Attraverso le parole di Butch Harmon, uno dei coach più celebri al mondo, riviviamo le 18 buche decisive di sei indimenticabili edizioni del Masters vinte o perse da alcuni dei campioni che ha allenato.

1997: L’INIZIO DELL’ERA TIGER

Poco prima che Tiger Woods salisse sul tee della buca 1, la domenica del suo primo major da professionista, lo abbracciai e gli dissi: “Questo è il tuo giorno. Vai in campo e goditela”.

Dopo il 66-65 di venerdì e sabato aveva un vantaggio di nove colpi sul secondo ma non se ne vantava, non si è mai guardato indietro, i suoi occhi sono sempre stati puntati su quello che ancora doveva fare.

Ricordo la sua risposta, con un sorriso consapevole: “Ci penso io Butchie”.

Tiger era pronto per quel momento chiave della sua carriera e il suo gioco era perfetto per l’Augusta National: la sua lunghezza dal tee, il suo volo di palla alto, i suoi putt sotto pressione.

Quella settimana giocò quasi sempre un ferro al green nella maggior parte dei par 5, alla 15 un paio di volte, anche un wedge di terzo.

Quando l’atmosfera diventò elettrica, passando da una possibile vittoria alla certezza di battere alcuni storici record, iniziò a giocare addirittura meglio.

Sabato sera Tiger fece quello che sarebbe poi diventato un suo immancabile rituale: si sedette con la mappetta del campo in una stanza, da solo, e giocò ogni buca nella sua testa. “Il driver va qui, scelgo il bastone, miro lì, la metto vicino all’asta, prossima buca”.

Con tutte le variabili che ci sono nel golf Tiger era bravo a controllare tutto ciò che poteva e ad essere pronto a gestire il resto, anche in quella settimana e a soli 21 anni.

Domenica mattina gli dissi cosa faceva Ben Hogan quando era in contention: rallentava ogni gesto, anche prima di scendere in campo.

Cammina più lentamente, si lavava i denti con calma, guidava piano fino al circolo.

Se Tiger l’ha presa a cuore questa cosa non lo so ma quella mattina, sicuramente, non andò mai di fretta. Il suo putt e il suo riscaldamento furono precisi e calmi, la solita routine di sempre insomma.

Quando mio padre Claude vinse il Masters nel 1948 disse che la sensazione più bella del mondo è quella di arrivare alla 72esima buca di Augusta con un vantaggio di cinque colpi, sapendo che non puoi perdere. “Un giorno sarai tu Tiger a vivere quel momento” gli dissi prima del torneo quell’anno.

Ed eccoci lì, solo pochi giorni dopo, con la piccola differenza che il vantaggio questa volta era di 12 colpi!

Tiger era arrivato prima del previsto, per tutti tranne che per lui…

1999: OLAZÁBAL ENTRA NELLA STORIA

Il l fatto che José María Olazábal riuscì ad andare ad Augusta quell’anno fu già di per sé una vittoria. Subito dopo aver vinto il Masters del 1994 fu colpito da un fastidioso dolore ai piedi che spesso lo rendeva incapace persino di camminare.

Pensava addirittura che la sua carriera fosse finita. 

Poi uno specialista della schiena trovò la causa di quel disturbo e, finalmente, riuscì a sottoporsi a un trattamento che funzionò.

Di conseguenza il suo atteggiamento all’inizio di quella settimana era di sola gratitudine per poter essere ancora una volta al Masters.

Ollie ed io abbiamo lavorato insieme per molti anni. Il suo gioco corto è uno dei migliori di tutti i tempi e come giocatore è stato uno dei più tosti di sempre. E se questo non bastasse adorava Augusta.

I primi tre giri dello spagnolo furono un po’ altalenanti: 70 giovedì, un brillante 66 venerdì, 73 sabato. 

All’inizio delle ultime 18 buche era un colpo avanti a Greg Norman, sempre tra i favoriti del pubblico e suo compagno di gioco quella domenica.

La migliore storia di quella giornata arrivò al par 5 della 13. Sempre avanti a Norman di un colpo, Olazábal fece push con il drive e un lay-up con il secondo colpo.

Norman fece invece partire un draw stupendo a tagliare e un ferro perfetto al green, mettendola a sette metri e mezzo dall’asta. Il wedge di Ollie finì un metro e mezzo più vicino della palla di Norman, e qui arriva il bello.

Da come la racconta lo stesso Olazábal, si mise ad ammirare quel momento sul green, circondato da meravigliose azalee in piena fioritura e da file e file di spettatori. 

