto con Justin Rose e non solo, è paziente ed è stato un ottimo supporto in questo periodo. Non vedo l’ora di poterlo mettere alla prova in situazioni migliori.
Abbiamo letto anche di problemi fisici. Come va la schiena?
Non sono più un ragazzino e qualche dolore qua e là c’è ogni tanto. La gestione degli acciacchi avviene attraverso il ghiaccio e i trattamenti, ma è la normalità. La schiena mi si è bloccata e speravo di recuperare in tempo per il Palmer Invitational dove avrei difeso il titolo. Purtroppo non ce l’ho fatta. Al Players invece ho giocato senza dolore prima dello stop.
Come approccia mentalmente un professionista un torneo dopo che il precedente non è andato bene? Noi dilettanti spesso siamo condizionati da errori anche della settimana precedente…
Dipende dal periodo e dal lavoro che stai facendo. Quando hai un obiettivo a medio e lungo termine, cambiando delle cose nello swing sei meno influenzato dal risultato di una certa settimana. Si sta facendo un percorso e qualche passo falso ci può stare. Inevitabilmente la fiducia dopo un taglio mancato non è ai massimi livelli e la condizione mentale non è ideale per andare in campo. L’abilità sta nel salire sul tee e concentrarsi solo sul colpo da giocare.
Tornando alla pandemia, come viene vista l’Italia all’estero?
In passato ci sono state situazioni che non ci hanno reso orgogliosissimi di essere italiani. In questo caso invece ci stiamo comportando come una nazione coesa, un popolo migliore di molti altri. Nell’emergenza c’è stata una nota positiva, un motivo d’orgoglio per tutti coloro che vivono e lavorano lontano dall’Italia. Voglio approfittarne per abbracciare virtualmente tutti gli italiani: coraggio, siate forti, ce la faremo e torneremo a riprenderci le nostre vite.