La ricerca dello swing perfetto è come una sigaretta mai spenta. Lo è anche se sei uno che, come Luca “Cinghio” Cianchetti, con il driver in mano ha una tale familiarità da poterci anche rigirare il minestrone ai fornelli. E proprio grazie a quel bastone magico, domenica scorsa il ventenne di Modena, amateur della nazionale italiana, ha fatto lo sgambetto ai pro in quel di Miglianico, andandosi a conquistare sull’Alps Tour l’Abruzzo Open: “A tre buche dal termine –racconta a Golf & Turismo- ho guardato il tabellone e avevo 3 colpi di vantaggio. Mi sono detto, ok non aggredire, gioca tranquillo”.
Ma, mi scusi, come si fa a giocare tranquillo proprio in quei frangenti?
“Beh, si prova a mettere la palla in centro alla pista e poi al centro del green. Si tira il driver piano e…”
Ma sparare il driver e cercare allo stesso tempo di controllarlo non è la cosa più facile da fare, soprattutto sotto pressione…
“E’ vero, ma a me basta tirarlo pensando solamente a dare più ritmo allo swing, a non forzare. Devo solo farlo più fluido: sbaglio quando provo a dargli forte”.
Per chiarirci meglio, “forte” per Cianchetti significa 290 metri di media dal tee; significa tirare driver e ferro 4 al par 5 della buca 9 del Golf Milano nel corso dell’ultimo Open d’Italia, per volare il green di qualche metro: “Sì, in effetti la lunghezza non mi manca. E poi dal tee riesco a fare tutti i colpi, dal driver alto in draw a quello basso in fade. Ecco, semmai devo migliorare molto nel gioco corto, perché i grandi campioni da 4 metri sono implacabili, imbucano sempre. E se hai quella sicurezza sul green, la tattica di gioco diventa diversa, puoi anche sbagliare qualche colpo in più”.
Però la sicurezza di cui parla, pareva che le mancasse, almeno fino a qualche mese fa…
“E’ vero. Fatta la maturità un anno fa ho avuto davanti a me un sacco di tempo per allenarmi, finalmente senza dover scendere a compromessi con la scuola. Però i risultati non arrivavano, non arrivavano mai”.
Poi quest’estate il botto con il triplete:
“Ho vinto il South of England a Walton Heath, il Lolli Ghetti a Margara e subito dopo l’Abruzzo Open. Non so cosa sia cambiato: sicuramente rispetto agli altri ho avuto una maturazione mentale più lenta, e va bene. Però è anche vero che non ho mollato mai, anche grazie ai miei allenatori, Federico Bisazza per lo swing e Cristiano Cambi per la preparazione fisica. E che se lavori con passione e pazienza i risultati prima o poi ti premiano. Poi, parliamoci chiaro, ti deve anche andare tutto bene, devi beccare la settimana giusta. A me ne son toccate tre, meglio così”.
Ma ci dica la verità, cosa si prova a battere i pro?
“Beh, è bello, per carità, ma per noi amateur è più facile perché giochiamo l’open senza la pressione dei soldi, per cui in campo siamo più rilassati. Non c’è un trucco: giochiamo solo al meglio in quelle condizioni”.
Ok, ma vincere non è mai facile, anche se hai lavorato bene e con passione e pazienza, come dice lei. Cosa serve dunque per alzare il trofeo, anzi, per alzarne ben tre di fila?
“Bisogna essere bravi e dimenticare tutto. Bisogna arrivare alla gara successiva, rimettere la palla sul tee e ricominciare a giocare con umiltà”.
In definitiva: lavoro, passione, pazienza, umiltà e 290 metri dal tee, non serve altro. Avete preso appunti?