C’è chi sostiene che i record nello sport siano solo dei freddi numeri, cifre fatte per essere prima o poi inevitabilmente superate.

Ma in quel piccolo grande numero 82 era racchiusa tutta la magia e la leggenda di uno dei più grandi talenti che il golf abbia mai visto, Samuel Jackson Snead, in arte Slammin’ Sammy.

Nel 1965 a 52 anni, 10 mesi e 8 giorni Snead conquistò in North Carolina il Greater Greensboro Open (l’attuale Wyndham Championship), fissando due record destinati a segnare pesantemente la storia di questo sport: con 82 titoli divenne l’uomo più vincente di sempre sul PGA Tour e allo stesso tempo il più anziano a sollevare un trofeo nel principale circuito statunitense.

Due record che sono andati a braccetto per un’eternità, 54 anni.

Al primo hanno provato ad avvicinarsi altri grandi miti del golf di tutti i tempi: Jack Nicklaus, che si è fermato a 73, Ben Hogan (64), Arnold Palmer (62) e Byron Nelson (52), ma nessuno di questi è riuscito ad avere una longevità sportiva ad alti livelli sul PGA Tour come quella di Snead, capace di spalmare le sue 82 vittorie in ben 30 anni di carriera, dal 1936 al 1965. Nessuno fino all’inizio dell’era Tiger.

La storia sportiva di Woods è quella di un ragazzo fuori dall’ordinario, nato per stupire e il cui destino era già scritto fin da quando ha mosso i suoi primi passi su un campo da golf.

Nel 1982, a soli sei anni, fu accompagnato dal padre Earl e dal coach di allora, Rudy Duran, ad assistere a un esibizione proprio di Sam Snead al Soboba Springs course, in California.

Il piccolo Tiger, che già allora era un fenomeno e mostrava un’attitudine da vero professionista, fu invitato a giocare le ultime due buche con Snead: alla prima finì in acqua, ma anziché droppare giocò la palla dall’ostacolo chiudendo in bogey.

La seconda addirittura la pareggiò, lasciando di stucco il grande campione che al termine disse: “Se questo ragazzo non esaurisce la sua innata magia diventerà il più grande giocatore di tutti i tempi”.

Quella magia Tiger non l’ha mai persa, anzi, l’ha coltivata e preservata come un bene prezioso.

Tra i due c’erano 63 anni di differenza ma una grande stima reciproca. Quando Tiger iniziò ad affacciarsi al grande palcoscenico del Masters ancora da amateur, Snead non mancava di dargli utili consigli su come affrontare il torneo che lui vinse per ben tre volte.

“Si rese subito conto del talento speciale di Tiger quando lo vide all’opera all’Augusta National” – ha ricordato Jack Snead, figlio di Sam.

“Tiger è diventato una leggenda e si parla di lui come il più grande golfista di tutti i tempi.

All’epoca di mio padre non esisteva il World Ranking ma è indiscutibile che per molti anni lui fu il migliore in circolazione.

Ha quindi un senso che, se qualcuno un giorno dovesse mai superare il suo record, quello sia Tiger, il solo che meriti questo primato”.

Trentasette anni dopo quel primo incontro che segnò il suo destino, Woods ha messo la parola fine alla rincorsa di quel mito, raggiungendo quota 82 vittorie grazie all’ultima perla di una inarrivabile carriera, lo Zozo Championhsip, il primo evento valido per il PGA Tour giocato in Giappone a fine ottobre e dominato dalla prima all’ultima giornata come ai tempi d’oro.

Divino, eterno, incredibile, infinito, unico: questi solo alcuni degli aggettivi che hanno accompagnato la sua vittoria, la terza in 13 mesi dopo il ritorno al successo a fine 2018 nel Tour Championship e il quinto Masters conquistato ad aprile, undici anni dopo l’ultimo major.

Per entrare nell’Olimpo assoluto del golf non poteva che farlo da Fenomeno qual è, ovvero mettendo in fila tutto il meglio del golf mondiale ad esclusione del numero 1 Brooks Koepka, fuori gioco in Giappone per un infortunio al ginocchio.

Ci hanno provato in tutti i modi, una bomba d’acqua, sospensioni, ritardi e un finale posticipato a lunedì mattina per provare a rovinare la festa all’Accordia Golf Narashino ma un Tiger formato stellare non ha lasciato scampo a niente e nessuno.