Era un frangente delicato per mettersi a sognare ad occhi aperti, poi, improvvisamente, la folla impazzì: Norman aveva imbucato il putt per l’eagle.

Ho sentito Ollie raccontare questa storia molte volte e qualcuno chiede sempre: “Cosa successe dopo?” Lui dice di aver avuto questo pensiero: “Ma quanto è bello essere qui?

Pensavo che non avrei mai più camminato e invece eccomi qui, la domenica del Masters, a giocare insieme a Norman con la possibilità di vincere”.

Poi, con il suo forte accento spagnolo, aggiunge: “Oh sì, poi ho imbucato il mio di putt per il birdie…”.

Racconto sempre questa storia ai miei giocatori perché è importante saper apprezzare certi momenti.

È naturale rimanere coinvolti nella competizione e perdersi l’esperienza e la gioia di far parte di un istante così speciale.

Olazábal finì per vincere di due colpi e francamente non credo che sarebbe mai successo senza che lui avesse provato quel senso di immensa gratitudine per essere lì in quell’istante.

Photo by Streeter Lecka/Getty Images for Golf Week

2010: LA TERZA DI PHIL MICKELSON

A volte la vittoria in un major arriva attraverso un solo colpo chiave, quello che porta a un birdie o a un eagle decisivo o semplicemente perché solleva il morale del giocatore in un momento critico del torneo.

Nel caso del colpo sotto pressione di Phil Mickelson dagli aghi di pino al green della 13 nel 2010 si è trattato di entrambe le cose.

Allenavo Phil dall’inizio del 2007 e quella settimana era davvero in palla con il driver, il che di solito lo metteva in lizza per la vittoria. Partito nel team leader domenica, giocò il suo tee shot alla 13 per tagliare il dogleg ma finì dietro a un pino a destra. 

Il suo caddie di lunga data, Bones Mackay, cercò di convincerlo a giocare un lay-up in sicurezza e a mettersi in posizione per un comodo wedge al green.

Ma Phil ovviamente non ne volle sapere.

Con i microfoni della diretta che registravano la loro discussione, Mickleson si avvicinò e disse a Bones che a volte nella vita bisogna provarci a giocare il colpo giusto nel momento giusto. Quello era l’istante perfetto e lui avrebbe giocato quel colpo dai pini al green.

La cosa divertente è che ero andato avanti per mettermi in posizione per vedere il green e il tee successivo della 14. 

Quando sentii la folla esplodere e vidi la sua palla fermarsi a un metro dalla buca pensai che fosse uscito dagli alberi e che quello fosse il suo terzo colpo. Invece no… 

Phil aveva giocato un ferro 6 dagli alberi che era volato per 200 metri sopra il Rae’s Creek, facendo atterrare la palla accanto alla buca. C’era una possibilità su un milione di riuscire a fare quel colpo.

Mancò il putt per l’eagle ma ne imbucò uno più lungo per il birdie e per rimanere due colpi avanti a Lee Westwood. 

Quel colpo fu fondamentale per garantire un birdie, ma la carica che dette a Mickleson, giocatore estremamente emotivo, fu ciò che gli fece poi vincere quel Masters. 

Phil vive per realizzare l’impossibile. 

Quella spinta lo aiutò a fare altri due birdie prima della fine che lo portarono a vincere di ben tre colpi.

La parte più bella di quella giornata avvenne dopo il giro, quando Mickelson si stava dirigendo alla Butler Cabin per la cerimonia della Giacca Verde con Jim Nantz e l’allora presidente del Masters, Billy Payne. 

Lo abbracciai e gli dissi: “Vai a prenderne un’altra, te la sei meritata”. Mi rispose: “Assolutamente no, tu vieni con me. Questo è merito tuo e mio, lo abbiamo fatto insieme”.

Nessun giocatore mi aveva mai invitato a quella cerimonia. 

Fui molto orgoglioso di quel gesto, lo sono ancora, perché dimostra cosa significasse per lui il nostro rapporto.

Phil era bravo a dare merito, che si trattasse di me o di Bones o di chiunque altro. 

Quella fu la seconda volta quel giorno in cui dimostrò di che pasta era fatto.

2013: IL PLAYOFF DI ADAM SCOTT

Prima di parlare di quello che successe la domenica del Masters del 2013 dovete prima capire quanto sia legato ad Adam Scott.

Per me e mia moglie Christy è come se fosse uno di famiglia.

