Alla parola Ryder Cup mi riaffiorano ricordi indelebili, momenti indimenticabili accanto al grande Mario Camicia con le nostre telecronache.
La Ryder è senza alcuna ombra di dubbio l’evento sportivo per eccellenza nonché il più grande veicolo di promozione del golf
Molto più importante dei major perché è in grado di avvicinare sia il pubblico golfista che non, coinvolgendolo nel grande spettacolo che solo la Ryder sa regalare.
Per non parlare dell’importanza mediatica che la biennale sfida Europa – Stati Uniti ha soprattutto dal punto di vista televisivo. Non dimentichiamoci che è il terzo evento più seguito al mondo dopo i Mondiali di Calcio e le Olimpiadi.
Tutto questo successo è stato paradossalmente “salvato” da Jack Nicklaus. Agli inizi degli anni ‘70 propose infatti di cambiare il regolamento permettendo alla squadra avversaria di inglobare tutta l’Europa. All’epoca non c’era praticamente partita. Si giocava Stati Uniti contro Gran Bretagna e il divario tra le due compagini era abissale con costante dominio americano e con conseguente poco interessamento da parte del pubblico.
Nel 1973 alla Gran Bretagna è stata incorporata l’Irlanda e nel 1979 tutto il resto dell’Europa continentale.
Da quel momento la storia è cambiata
Nelle ultime 10 edizioni la squadra europea ha conquistato sette vittorie. Difficile spiegare e trovare le giuste motivazioni di questi successi. Spesso si dice che sulla carta la squadra a stelle e strisce sia nettamente favorita soprattutto prendendo singolarmente i giocatori.
Pensate solamente a Tiger Woods, Phil Mickelson e Dustin Johnson. Ma, si sa, nelle competizioni a squadre lo spogliatoio è sempre quello che fa la differenza e noi in questo siamo i migliori. Gli americani sono spesso rivali tra loro, abituati all’individualismo che in una formula come il foursome o la 4 palle non aiuta lo spirito di squadra.
Ma veniamo alle mie Ryder Cup vissute come telecronista. Dovessi stilare una classifica direi che le più memorabili sono state quella del 2012 a Medinah, quella del 2018 a Le National e tornando indietro, quella del 2006 al K Club.
Quest’ultima è la Ryder del cuore fatta con Mario Camicia.
Eravamo là, in Irlanda, e non abbiamo visto tirare nemmeno un colpo da golf. Il nostro TV Compound era a un chilometro e mezzo dal campo ed era impossibile seguire i giocatori dal vivo. Ma non posso dimenticarmi dei momenti passati con Mario, quando alle 5 del mattino raggiungevamo la nostra postazione camminando in mezzo al fango perché non smetteva di diluviare, con Camicia in mocassini.
Poi arriviamo alla Ryder del 2012, il miracolo di Medinah e qui, lo ammetto, risentendomi mi sono vergognato di me stesso. Il commento ha lasciato spazio al tifo sfegatato da stadio, mi ero trasformato lasciandomi andare dall’euforia del momento. Ricordo anche di aver detto: “Non sono mai stato così teso dai rigori della finale dei Mondiali di Calcio del 2006”. Ed era proprio così. All’inizio dei singoli della domenica avevamo già perso, il distacco era abissale e mai avrei pensato a una rimonta di quel genere. Ad aggiungere benzina al fuoco il pubblico americano, che in quell’occasione era stato a dir poco indegno, insultando a male parole tutti i giocatori europei e le rispettive mogli. Capite che la vittoria finale ha avuto un sapore ancora più eccitante. E poi non dimentichiamoci che Francesco Molinari aveva giocato nell’ultimo match contro Tiger Woods, la personificazione del golf nel mondo, portando un mezzo punto fondamentale.
In quella Ryder, tra l’altro, abbiamo fatto degli ascolti record riuscendo a catturare l’attenzione di moltissimi telespettatori perché eravamo in prima serata e in TV le partite di calcio erano finite.
Infine, arriviamo all’ultima disputata in ordine di tempo.
L’edizione del 2018 è stata un crescendo dall’inizio, un massacro dal venerdì mattina alla domenica sera. Il nostro Chicco ha scritto una nuova pagina del golf segnando cinque punti su cinque. Mai nessuno era riuscito in questa impresa. In telecronaca ho cercato di trattenermi più che nel 2012 ma è stato in ogni caso uno spettacolo incredibile.
Il pubblico che cantava “Moliwood” in onore dei due eroi di Parigi, Molinari e Tommy Fleetwood, riecheggia ancora nelle mie orecchie.