Quando sta bene, seppur alla soglia dei 44 anni, Tiger resta ancora oggi l’uomo da battere in campo e non semplicemente la leggenda da onorare e rispettare per i suoi infiniti record.

Tiger è ancora oggi l’unico golfista sulla faccia della terra in grado di esaltare non solo i freddi e metodici appassionati giapponesi, che hanno assistito invece in un delirio assoluto al suo ennesimo trionfo, ma i fan di ogni latitudine e nazionalità.

Tiger rapisce, entusiasma ed emoziona non solo per quanto è in grado di fare in campo ma perché la sua storia è un esempio di vita applicabile in fondo a ognuno di noi, quella di chi con tenacia e umiltà è riuscito e risollevarsi dal baratro là dove invece molti si sarebbero persi, una favola a lieto fine di un uomo capace di lasciare alle spalle le proprie debolezze e di imparare dagli errori commessi, ritornando più forte e determinato di prima per affrontare a testa alta il resto del suo cammino.

Di lui si è detto tutto e il contrario di tutto ma i suoi numeri parlano da soli: Sam Snead ha collezionato 82 titoli sul PGA Tour in trent’anni di carriera, Tiger in soli 24. Impossibile poi non continuare a pensare a cosa avrebbe potuto fare Woods senza gli infiniti stop forzati che hanno contrassegnato gran parte della sua carriera sportiva.

Dove ora possa arrivare resta un grosso punto interrogativo in cui la variabile determinante rimane il suo fisico: agganciato Snead, l’attenzione mediatica torna adesso inevitabilmente sul record dei major di Nicklaus a sole tre lunghezze (18 contro 15). Woods era arrivato in Giappone dopo l’ennesimo intervento in artroscopia al ginocchio subito ad agosto,  reduce da una seconda parte di 2019 deludente, con tre tagli non superati su sei gare giocate e la mancata qualificazione per il Tour Championship.

L’impossibilità di caricare il ginocchio e di muoverlo liberamente ha influenzato swing e rendimento impedendogli di esprimersi.

Ora il ginocchio è a posto, i dolori sono scomparsi e il vero Tiger ha ricominciato a macinare gioco e successi.

Se ai major del 2020 arriverà nelle stesse condizioni mostrate in Giappone ci sarà da divertirsi, soprattutto tra Masters e PGA, gare più nelle corde di un Woods Over 40 rispetto a U.S. Open e Open Championship. Con la coppa dello Zozo Championship in mano, il Fenomeno si è preso una meritata pausa per preparare al meglio la Presidents Cup, la biennale sfida Stati Uniti-Resto del Mondo, in programma a metà dicembre in Australia, in cui sarà il capitano del team a stelle e strisce.

Con il dubbio Koepka ancora da derimere e quattro wild card da piazzare, sono in molti a credere che stia pensando a un vero colpo da maestro, quello di ricoprire il doppio ruolo di capitano-giocatore: chi meglio di lui ha la titolarità per prendere una decisione di un tale peso specifico?

Di certo, se decidesse di scendere anche in campo al Royal Melbourne Golf Club, a ringraziarlo, oltre ai suoi compagni di squadra, sarebbero anche gli organizzatori dell’evento, lontano parente per incassi, prestigio e popolarità della sorella Ryder Cup.

Nel frattempo il successo giapponese, oltre al celebrato record di tutti i tempi di Snead eguagliato, gli ha fatto intascare un assegno di 1.755.000 dollari e abbattere la barriera dei 120 milioni di guadagni in carriera sul solo PGA Tour.

Phil Mickleson, secondo in questa speciale classifica, è fermo a quota 90, Vijay Singh e Jim Furyk a 71. Secondo quanto riportato da Forbes, se consideriamo invece i guadagni ottenuti solo attraverso le sponsorizzazioni, Tiger ha incassato in 24 anni di professionismo l’iperbolica somma di 1.4 miliardi di dollari ossia quasi 60 milioni a stagione.

“Sinceramente non immaginavo di tornare e questi livelli – ha detto dopo il successo nello Zozo -. Dove posso arrivare? Spero di continuare fino all’età in cui ha smesso Snead. Se me lo avessero chiesto qualche tempo fa, quando addirittura pensavo che non sarei riuscito neanche a camminare normalmente, avrei dato una risposta diversa, oggi invece il futuro mi sembra più luminoso”.

Potere di una magia che non ha mai perso e che oggi, lassù in cima a tutti, al fianco di Sam Snead, è più forte e viva che mai.