Sono passati tre anni da una delle vittorie più entusiasmanti che la Ryder Cup ricordi dalle sue lontane origini.
Le National di Parigi ci ha regalato uno spettacolo indimenticabile e l’orgoglio di essere italiani grazie alle gesta sportive di Francesco Molinari, eroe indiscusso di quell’edizione già passata alla storia per il suo en plein di vittorie.
Tre anni e una pandemia dopo si torna finalmente in campo, questa volta in terra americana, in Wisconsin, stato natale del capitano stelle e strisce, Steve Stricker, scelto per guidare gli Yankee assetati di rivincita.
A Whistling Straits non ci sarà però il nostro tricolore tra le bandiere dell’Europa: alle prese prima con il cambio di vita tra Londra e Los Angeles e poi con fastidiosi problemi fisici che lo hanno tenuto lontano dalle gare per buona parte della stagione, Francesco Molinari non è riuscito a confermare di diritto il suo posto in squadra.
All’Open d’Italia, durante la conferenza stampa della vigilia, ha dato appuntamento a tutti tra due anni proprio al Marco Simone, conscio ormai che una delle tre wild card di Padraig Harrington, capitano europeo, non toccherà a lui ma ad altri compagni giunti più in forma in questo decisivo momento della stagione.
L’ombra di quel 17.5 a 10.5 con cui l’Europa liquidò a Le National gli Stati Uniti brucia ancora sulla pelle americana.
A Parigi Jim Furyk e i suoi erano dati di gran lunga favoriti ma, come spesso è accaduto negli ultimi anni, i pronostici della vigilia si sono clamorosamente ribaltati. Merito di uno spirito di gruppo e di un affiatamento che da sempre contraddistingue il team continentale, capace di tirare fuori il meglio e qualcosa in più da tutti i suoi 12 componenti, sulla carta meno titolati delle stelle d’oltreoceano.
Ma si sa, la Ryder è un evento diverso, lontano anni luce dai settimanali tornei a cui sono abituati i più forti giocatori del mondo. Qui si lotta per la gloria, per la bandiera e per la squadra, non per montepremi milionari. In palio c’è l’onore, non dollari né punti del World Ranking.
Non sarà un compito facile quindi quello che attende Steve Stricker.
La pressione sarà tutta sulle sue spalle e dovrà dimostrare di sapere gestire uno spogliatoio tutt’altro che semplice fatto di molte primedonne e smorzare sul nascere eventuali attriti tra i giocatori, uno degli elementi negativi che ha contraddistinto le ultime edizioni.
Trasformare il golf, sport individuale per eccellenza, in una disciplina di gruppo in una sola settimana, è compito tutt’altro che semplice. In più Stricker partirà con i pronostici della vigilia dalla sua parte, forte di un team ricco di stelle che ha conquistato tutti o quasi i grandi tornei della stagione.
Si gioca a Whistling Straits, campo che per conformazione e disegno ricorda i celebri links britannici.
Qui si sono disputati tre edizioni del PGA Championship in passato e, curiosamente, mai si è imposto uno statunitense: nel 2004 vinse Vijay Singh al playoff contro Justin Leonard e Chris DiMarco, nel 2010 fu la volta di Martin Kaymer, sempre al playoff contro Bubba Watson, mentre nel 2015 trionfò Jason Day con tre colpi di vantaggio su Jordan Spieth.
Ma il campo che ospiterà la 43esima sfida USA-Europa quest’anno si presenterà certamente molto diverso rispetto ai precedenti major.
Stricker ha lavorato in collaborazione con il superintendent di Whistling Straits per preparare un set up che esalti le caratteristiche dei suoi giocatori.
Aspettiamoci quindi fairway ampi e poco rough, green veloci sulla falsariga dei tornei del PGA Tour e bandiere non impossibili, per favorire il gioco d’attacco dei bombardieri americani e tanti birdie.
Sarà una guerra sia tecnica che di nervi e Padraig Harrington, capitano europeo, è ben preparato ad affrontarla.
Dalla sua ha esperienza da vendere: in carriera ha giocato ben sei Ryder (1999-2002-04-06-08-10), disputando 25 match (9 vittorie, 13 sconfitte e 3 pareggi) per un totale di 8.5 punti. È stato inoltre vice capitano delle ultime tre edizioni (2014, 16 e 18), con due successi su tre.
Steve Stricker dal canto suo vanta solo tre apparizioni in Ryder come giocatore (2008-10-12), con 11 match disputati (3 vittorie, 7 sconfitte e un pareggio) per un totale di 4.5 punti. È stato vice capitano di Davis Love III nel 2016 ad Hazeltine, l’ultimo successo americano in Ryder, e di Jim Furyk nel 2018 a Le National.
I due hanno scelto un vero e proprio team nel team a fargli da spalla nella gestione del torneo.
Harrington porterà a Whistling Straits lo zoccolo duro della squadra europea degli ultimi anni, quella che ha contribuito a formare quello spirito di gruppo che è stata l’arma vincente di molte recenti edizioni: Robert Karlsson, Luke Donald, Martin Kaymer e Graeme McDowell.
Stricker farà affidamento sugli ultimi due capitani, Davis Love III e Jim Furyk, a cui ha affiancato il saggio Zach Johnson e l’enorme esperienza di Phil Mickelson, che in carriera vanta il più alto numero di apparizioni in Ryder, ben 12 consecutive, dal 1995 al 2018.
Chiudiamo con una considerazione legata alla storia: da quando la coppa viene disputata tra Stati Uniti ed Europa, ovvero dal 1979, gli americani vantano otto successi (79, 81, 83, 91, 93, 99, 2008 e 16), gli europei 11 (85, 87, 95, 97, 2002, 04, 06, 10, 12, 14 e 18) e solo una volta l’incontro si è chiuso in pareggio (nel 1989 a The Belfry, 14 pari), con la coppa che è rimasta al team del Vecchio Continente in qualità di campione in carica.
Ma se contiamo solo le ultime dieci edizioni la percentuale sale vertiginosamente a favore dell’Europa, con sette vittorie contro le tre degli Yankee. Ultima nota: vincere fuori casa è sempre difficile, anche in ambito golfistico.
L’Europa ci è riuscita quattro volte, l’ultima nel 2012, edizione passata alla storia come “Il miracolo di Medinah” per il clamoroso recupero nei singoli della domenica, in cui partiva dal punteggio di 6 a 10 per gli americani.
Gli Stati Uniti dal canto loro vantano invece solo due titoli conquistati in trasferta, quello del 1981 a Walton Heath e quello del 1993 a The Belfry, ultimo acuto degli USA in terra straniera nella storia del torneo.