Tutti noi che seguiamo Edoardo Molinari da sempre sappiamo come “l’ingegnere del green” abbia un rapporto particolare con numeri e statistiche. Da sempre Dodo analizza il proprio golf. Addirittura il primo rudimentale sistema di valutazione dati risale al 2003. Negli ultimi anni sul Tour sono arrivate molte aziende in grado di sfornare un’infinità di dati.
Ma in cosa varia l’attività di Edoardo rispetto ai freddi dati forniti dalle aziende di statistica?
“Beh, una cosa importante è l’analisi stessa che, se viene fatta da una persona con competenza nel gioco ha un valore differente”. Oggi l’attività “parallela” di Dodo sta conoscendo una vera e propria esplosione: Thomas Pieters, Viktor Hovland e Nicolai Hojgaard, tre dei tanti che utilizzano le sue analisi, si sono imposti nei primi tre tornei della stagione del DP World Tour. “Speravamo di fare l’en plein con le quattro gare nel deserto ma non siamo riusciti a vincere l’ultima! Certo, come inizio non ci si può lamentare…”
Ma come è nata questa attività?
“Da sempre utilizzo le statistiche analizzando i dati in profondità. Ho visto i dati che avevano a disposizione e le cifre che pagavano, così ho deciso di sviluppare e il mio sistema facendone un prodotto. Il Covid ha giocato un ruolo fortunato perché nei tre mesi di permanenza forzata a casa ho studiato un sistema che fornisse report facili e intuitivi da leggere”.
Oggi la parte di statistiche è praticamente finita e stanno limando alcuni dettagli ma i dati sono solo una minima parte, la punta dell’iceberg. Perché?
“La parte più stimolante del sistema è quella legata alla strategia. Un conto è dire a un giocatore che putta male sotto i due metri o che tira male il drive, diverso è consigliare i campi su cui giocare o come affrontare le singole buche”.
Spiegaci meglio. “Dallo scorso anno abbiamo iniziato a fare guide personalizzate con le indicazioni su come affrontare il campo. Per esempio: alla 10 dell’Emirates Golf di Dubai Hovland tira il legno 3 mentre Pieters avrà maggior risultati giocando il ferro 2. Ovviamente abbiamo dati che avvalorano la scelta. Questo aspetto sta facendo la differenza e stiamo avendo richieste sempre maggiori perché il passaparola dei caddie diventi esponenziale”.
Sappiamo come i numeri siano una scienza esatta, però non tutti ottengo gli stessi risultati…
Certamente, io posso dirti come affrontare una buca seguendo le statistiche. Poi entrano in ballo lo swing, l’emotività, le condizioni e soprattutto la fiducia nel sistema al punto di non curarsi della sensazione del momento pur di seguire il piano stabilito
Ma tu controlli se i tuoi “clienti” hanno seguito le indicazioni?
“Certo! Avevamo otto giocatori al Riviera di cui un paio con una strategia particolare a una buca. La prima cosa che ho fatto è stato guardare se hanno seguito le indicazioni o meno. È divertente ma anche stimolante ragionare con loro confrontandosi. Parlare con i migliori al mondo serve a migliorare loro ma anche me stesso”.
Il livello di gioco fa comunque la differenza perché se il piano permette di risparmiare due colpi a settimana per un giocatore top può significare la vittoria mentre per uno che manca il taglio di cinque colpi cambia poco, lo mancherà di tre.
In questo momento “l’azienda” ha tre persone che lavorano cercando di automatizzare in previsione di altri giocatori che arriveranno. Oggi sono 20 sul DP World Tour mentre una decina sul PGA e tutto sul passaparola. Fitzpatrick ad esempio lo ha detto a Hovland che ha subito chiamato. “È una bella soddisfazione ricevere una telefonata di un collega che chiede il tuo aiuto o ti ringrazia per il supporto e quando il messaggio di ringraziamento arriva dai migliori al mondo vuol dire che il sistema funziona”.
E Chicco?
“È tra i miei clienti, non pagante! Lo scorso anno ha giocato poco ed è stato difficile. Quest’anno gli stiamo dando una mano e i frutti arriveranno. Più conosce il proprio gioco e maggiore sarà la confidenza sui campi e migliori i risultati. Lui mi sta chiedendo molte informazioni, questo vuol dire che ha capito che possono esserci margini di miglioramento”.
Numeri, strategia. Tutto bene, però così facendo non si toglie la parte emotiva, quasi romantica del gioco?
“È una delle finalità, cercare di togliere la parte emotiva. Il golf al nostro livello è un lavoro e i giocatori sono delle aziende multinazionali. L’aspetto emotivo tra i migliori non esiste. Non ti “senti” di tirare un colpo o un ferro, bensì segui le statistiche e giochi come frutta di più. Oramai tutti gli sport lasciano poco spazio al feeling. Anche nel calcio hanno statistiche pazzesche che noi non immaginiamo neanche. Non solo nella parte atletica, ma anche nella preparazione della partita e nella scelta della formazione. È l’evoluzione di tutti gli sport, più soldi ci sono maggiore è la concorrenza e tutti cercano di sfruttare al meglio la tecnologia. Nel golf è quello che hanno sempre fatto i caddie. Sulla parte di strategia loro ci vanno a nozze perché sapendo che bastone far giocare sanno che alla lunga la scelta pagherà”.
Lo sport per i professionisti è sempre più una scienza, mentre per noi dilettanti resta spesso un gioco. In comune, a volte, fa arrabbiare entrambi!