Collin Morikawa: “Tra i muscoli e il cervello, scelgo il cervello”
Abbiamo raggiunto “virtualmente” Collin Morikawa all’Omega Desert Classic, secondo evento dell’European Tour in programma da giovedì 28 gennaio a Dubai.
Collin, ambassador Omega da gennaio 2020, è un fuoriclasse del PGA Tour, passato professionista nel 2019, ad appena 23 anni ha già all’attivo tre tornei vinti sul circuito americano, uno dei quali un major, il PGA Championship, conquistato l’anno scorso.
In occasione dell’evento Omega abbiamo scoperto un ragazzo solare, pacato ma con le idee molto chiare su quello che vuole e su come vede il golf. “Mi definisco un giocatore vecchio stampo. Amo i grandi campioni del passato, il loro carisma e la loro predisposizione a stare in campo”.
Prima volta a Dubai. Come sarà il tuo approccio alla gara?
Questa è la mia prima partecipazione all’Omega Desert Classic e l’atmosfera che si respira è quelle delle grandi occasioni. Farò come sempre, giocherò buca per buca cercando di dare il meglio. Ho la fortuna di cancellare abbastanza velocemente gli errori commessi e amo giocare sotto pressione. Spero di essere in contention domenica e tornare a casa mia, a Las Vegas, con il trofeo in mano.
Sei entrato nel team Omega a gennaio 2020, come sei stato accolto dagli altri giocatori?
Direi benissimo, siamo una bella squadra. Sono entrato nella famiglia Omega in punta di piedi, ho accanto grandi campioni che hanno dato e stanno dando tutt’ora tanto al golf mondiale. Nomi come Sergio Garcia, Rory McIlroy dai quali non smetto mai di imparare qualcosa e, nel circuito femminile, Michelle Wie e Danielle Kang.
Se fossi un orologio quale modello saresti?
Quello che ho al polso in questo momento, il modello Seamaster Aqua Terra “ultra light”. Mi rispecchia molto. È lineare, dalle linee pulite e, nello stesso tempo, funzionale e colorato. La bellezza di Omega è che dietro ogni modello c’è una storia da raccontare. Niente è lasciato al caso, tutto ha una specifica funzionalità e posso indossarlo tutti i giorni, non solo sul campo da golf.
In questa stagione quali sono i percorsi nei quali senti di esprimere al meglio le tue qualità di gioco?
Senza alcun dubbio il Murfield Village Golf Club dove andrò a disputare il Memorial Tournament a giugno. Ci ho giocato la prima volta all’età di 18 anni e da subito ho amato quel percorso. Non so spiegare a parole il motivo ma è un po’ come se mi sentissi a casa. Mi sento a mio agio lungo i fairway, è un campo che permette di far lavorare la palla senza per forza tirare il driver a 300 metri.
Ritieni comunque che le nuove tecnologie applicate all’attrezzatura siano fondamentali per chi non è un bombardiere?
Assolutamente sì. Sarei un ipocrita a dichiarare il contrario. Se vai ora in campo pratica vedrai che il 99% dei giocatori hanno tutti almeno il trackman a loro disposizione. Io sono il primo a usarlo in allenamento anche se ammetto di preferire il gioco in campo. Il driving range è fondamentale ma mi hanno sempre insegnato ad allenarmi direttamente sul campo di gioco. Trovarmi in situazioni nelle quali essere costretto a usare la testa, prediligere un tipo di colpo rispetto a un altro. Far lavorare la pallina dandole diversi effetti. Non sono un giocatore che tira la palla a distanze siderali e non lo sarà mai. Prediligo la qualità dei singoli colpi, la sensibilità intorno al green e la precisione. Diciamola così “tra i muscoli e il cervello, prediligo il cervello!”.
Sei sul PGA Tour da pochi anni e hai già raggiunto traguardi incredibili. Ti immaginavi tutto questo successo quando eri ancora al college?
Non ho mai pensato a tutto questo anche se lo speravo. Sono molto determinato e amo il mio lavoro. Il mio scopo è dare sempre il meglio e quando arriverà un’altra vittoria farò di tutto per farmi trovare pronto. Finita l’Università di Berkeley, in California, mi sentivo pronto ad affrontare questo percorso ma non sai mai veramente cosa ti aspetta finché non lo vivi in prima persona.
Nonostante una carriera iniziata con la marcia ingranata, hai mai avuto momenti di sconforto?
Non la metterei in questi termini ma sì, è facile lasciarsi abbattere. Dopo tornei andati male, dopo ore e ore di allenamento e nessun risultato raggiunto è facile voler mollare tutto. Non è questo il mio caso ma non perché io sia un fenomeno ma perché sono motivato. Credo in me stesso e, soprattutto, mi sento un privilegiato a fare questo lavoro.
La tua ragazza, Katherine Zhu è un’ottima giocatrice. Dicci la verità, quante volte hai perso contro di lei in match-play?
Giochiamo molto spesso ma la faccio vincere altrimenti chi la sente a casa… Voi ragazze volete sempre avere ragione, prima o poi qualcuno dovrà anche spiegarmi perché. (Ride)
Quanto il Covid ha influenzato la tua vita?
Per me questo periodo è stato una bella lezione di vita. A volta dai per scontate tante cose che, di scontato, non hanno nulla. Ho imparato a prendere la vita con più calma, a dare le giuste priorità e godermi ogni singolo momento con la mia famiglia. L’ho detto prima, mi sento un privilegiato. Lo ero da ragazzo perché ho avuto un’adolescenza senza traumi, la mia famiglia non mi ha mai fatto mancare nulla e lo sono ora perché faccio il lavoro che amo.
Quali sono i tuoi obiettivi per il 2021?
Nel 2020 ho realizzato uno dei miei sogni, vincere un major. Ora vorrei continuare su questa strada, giocare bene, levarmi altre soddisfazioni e qualificarmi per la Ryder Cup. Spero di poter giocare per la bandiera americana e, soprattutto, spero che ci possa essere il pubblico, il polmone, la linfa vitale di questo evento. Da sempre.