La United States Golf Association americana e il Royal & Ancient britannico pare si siano finalmente svegliati. Dopo anni e anni in cui il problema è stato colpevolmente lasciato da parte, oggi ci accorge che forse il male peggiore del golf moderno si chiama allungamento continuo dei percorsi. Ne parla Federica Rossi nel primo articolo di oggi dedicato alle dimensioni dei percorsi, che vi invitiamo a leggere.
I motivi di questa affermazione così decisa sono molti. Vediamo, in ordine sparso, quelli di maggiore importanza.
Perché no ai campi lunghi?
- Costi, tempi di costruzione e manutenzione – Disegnare e realizzare percorsi che differiscono anche di un chilometro l’uno dall’altro si traduce in centinaia di migliaia se non milioni di euro. E poi una volta costruito, lo stesso vale per l’amministrazione ordinaria del campo stesso. Se la differenza fra i due tracciati di cui sopra è del 20 per cento, anche le spese di manutenzione saranno ben a favore del percorso più corto. Senza considerare il fatto che campi lunghi hanno di solito green più grandi. E i green rappresentano la fetta maggiore nei costi di gestione.
- Durata del gioco – Una delle accuse più diffuse e maggiori che vengono rivolte al golf riguarda la permanenza in campo. Con gli anni, l’allungamento dei percorsi ha via via aiutato in concreto a dilatare anche i tempi di gioco. Un vero nonsense alla luce dei ritmi sempre più rapidi della vita, reali o virtuali che siano. E questo è senz’altro un forte deterrente per avvicinare i giovani al golf.
- Tempi infiniti anche in televisione – Il golf deve cambiare marcia dal punto di vista delle dinamiche sui grandi tour. No al gioco lento o ritardato, anche in parte figlio del “gioco lungo”.
- Costi green fee e quote annuali – In un momento non facile per il golf in cerca di nuovi giocatori, più i campi sono lunghi e più è difficile far quadrare i conti. E, mentre molti circoli tentano la carta del dumping per tirare avanti, tutti devono confrontarsi con l’aumento delle spese che si riverbera su green fee e quote annuali. Il risultato spesso non può che essere una contrazione del guadagni per i circoli.
- Snaturamento dei grandi percorsi storici – Per correre dietro all’evoluzione dell’attrezzatura, con prestazioni sempre più eccezionali, anche i percorsi che hanno fatto la storia del golf devono adeguarsi. In campo ci sono campioni capaci di ridicolizzare quelli che una volta venivano venerati come tracciati difficili, se non impossibili. E anche fra gli amateur esiste lo stesso problema. Molti campi vengono pensati con lunghezze alla portata solo dei prima categoria, che però sono una percentuale minima dei giocatori. Così la stragrande maggioranza dei praticanti “soffre” il fatto di non raggiungere mai il green, decidendo con il passare degli anni di appendere in anticipo la sacca al chiodo.
Cosa si può fare?
Grandi campioni come Jack Nicklaus e Gary Player da anni predicano (purtroppo al vento) che sia indispensabile intervenire sull’attrezzatura, per invertire il deleterio allungamento dei campi. Oltre che fuoriclasse assoluti, i due sono anche numeri uno in fatto di costruzione di campi. E quindi sanno due volte alla perfezione quello che dicono.
Lo stesso Tiger Woods sostiene da parecchio che il golf dovrebbe imitare il baseball. La Major League, considerata il campionato numero uno al mondo, ha da decenni messo fuorilegge le mazze di alluminio. Nella MLB si gioca categoricamente con quelle in legno, mentre i dilettanti possono usare attrezzi di metallo. Tiger sostiene che anche nel golf bisognerebbe fare lo stesso o perlomeno trovare una soluzione analoga.
È evidente che, dopo aver lasciato per troppo tempo campo libero (è proprio il caso di dirlo) ai grandi marchi di attrezzatura, ora non si può tornare indietro. Le case ai vertici mondiali spendono milioni e milioni di dollari in ricerca e sperimentazione. I risultati ottenuti, nel campo dei materiali, dell’intelligenza artificiale, delle performance dei nuovi attrezzi sono a dir poco eccezionali. E sarebbe folle chiedere a tutti di fare un passo indietro modificando regole e parametri.
L’intervento sulle palline
Come già detto da tutti i maggiori esperti mondiali, a cominciare di già citati Nicklaus e Player, una via d’uscita però esiste. E cioè intervenire sulle palline. Si può modificare la compressione o addirittura, senza cambiare nulla all’interno, intervenire solo sulla copertura. Come? Diminuendo il numero dei dimple, le fossette che “scavano” la superficie esterna.
Sapete quanto volerebbe una pallina da golf completamente liscia? Secondo l’ufficio tecnico della USGA, circa la metà di palle con le fossette. Che oggi, per inciso, hanno da 336 a 500 dimples. Per ridurre drasticamente il volo, basterebbe perciò limitarne il numero.