L’ho conosciuto quando il mio amico Tom Crow, il fondatore di Cobra Golf, mi chiese di prendermi cura di un ragazzo australiano che stava venendo a giocare per la UNLV (Università del Nevada), vicino a dove insegno, fuori Las Vegas.

Quando Adam venne a trovarmi per la prima volta, nel 1998, era il periodo in cui stavo allenando Tiger.

Gli feci tirare alcuni colpi e dopo qualche swing pensai “Ho già visto questo swing…”.

Gli chiesi se stesse provando a imitare qualcuno e mi rispose che lui e suo padre amavano il movimento di Tiger e cercavano di emularlo. Era il più simile che avessi mai visto.

Da quel giorno in poi Scott e io diventammo molto amici.

A volte lavoravamo sodo sul suo gioco, altre semplicemente parlavamo delle nostre vite. Nessun australiano aveva mai vinto il Masters, con diverse occasioni mancate da parte di Norman, e questo fatto non era certamente sfuggito ad Adam che è molto patriottico.

Nel 2013 iniziò il giro finale con un colpo di vantaggio e dopo le prime nove era dietro di tre ad Angel Cabrera.

Ma tre birdie sulle ultime sei buche, di cui uno all’ultima, lo fecero andare al play-off con l’argentino.

Entrambi fecero par alla prima buca del playoff, la 18, poi si diressero alla 10. Con la pioggia che cadeva battente e la luce che veniva sempre meno, Scott aveva un putt per il birdie da quattro metri e mezzo per vincere il Masters. Io stavo commentando per Sky Sport, nella torre della TV.

Cerco sempre di rimanere neutrale nelle trasmissioni televisive e di dire solo quello che vedo, ma quella volta fu davvero difficile. Inoltre non volevo portargli sfortuna dicendo la cosa sbagliata in televisione.

Mentre si metteva sulla palla per giocare quel putt sentii il nostro produttore in cuffia: “Tieni una telecamera su Butch, voglio vedere la sua reazione”.

Quando il putt finì in buca impazzii, infrangendo la mia promessa. Il mio compagno di telecronaca, Ewen Murray, si voltò verso di me e mi chiese: “Butch, cosa ne pensi?”

Le lacrime mi rigavano il viso, non riuscivo a emettere una parola. Fu la volta che mi emozionai di più nel vedere vincere uno dei miei ragazzi.

Adam mi firmò una bandiera del Masters con un messaggio bellissimo che inizia con “Coach, mentore e grande amico…” Quella bandiera è appesa nello stesso campo pratica dove l’ho visto tirare le prime palline 25 anni fa.

2001: IL TIGER SLAM

La caccia di Tiger ai major nell’estate del 2000 è stata la più entusiasmante nella storia del golf. A giugno vinse lo U.S. Open con un record di 15 colpi di vantaggio, l’Open Championship con otto e il PGA al playoff.

Conquistare il Masters del 2001 avrebbe significato detenere tutti e quattro gli Slam del golf contemporaneamente, cosa che non era mai stata fatta nell’epoca moderna. Tiger è sempre stato a suo agio davanti a un “Non è mai stato fatto”.

Prima che arrivassimo ad Augusta nell’aprile del 2001 aveva lavorato duramente per mantenere la forma dell’anno precedente. 

La sua preparazione per i major era diversa da quella di qualsiasi altro giocatore che abbia mai visto.

Nelle settimane precedenti a uno Slam non solo si esercitava su determinati colpi che sapeva gli sarebbero serviti ma li giocava addirittura nei tornei che lo precedevano, anche quando la situazione non lo richiedeva.

Quell’anno vinse le ultime due gare a cui partecipò prima del Masters, Bay Hill e il Players, e giocò i suoi “colpi di Augusta”, come i draw alti con il driver e i wedge carichi di spin per vincere quei tornei.

Era la sua preparazione segreta, che solo noi due conoscevamo. Quando arrivammo ad Augusta era come se avesse gareggiato lì per settimane.

La possibilità che potesse vincere quattro major consecutivi era il tema ricorrente della settimana.

Sapevo che la cosa migliore che potevo fare per lui era quella di non parlarne. Mantenemmo le nostre conversazioni leggere e le sue sessioni di allenamento pulite e di routine.

Si allenava ogni mattina, e quando arrivava al circolo si trattava solo di riscaldarsi e concentrarsi su come sarebbe stato il campo quel giorno: il vento, le posizioni delle aste, il tipo di colpi necessari.

