Dal caso George Floyd al golf: è ora di cambiare nome al Masters?
A seguito della brutale uccisione di George Floyd, la protesta antirazzista è divampata in ogni parte del mondo. Non solo proteste ma prese di posizione diventate iconoclaste e, senza nulla togliere alla gravità della situazione, anche esagerate.
Dalla scomparsa del film “Via col vento” al ritiro dei dolcetti “moretti” dagli scaffali dei supermercati in Svizzera.
Passando poi per la distruzione di statue di personaggi come Cristoforo Colombo, fino a ieri considerate icone di civiltà ma che adesso si sono trasformate in simboli della schiavitù o dei regimi coloniali.
In questo turbinio di rivolte nel mirino è finito anche il golf e, precisamente, il Masters.
Masters va a braccetto con la schiavitù
Rob Parker, giornalista statunitense, ha infatti chiesto pubblicamente di cambiare nome al più importante e tradizionale appuntamento che ogni anno (salvo il 2020) si tiene con britannica puntualità ad aprile sul percorso dell’Augusta National.
“Masters non suona affatto bene – scrive Parker – Alla radice del nome non c’è la tradizione e la storia ma la schiavitù. Il dizionario tra le definizioni di masters include proprietario di schiavi”.
Se la richiesta suona bizzarra, alla base della dichiarazione un fondo di verità c’è, ma è una verità che parte dagli albori, dalla fondazione del circolo in Georgia, uno degli ultimi stati ad abolire la schiavitù. Fondato nel 1932 l’Augusta National sorge infatti sui terreni di una piantagione e il proprietario era uno schiavista.
In questa personale crociata Parker ha cercato di coinvolgere grandi campioni che nel corso della storia hanno solcato i fairway del percorso più importante e rinomato del mondo.
Primo tra tutti, Tiger Woods, defending Champion del Masters di quest’anno che si è sempre schiarato al fianco della causa di George Floyd ma non appare intenzionato (e menomale) ad intraprendere questa farsa. Tiger di Giacche verdi ne ha già indossate cinque ed è la più bella risposta in questo mondo dominato ancora dall’odio razziale.
Ma il Masters, per favore, non toccatelo!