La 42esima edizione della Ryder Cup si è conclusa con una netta vittoria degli Usa.
Il clamoroso punteggio di 19-9 rappresenta il più grande margine di vantaggio degli ultimi decenni. Ad arginare la differenza fra i due team non è bastata l’esperienza di Lee Westwood, il carisma di Ian Poulter, la fantasia di Sergio Garcia e la presenza in gruppo di Jon Rahm, attuale numero 1 del mondo.
L’Europa, per la prima volta da parecchi anni, non è mai stata in partita.
La determinazione della giovane squadra americana ha imposto un gioco aggressivo fin dalle prime battute e ha dominato il prestigioso match sotto ogni punto di vista, spazzando via l’esperta compagine europea già al termine della seconda giornata.
Si è parlato di sconfitta annunciata a causa della fine di un ciclo magico e della necessità per la squadra europea di trovare giovani rincalzi che possano sostituire quei fuoriclasse che ci hanno regalato ben sette vittorie nelle ultime dieci edizioni.
In realtà, ciò che ha fatto pendere l’ago della bilancia a favore degli Usa, non è stata tanto l’età media della nostra squadra o la performance sotto tono di alcuni nostri giocatori chiave.
Bisogna saper perdere e ammettere che i giovani americani questa volta sono stati nettamente superiori.
Nei loro occhi si è intravisto quello spirito di squadra e quella voglia di vincere che ha sempre caratterizzato le nostre compagini, in virtù dell’eredità ricevuta dal carismatico campione spagnolo, Severiano Ballesteros.
La domanda giunge quindi spontanea. Visto che la squadra americana rimarrà molto simile a quella di quest’anno, che cosa succederà a Roma 2023?
L’Europa riuscirà a riprendersi da questa batosta e a creare un team di giovani gladiatori?
Andando ad esaminare il panorama odierno credo proprio che ci servirà un miracolo per poter essere competitivi negli anni a venire.
Dobbiamo solo sperare che in Europa possano nascere più gemelli Højgaard: giovani, potenti, determinati e spavaldi.
Sicuramente qualche altro talento under 25 sta emergendo ma i numeri che esprime il golf in Europa in questo momento non giocano certo a favore della nostra causa.
Rory McIlroy, Jon Rahm e Tommy Fleetwodd dovranno rimboccarsi le maniche e trascinare le nuove leve contando sui già esperti Viktor Hovland e Matthew Fitzpatrick.
Oltre ai fratelli danesi l’Europa nei prossimi anni potrà avvalersi anche su qualche altro giovane interessante come Robert McIntyre, Thomas Detry e Calum Hill ma non credo possano essere sufficienti per guardare avanti con fiducia e positività.
Per quanto riguarda l’Italia, parlando di giovani, Guido Migliozzi è andato molto vicino a guadagnarsi una poltrona nel Team Europe per questa edizione 2021, insieme a Renato Paratore potrebbe quindi riprovarci per Roma 2023.
Per un posto in squadra nessuno dei nostri è comunque escluso: Westwood ci ha insegnato che ci si può qualificare anche alla tenera età di 47 anni.
Forza Chicco e forza Italia quindi!
Per concludere il discorso sui numeri Usa – Europa io ho una lettura totalmente differente da chi è rimasto sorpreso da questa dolorosa sconfitta: vogliamo davvero paragonarci agli Usa?
Per favore, non scherziamo… Dovremmo al contrario essere più meravigliati per le nostre numerose vittorie degli ultimi 30 anni che per questa normalissima sconfitta.
Mi domando se, chi parla con toni accesi di debacle e crisi europea, abbia la minima idea di cosa rappresenti il golf negli Stati Uniti.
Più di 30 milioni di giocatori, licei e università nei quali i giovani golfisti, oltre ad allenarsi ogni giorno con ‘facilities’ d’eccellenza e a competere ogni settimana su campi da PGA Tour, sono venerati e di conseguenza aiutati negli studi, e non “ghettizzati” come spesso succede da noi.
A parer mio gli Stati Uniti avrebbero dovuto creare davvero molti più fenomeni di quanti non ne abbiano prodotti negli ultimi decenni.
In Europa purtroppo abbiamo sì e no un paio di università nelle quali esiste un programma per golfisti, che per contro si trovano ovviamente in luoghi freddi, dove i ragazzi non hanno alcun tipo di competizioni e calendari gare fra i vari college
. L’unico vantaggio che abbiamo in chiave Ryder sembra essere il fatto che le squadre sono composte solo da 12 giocatori.
Gli Usa infatti quest’anno avrebbero potuto comodamente schierare altri due team competitivi.
In poche parole: sveglia Europa!
Al giorno d’oggi non si può più vivere solo di colpi di fortuna. Abbiamo sole e terreni in abbondanza per rilanciare il golf che fra l’altro in questi due anni di pandemia, nei paesi con strutture pubbliche adeguate, ha notevolmente aumentato sia i numeri che la popolarità.
Ma come sempre non servono le parole, servono i fatti e una mentalità meno amatoriale che guardi al futuro con delle prospettive diverse da quelle che hanno prevalso fino ad ora.
Il primo passo importante, ancor prima di tentare di allargare il numero dei giocatori senza poi avere le strutture idonee per accoglierli, è quello di ottimizzare al massimo quel poco che abbiamo. Dobbiamo dare ai nostri giovani golfisti la possibilità di studiare e continuare a coltivare il loro sogno di Tour Player, senza dover per forza di cose rinunciare all’istruzione.
La concorrenza in questi anni è cresciuta a dismisura e al momento, l’unica possibilità a disposizione dei nostri sportivi per potersi allenare adeguatamente e mantenere il passo, sembra essere quella di frequentare scuole che ti “regalano” un diploma, ovvero istituti scelti il più delle volte da ragazzi svogliati e senza grandi ambizioni.
Tanto triste ma purtroppo tanto vero.