Fece esattamente quello che doveva fare i primi tre giri (70-66-68) per mettersi in posizione di chiudere il cosiddetto ‘Tiger Slam’, e si piazzò un colpo avanti a Mickelson. I preparativi quella domenica furono impeccabili.

Come al solito, per prima cosa, trascorse del tempo in putting green, provando i colpi che si aspettava di dover giocare con le aste della domenica di Augusta, poi andò in campo pratica per riscaldarsi.

Mentre si dirigeva verso il tee della 1 lo presi da parte e gli dissi di darsi da fare. Mi fece un cenno col capo, non disse nulla, non ce n’era bisogno. 

Entrambi eravamo al corrente dell’importanza di quella giornata. Non ho mai avuto dubbi sul fatto che avrebbe vinto, anche prima dell’inizio della settimana. Quando era al meglio Tiger era insuperabile.

Dopo le prime nove buche aveva un colpo di vantaggio su Mickleson e Duval, e mantenne il vantaggio di uno/due per tutte le seconde. Sul tee della 18 era davanti di uno su Duval e di due su Mickelson.

Era in procinto di scrivere la storia e tirò il drive più lungo della settimana in fairway, fece un wedge perfetto appena a destra dell’asta e imbucò un putt da cinque metri per il birdie.

Dopo gli abbracci post giro, finalmente mi misi a riflettere su cosa significasse davvero tutto questo.

È dannatamente difficile vincerne uno di major, ma quattro di fila con il mondo intero che non fa altro che ricordarti che cosa c’è in gioco? 

Mi resi conto più che mai che quelli sono i momenti per cui Tiger gioca, sono il suo carburante. Ci saranno altre grandi imprese nel golf in futuro ma sono convinto che nessuno, mai, riuscirà a battere il Tiger Slam.

1996: IL CROLLO DI GREG NORMAN

Includo questa come una delle mie domeniche indimenticabili al Masters perché se eri lì sicuramente ti ha lasciato un segno. Il vantaggio di sei colpi su Nick Faldo all’inizio dell’ultimo giro si ridusse a tre dopo le prime nove e poi tutto andò storto.

Sembra ancora impossibile che Greg Norman abbia fatto 78 quel giorno dopo tre giri sotto par, tra cui il 63 record di giovedì. Ma è per questo che si giocano quattro giri.

Il modo più semplice per descrivere quanto successo è che quando Norman si presentò domenica mattina ad Augusta non era lo stesso giocatore che era andato via sabato pomeriggio.

Era teso e agitato. Andammo in campo pratica e disse che il suo swing non gli sembrava a posto. Gli assicurai che non c’era nulla di sbagliato nel suo movimento, era solo troppo veloce a partire nel downswing.

Lavorammo per fargli finire il backswing, a non affrettare il bastone, ma non si sentiva in palla.

I problemi di Greg iniziarono a metà giro quando fece un gancio con il legno 3 alla 8 e fu fortunato a salvare il par, a cui seguì il non prendere il green e non fare approccio e putt alla 9 e alla 10.

Alla 11 tirò due colpi perfetti mettendola a circa tre metri dall’asta ma gli sbordò il putt per il birdie e poi mancò il putt di ritorno. I colpi finali li perse in acqua alla 12 e alla 16.

Stavo camminando con la moglie e la figlia di Norman e quando le cose iniziarono a mettersi male fu difficile sopportare alcuni dei commenti del pubblico.

Quando fece un brutto pull che andò a finire in acqua alla 16 suggerii loro di rientrare. Non c’era nient’altro da vedere.

Dopo il giro il caddie di Greg, Tony Navarro, e io lo aspettammo nello spogliatoio. Onestamente non sapevo cosa aspettarmi.

Greg è molto disciplinato ma anche molto intenso. Ammetto che mi aspettavo una reazione forte invece entrò, ci guardò e disse: “Beh, oggi non ce l’abbiamo fatta, ragazzi. Ci rifaremo l’anno prossimo”.

Col senno di poi non avrei dovuto sorprendermi, Norman è sempre stato un uomo equilibrato. Era coinvolto in varie attività oltre alle competizioni, dall’attrezzatura all’abbigliamento sino al vino; non c’è mai stato solo il golf giocato per lui. 

Quel giorno non ce la fece ma la sua reazione di fronte a una sconfitta così pesante fu un esempio per tutti.

In occasione dell’89esimo Masters, Golf&Turismo in collaborazione coniallaway Golf Europe, offre la possibilità di vincere un fantastico driver Callaway Elyte. 

Clicca qui e partecipa alla prova abilità per il primo major stagionale.