Lo U.S. Open non si gioca a Los Angeles dal successo di Ben Hogan al Riviera nel 1948.
La città emblema del sogno americano decreterà il giocatore più forte del mondo nel major più democratico.
Il Masters è il più iconico, l’Open Championship il leggendario e il PGA Championship la Cenerentola dei tornei dello Slam. Ma, lasciatemelo dire: lo U.S. Open è il più democratico. Quello del 2023, edizione 123 del torneo organizzato dalla USGA, è zeppo di significati.
Il major più democratico
Perché democratico? Semplice. Qualsiasi golfista può prendere parte ai tornei di qualifica per provare a essere giovedì tra coloro che giocano il tee shot del primo giro. Quest’anno sono state ben 10.187 le persone al via nel tentativo di arrivare a iscrivere il proprio nome tra i 156 giocatori ammessi al torneo, oltre metà dei quali provenienti proprio dalle qualifiche. Un vero record.
Ci hanno provato professionisti e dilettanti con handicap non superiore a 1,4. E quando parlo di professionisti includo proprio tutti: dai maestri ai membri dei tour mondiali, tutti i circuiti, incluso il LIV.
Al momento di andare in stampa ben 12 giocatori del LIV fanno parte del field, alcuni per esenzione e altri arrivati dalle qualifiche: Bryson DeChambeau, Brooks Koepka, Dustin Johnson e Martin Kaymer sono presenti perché vincitori di un’edizione dello U.S. Open negli ultimi 10 anni; Phil Mickelson vi prende parte per il successo nel PGA Championship 2021; Cameron Smith per quello nell’Open Championship 2022 e Joaquin Niemann ha ottenuto il pass qualificandosi per il Tour Championship 2022. Con loro Abraham Ancer, Patrick Reed, Mito Pereira e Thomas Pieters. Ultimo, in termini temporali e non per importanza, Sergio Garcia che, passato proprio per le qualifiche sarà al via per la 24ma volta consecutiva al torneo.
Altro motivo di fascino è la preparazione del percorso, da sempre un vero e proprio incubo. “Si gioca accettando il fatto di poter finire sopra il par ed essere comunque nella parte alta della classifica. È un modo di pensare diverso da quanto siamo abituati tradizionalmente.” ci aveva raccontato Francesco Molinari già diversi anni fa. Il torneo è ovviamente itinerante e quella attuale è la 53ma sede differente.
A proposito di Chicco si gioca nella sua “nuova città”, a Los Angeles. Lui, come molti altri, normalmente si allena al Riviera ma tutti i club accolgono a braccia aperte i pro del Tour.
Francesco Molinari giocherà i primi due giorni insieme a Bryson DeChambeau e Tyrrell Hatton.
Los Angeles è la città che più di ogni altra rappresenta quella nella quale i sogni si possono realizzare.
La città di Hollywood, dello spettacolo, di Beverly Hills, Santa Monica e della Walk of Fame. Ci si torna dopo ben 75 anni quando, al Riviera Country Club, Ben Hogan vinse il primo dei suoi quattro U.S. Open.
Teatro della kermesse sarà una new entry assoluta: il North Course del Los Angeles Country Club. Il campo è stato progettato nel 1920 dall’inglese Herbert Fowler e riprogettato nella veste rimasta per 80 anni definitiva, nel 1927, dalle matite di William Bell e George Thomas Jr. che lo definì il suo più grande progetto.
Nel 2010 è stata ultimata l’opera di restauro, durata ben cinque anni, a cura dell’architetto Gil Hanse che è riuscito a mantenere il fascino del passato assecondando le forme del terreno pur aggiornandone le caratteristiche tecniche per attualizzarlo.
Per vincere lo U.S. Open servono un mix di preparazione fisica e mentale. “Spesso chi si è occupato del set up dei percorsi di questo major ha preso decisioni delicate nella loro preparazione sovente indicata come punitiva.
Di fatto però è stata sempre lasciata ai giocatori la scelta se rispettare il campo o provare ad aggredirlo rischiando di pagare un caro prezzo – ha raccontato Jeff Hall, membro della USGA che per la 18ma volta si è occupato della supervisione alla preparazione del campo -. Poter scegliere tra diverse strategie nell’affrontare una buca rende il golf più interessante e premia quanti uniscono alla tecnica anche un giusto pensiero in base al momento personale e ambientale”.
