Intervista esclusiva ad Alain Vergari, vice Commissario Tecnico della Squadra Nazionale Dilettanti Maschile e allenatore di numerosi professionisti italiani sul DP World e Challenge Tour, su tutti Francesco Laporta e Gregorio De Leo.

Di ritorno dall’avventura con i ragazzi all’European Amateur Team Championship al Royal Park I Roveri, Alain Vergari ci racconta del suo lavoro con i giovani della Nazionale Italiana e con alcuni dei professionisti che segue da anni sui tre circuiti professionistici europei.

Tra questi Francesco Laporta (DP World Tour), Gregorio De Leo e Davide Buchi (Challenge), Philip Geerts (Sunshine), mentre sull’Alps segue Diego Buttironi, Jacopo Albertoni, Francesco Santoni, Riccardo Pironi, Elia Dallanegra, Luca Cavalli e Alessandro Notaro.

Alain, come è andata l’avventura nell’European Amateur Team Championship al Royal Park I Roveri culminata con il sesto posto finale? 

Il bilancio della settimana è assolutamente positivo con il sesto posto raggiunto dai nostri ragazzi, che si sono comportati tutti bene.

La svolta è arrivata nel pomeriggio della seconda giornata di qualifica, quando hanno messo cuore e impegno per rientrare nelle prime otto squadre, e di questo sono molto contento e orgoglioso.

Il primo match lo abbiamo giocato contro la Germania che aveva vinto la qualifica, vincendo il primo e perdendo il secondo incontro soltanto alla 18 per una palla persa dal tee.

Purtroppo nel pomeriggio nei singoli i nostri avversari sono partiti molto forte e non siamo riusciti a recuperare. Il giorno successivo abbiamo battuto l’Inghilterra, ma contro la Francia non siamo riusciti a ripeterci e siamo arrivati sesti.

Visto il quinto posto ottenuto lo scorso ottobre nei Mondiali ad Abu Dhabi, ci confermiamo una Nazione sempre al vertice delle manifestazioni internazionali.

Da tecnico, cosa ci manca per competere con i più forti giocatori europei e stranieri? 

Ai nostri azzurri non manca nulla, sono tutti ottimi colpitori di palla alla pari dei più forti.

La scuola in Italia purtroppo però è molto complicata e toglie diverso tempo ai giovani che praticano sport che non si possono allenare ad altissimi livelli.

Il tempo che hanno a disposizione per allenarsi non è mai abbastanza, soprattutto nella parte dell’anno tra maggio e giugno dove, tra verifiche ed esami finali, il rischio è quello di non arrivare in forma ai numerosi appuntamenti di cartello.

A livello fisico, invece, in Italia a mio avviso forse non si è ancora capito quanto sia importante fare una buona preparazione atletica, non solo a ridosso delle gare ma tutto l’anno.

Già dai 16 anni i nostri ragazzi dovrebbero iniziare un percorso atletico con impegno, dedizione, costanza e continuità che li porti ad essere pronti senza rimanere indietro rispetto ai loro coetanei stranieri. 

Che ruolo ricoprono i genitori in questa parte della crescita e dello sviluppo dei ragazzi? 

Il ruolo dei genitori nel nostro sport, soprattutto in giovanissima età, è fondamentale.

La loro presenza è quindi indispensabile, anche se qualche volta i loro atteggiamenti possono purtroppo danneggiare la prestazione e la crescita stessa del ragazzo.

Forse siamo un po’ carenti per quanto riguarda la cultura sportiva in generale, che aiuterebbe senz’altro i ragazzi ma anche gli stessi genitori, che in questo modo potrebbero sostenerli nel modo corretto senza invece ostacolarli.

Bisognerebbe costruire una sorta di educazione sportiva che eviti ai genitori di compromettere la crescita dei loro figli. 

L’Italia del golf avrebbe bisogno di un Sinner per riuscire ad attrarre sempre più nuovi praticanti, soprattutto trai i più giovani?

Io sono cresciuto con il mito di Costantino Rocca di cui avevo un poster in camera che guardavo tutte le mattine, che mi ha motivato nel fare tanti sacrifici e andare avanti per raggiungere i miei sogni.

Dopo di lui sono arrivati i fratelli Molinari che hanno raggiunto il tetto del mondo conquistando la World Cup, hanno partecipato e vinto edizioni memorabili della Ryder Cup e si sono imposti in tornei prestigiosi.

Francesco ci ha regalato il primo major italiano, l’Open Championship del 2018, arrivando sino alla quinta posizione del World Ranking.

