Certo, da aspirante giocatore professionista e dopo aver vagabondato per tanti anni tra Challenge e Alps Tour il mio sogno sarebbe stato quello di scrivere dei major, raccontandovi colpi, emozioni di un esordio, confidenze in campo con altri miei colleghi, e perché no, magari una vittoria.
Ma il golf per molti (me compreso) come detto più volte è un biglietto di sola andata all’inferno.
Sono comunque una persona molto fortunata perché con la mia esperienza al 148° Open Championship sono ben sei i tornei del Grande Slam a cui ho avuto il privilegio di assistere, nella triplice veste di spettatore, giornalista (quanto pesa questa parola) e social influencer.
Dopo la settimana ad Augusta una mail finita nella cartella spam e recuperata per sbaglio mi ha aperto le porte dell’Open Championship.
Nella mail, recuperata per caso, un tale Angelo di New York mi contattava perché, dopo un’attenta analisi sui miei social media, aveva deciso con la sua azienda che sarei stato l’influecer ideale per raccontare The Open per conto di Mastercard.
Non mi dilungo sulle 86 mail che ci siamo scambiati da maggio fino alla mia, anzi, nostra partenza del 16 luglio alla volta di Portrush, Irlanda del Nord.
Perché nostra? Semplice, Mastercard voleva un racconto di un padre con il proprio figlio, meglio ancora se il piccoletto fosse stato un innamorato del golf e magari non troppo timido.
Capite bene che mio figlio Tancredi rispecchiava esattamente quello che stavano cercando.
Sono stati quindi quattro giorni decisamente indimenticabili.
Non solo abbiamo vissuto all’interno del mondo Mastercard, usufruendo quindi di tutti i benefit, ma condiviso anche momenti e chiacchiere con i loro celebri ambassador, Ian Poulter (di cui vi racconterò nel prossimo articolo), Annika Sorenstam, Justin Rose e Graeme McDowell.
L’Open Championship ha il fascino di una bella donna che non invecchia mai: ti crea sempre interesse e curiosità, come quando ti metti ad ascoltare una persona che ha vissuto intensamente la propria vita.
Ogni filo d’erba di quel rough mostruoso per me è come fosse una ruga, qualcosa di indelebile che mi rimarrà per sempre.
Un paesaggio quello del Royal Portrush che ti resta dentro, come il rumore dei colpi, il vento che soffia senza un direzione precisa, il pubblico composto che incita e silenziosamente sparisce tra una duna e l’altra di un campo a picco sul mare.
La vittoria finale di un nord irlandese, Shane Lowry, anche se forse il meno atteso, ha un non so che di magico, come una storia a lieto fine da raccontare ai propri nipoti davanti a un camino acceso e un bicchiere di whisky.
Organizzazione esemplare, non mancava assolutamente nulla, e grande merito va anche a tutti i volontari che hanno dedicato una settimana della loro vita a far sì che questa edizione potesse essere archiviata come una delle migliori.
Ho visto lo U.S. Open ad Oakmont nel 2016, quattro Masters e ora anche l’Open Championship. Quale preferisco?
Chiariamo subito che non si possono paragonare tornei giocati in continenti e con storie diverse. Detto questo il Masters rimane per me il major piu bello che ci sia.
I motivi sono semplici:
1. Si vede molto meglio e in diversi punti hai la possibilità di assistere a più colpi (in un links come quello nord irlandese era quasi impossibile vedere tiri dai fairway, salvo che non fossi in un punto più alto, tipo una collinetta (ovviamente tutte occupate).
2. Il campo dell’Augusta National ti trasferisce qualcosa dentro, come se ti legasse a lui in un cordone ombelicale.
3. L’organizzazione è spaventosamente perfetta e riesce comunque a migliorare anno dopo anno.
4. Il suo clima gioca un ruolo determinante.
5. Per il pubblico, una volta entrato, tutto è incredibilmente accessibile.
Solo per fare un confronto sul Food & Beverage e sul merchandising, pensate che se al Masters ti puoi prendere uno zaino a 50 dollari, un alza pitch a 9 e un cappuccio per il driver a 35.
A The Open (lo stesso fu più o meno allo U.S. Open) ce ne vogliono ben 89, 15 e 48, e stiamo parlando nel caso di Portrush di sterline.
Stesso discorso per il classico “Burger & Chips”, dove ad Augusta te li porti via con 6 dollari mentre a Portrush ce ne volevano ben 14, sempre di sterline.
Insomma business decisamente diversi e questo secondo me rende ancora più incredibile il fatto che se riesci miracolosamente a entrare al Masters, ti renderai conto che la favola è solo iniziata.