Le caratteristiche del North Course di Los Angeles
Il campo prevede la possibilità di giocare con un par diverso da un giorno all’altro. La 18, ad esempio, è una buca lunga 450 metri e verrà giocata come un infinito par 4 da 420, ma potrebbe rimanere un par 5 tutt’altro che semplice se la bandiera venisse posizionata in fondo a sinistra del green.
Sebbene non ci sia in programma una modifica al par di nessuna buca durante i quattro giorni del torneo – come invece avvenne nel 2015 a Chambers Bay quando il par cambiò per due buche nel secondo giro – la flessibilità offerta dal North Course consentirà di effettuare variazioni significative semplicemente posizionando le bandiere in modo differente da un giro rispetto all’altro. Vincerà ancora una volta il campo? Non è detto.
Il North Course, infatti, sarà leggermente più largo nell’atterraggio dei colpi dal tee rispetto alla maggior parte dei campi preparati per gli U.S. Open. Questo aspetto segue la linea del principio del design di Thomas secondo la quale i dog leg hanno un ruolo importante perché determinano la strategia più o meno aggressiva.
Il Los Angeles Country Club ha ospitato nel 2017 la Walker Cup e, proprio come allora, il primo tee sarà realizzato sul putting green della storica club house con il Beverly Hilton sullo sfondo.
Vediamo dove potrebbe decidersi il torneo. Una delle buche più interessanti è la 6, un corto par 4 raggiungibile con il drive ma con un green molto piccolo e circondato da rough in Bermuda, erba ostica per il controllo della palla.
Signature Hole
La signature hole è la 11, uno dei cinque par 3 del campo. Si gioca dall’alto ma da ben 260 metri (290 yard, avete letto bene) con un lungo avant-green che, se non dovesse piovere, permetterà di far rimbalzare la palla verso il green.
Le due buche finali probabilmente determineranno il vincitore. La 17 è un par 4 infinito: 470 metri con un green piccolo da prendere di volo per i numerosi bunker a difesa. Obbligatorio essere in fairway con il tee shot altrimenti giungere in green con i colpi regolari è impossibile. E poi la 18 nella quale, oltre alle difficoltà della buca stessa con enormi bunker dalle sponde che rendono la palla ingiocabile, avrà il fattore emotivo per le migliaia di tifosi presenti.
Date queste premesse riuscire a indicare un favorito è impresa ardua. Non ci metto il campione in carica Matt Fitzpatrick che, sebbene abbia superato il marzo orribile, non è nella miglior forma. Sicuramente parte in prima fila Brooks Koepka, reduce dal quinto titolo major e un feeling assoluto con i tornei dello Slam.
In pole però vedo Scottie Scheffler. Lo so, non vi piace perché non ha carisma, ma per il sottoscritto resta il talento più cristallino in questo momento nel field, e non perché è numero uno al mondo. Terzo tra i miei favoriti Jon Rahm. Se è vero che è molto difficile vincere due major consecutivi, impresa che potrebbe compiere Koepka, è altrettanto vero il contrario: lo spagnolo, dopo la debacle al PGA Championship, avrà voglia di riscatto.
Metto in seconda fila anche Rory McIlroy, che ha il problema della continuità ma se è nella settimana giusta è imbattibile per chiunque.
Meriterebbe il successo Viktor Hovland, vista anche la recente vittoria ottenuta al Memorial Tournament, ma secondo me più insidioso è Collin Morikawa. L’americano nelle ultime due edizioni dello U.S. Open ha concluso tra i migliori cinque e al momento è al primo posto nella statistica del PGA Tour dei colpi guadagnati tirando al green e sesto nella precisione con il drive.
Niente Tiger
Chiudo parlando degli assenti, anzi, dell’Assente. Dopo il PGA Championship, Tiger Woods salta anche lo U.S. Open. Il 15 volte campione major è ancora alle prese con i postumi dell’intervento al piede, per risolvere l’artrite post traumatica derivata dalla sua precedente frattura del tallone.
Si spera nel ritorno all’Open Championship ma sappiamo che Tiger non scende in campo per far presenza e, piuttosto che vederlo trascinarsi e soffrire come ad Augusta, dove è stato costretto al ritiro, allora è meglio ricordare le sue inimitabili gesta.
Il torneo su Sky e su NOW
Lo U.S. Open verrà teletrasmesso in diretta sui canali Sky e in streaming su NOW. Prima giornata: dalle ore 16,15 alle ore 2 su Sky Sport Golf e su NOW e dalle 16,15 alle ore 20,45 su Sky Sport Uno. Diretta preceduta da Studio Golf alle ore 15,45 su Sky Sport 24 e su NOW.