Poi è arrivato Matteo Manassero che ha infranto record su record, e poi ancora Guido Migliozzi, Renato Paratore, Andrea Pavan e tanti altri.

Detto questo non credo sia necessario che uno dei nostri ragazzi debba per forza essere un numero uno assoluto, anche se me lo auguro, ma l’importante è che quelli che ci sono adesso e quelli che arriveranno vengano “sfruttati” nel senso buono del termine per favorire la crescita del nostro movimento, soprattutto a livello mediatico.

Il trend dei ragazzi italiani di andare a studiare e giocare in America per provare a sfondare come professionisti è un bene o un male?

In senso assoluto è positivo, perché in questo modo i ragazzi fin da subito possono capire come si diventa dei veri e proprio atleti (sveglia presto, obbligo di studiare e di giocare sempre al top, facilities di altissimo livello, etc.), anche se non sono assolutista in questo.

L’esperienza di Gregorio De Leo ci ha mostrato che anche senza andare in America a studiare, rimanendo in Italia e passando subito professionisti, si possono raggiungere ottimi traguardi.

Ogni persona ha il suo carattere e le proprie abitudini, non è una scelta che può andare bene per tutti, deve essere ponderata a seconda delle situazioni e delle possibilità di ogni singolo atleta.

All’Open d’Italia a Cervia seguivi da vicino Laporta e De Leo, quest’ultimo autore di un ottimo torneo. Cosa manca a Gregorio per fare il grande passo nel golf che conta?

Seguo De Leo ormai da cinque anni mentre ho iniziato a seguire Laporta dall’anno scorso.

Sono molto contento per il risultato di Greg a Cervia, tanto che in certi momenti ho quasi pensato che potesse ottenere qualcosa di straordinario e impensabile.

È un ragazzo d’oro, sta facendo un ottimo percorso partito tre anni fa dall’Alps Tour, con il primo anno da dilettante, seguito dalla Top 10 al termine della seconda stagione per poi arrivare alla terza a vincere l’Ordine di Merito.

I tre titoli ottenuti quell’anno e il primo posto nel ranking gli hanno poi aperto le porte del Challenge Tour con categoria piena.

Qui ha fatto una buona stagione da rookie, chiudendo nei Top 70 e mantenendo la carta piena e rischiando di vincere anche un torneo in Francia.

Ha avuto un po’ di sfortuna nello Stage 1 delle qualifiche per il DP World Tour in cui è rimasto fuori di un solo colpo.

In questo momento (metà luglio, ndr) è nei primi 50 del Ranking e sta portando avanti buone gare, passando tanti tagli.

Quello che mi auguro è che arrivi presto anche una vittoria. 

Il mondo del golf si è molto evoluto a livello tecnico negli ultimi 5/10 anni, come è cambiato in parallelo il ruolo del coach?

Direi moltissimo a livello tecnico negli ultimi dieci anni. Il ruolo del coach è sempre più complicato, non ci si concentra soltanto sulla tecnica ma si fa un lavoro ad ampio spettro.

Bisogna conoscere tutte le fasi e i passaggi necessari per far sì che un giocatore possa arrivare a raggiungere i propri obiettivi e risultati professionali.

È un ruolo di grande responsabilità.

Bisogna saper entrare nella testa dei propri allievi, che per ovvie ragioni, sono diversi. Bisogna inoltre saper dialogare con tutte le tipologie di giocatori, e questo è un aspetto che metto alla pari della tecnica.

Lo sviluppo e i passi avanti che ha fatto la tecnologia nel nostro settore hanno permesso a noi maestri di sbagliare meno e di avere più conferme. 

La nostra esperienza abbinata alla tecnologia crea quella pozione magica per riuscire a far ottenere ai nostri allievi i risultati sperati.

Il discorso mentale si inserisce in tutto questo discorso: la tranquillità del giocatore passa inevitabilmente da una qualità del gioco sempre più alta.

Con l’allievo alla fine si instaura un rapporto più intimo e diretto, di fiducia totale. In questo contesto noi coach ci ritroviamo quindi a ricoprire più mansioni, alcune delle quali prima ci erano precluse o che addirittura non conoscevamo neanche.

Tra i giovanissimi quali nomi dovremmo tenere d’occhio nei prossimi anni?

Allenando la Nazionale lavoro molto con i più piccoli e posso dire che ne abbiamo davvero tanti interessanti.

Non sarebbe corretto fare adesso dei nomi, ma tra i giovanissimi ci sono ottimi elementi che stanno venendo fuori nell’ultimo periodo e sono certo che il golf italiano nei prossimi dieci anni continuerà a sfornare grandi giocatori.