Il numero di bunker, il manto erboso, i rimbalzi e il vento formano qui un rebus che solo i giocatori al top della loro forma hanno l’acutezza di risolvere.
È il motivo per cui il formidabile disegno del Royal Liverpool premia sempre il miglior giocatore del momento.
La maggior parte dei campi dove si disputa l’Open Championship possiedono caratteristiche specifiche che li identificano perfettamente: l’Old Course ha la storia, la solennità e l’affascinante simbiosi con la città di St Andrews; Turnberry le sue alte coste rocciose e il mitico faro; il Royal St. George’s e il Royal Portrush le dune arruffate e spesse; Carnoustie il sadismo contorto e il temibile corso d’acqua del Barry Burn; Troon la celebre buca 11, The Railway, costellata di ginestra e che costeggia la linea ferroviaria.
A un primo sguardo, il Royal Liverpool Golf Club, nella città balneare di Hoylake, in Inghilterra, pochi minuti di macchina a ovest di Liverpool, appare piuttosto desolato e privo di elementi distintivi.
Fatta eccezione per una serie di buche che attraversano delle dune al largo delle vaste distese di fango dell’estuario del Dee, il percorso è generalmente docile e lascia intravedere la sua origine agricola.
Manca lo spettacolo naturale e quel senso di fuga che si prova, ad esempio, a Muirfield, dove le buche si intrecciano attraverso ampi prati di festuca, o al Royal Birkdale, dove viene voglia di perdersi tra le vette e le creste delle colline di sabbia circostanti.
Al Royal Liverpool le buche si scontrano con le strade e i cortili di case modeste.
Quelli che conoscono il golf, tuttavia, sanno che a Hoylake, come comunemente viene chiamato il campo, c’è molto di più.
Dietro a una facciata poco affascinante c’è un disegno composto da intricate equazioni matematiche.
I pericoli di Hoylake non sono appariscenti ma sono persistenti.
Piccoli errori hanno conseguenze devastanti, specie se i colpi finiscono nei tipici bunker con la sponda alta.
I cops – modesti rilievi erbosi in agguato lungo il perimetro del campo – possono intrappolare i colpi vaganti, così come gli occasionali cespugli di ginestra spinosa.
I green sono profondi e di solito messi ad angolo rispetto al fairway, con una sagomatura convessa intorno ai bordi.
Quelli che sono protetti dai bunker hanno dei corridoi per ricevere i colpi a correre. Mettere la palla in modo tale da avere il passaggio libero davanti, per i colpi al green, richiede dei drive molto precisi, che vanno giocati vicini ai bunker sfalsati lungo i fairway stretti.
Tirare i driver lunghi è possibile, ma devono essere dritti come una spada, mentre decidere di appoggiare la palla in posizioni più sicure pone uno stress estremo sulla conseguente precisione. Tutto questo si svolge su un terreno increspato, complicato da venti mutevoli e da un manto erboso compatto e imprevedibile.
Come scrisse il celebre scrittore inglese Bernard Darwin più di 100 anni fa, “A Hoylake non c’è traccia della morbidezza compiaciuta e dell’assetto curato; piuttosto è duro, spoglio e irregolare e ha bisogno di un uomo per essere conquistato”.
Se questo suona come la quintessenza del golf strategico – pensare in anticipo, definire l’angolo e la distanza del colpo – lo è in misura crescente.
La linea tra un colpo ben giocato e un risultato terribile a Hoylake è tra le più sottili che l’Open Championship ha da offrire.
Le buche sembrano giacere in agguato, pazienti, passive, ma pronte a distruggerti
John Low, l’architetto inglese dell’inizio del XX secolo, scrisse con ammirazione della ‘indistruttibilità’ del percorso. Pat Ward-Thomas, in seguito, affermò che giocare a Hoylake era un modo per ‘esercitarsi a sconfiggere le proprie paure’.
La bellezza di Hoylake sta nel fatto che gli algoritmi sono completamente calcolabili.
Il numero di bunker, il manto erboso, i rimbalzi e il vento formano un teorema algebrico, ma uno che solo i giocatori al top della loro forma hanno l’acutezza di risolvere, come dimostrò Tiger Woods nel 2006 quando dissezionò i links con i suoi micidiali ferri e il suo abile putter (usò il driver solo una volta quella settimana).
Hoylake è allo stesso livello di Muirfield e dell’Old Course di St Andrews in termini di saper elevare i giocatori più bravi.
I vincitori dei più recenti Open Championship disputati al Royal Liverpool includono alcuni dei migliori giocatori della storia del golf
Durante gli otto Open Champsionship qui disputati negli ultimi 100 anni, il Royal Liverpool ha costantemente identificato e premiato il miglior giocatore del momento. Walter Hagen era indiscutibilmente il golfista che più aveva dominato nell’estate del 1924.
Dopo un quarto posto allo U.S. Open, conquistò i links di Hoylake, prima di vincere il terzo dei suoi cinque PGA Championship due mesi dopo.
Quando l’Open tornò a Liverpool nel 1930, il campo premiò nuovamente il miglior giocatore indiscusso dell’epoca. La vittoria con due colpi di distacco di Bobby Jones seguì il suo trionfo al British Amateur e anticipò quelli nei mesi successivi allo U.S. Open e allo U.S. Amateur.
Al Padgham vinse nel 1936 e Fred Daly nel 1947, e sebbene fossero entrambi dei giocatori esperti, i loro successi giunsero in un periodo in cui pochi professionisti americani di alto livello attraversavano l’Oceano per disputare l’Open Championship.
Nel 1956, non molto tempo dopo aver chiuso quarto allo U.S. Open, l’australiano Peter Thomson vinse il suo terzo Open Championship consecutivo proprio al Royal Liverpool, una delle sue cinque Claret Jug (il punteggio fu di 286, due sopra il par). Roberto De Vicenzo trionfò nel 1967, una delle sue sette vittorie di quell’anno. La primavera successiva finì secondo al Masters battuto da Bob Goalby, mancando il playoff solo perché firmò uno score con il punteggio errato.
Tiger Woods vinse otto volte in 15 tornei disputati nel 2006, inclusa una vittoria al PGA Championship. Il vincitore del 2014, Rory McIlroy, trionfò quattro volte quell’anno, a oggi il suo record di vittorie in una stagione, e replicò il trionfo a Hoylake portandosi a casa il PGA Championship il mese successivo.
Il campo che i giocatori vedranno all’Open avrà un ordine diverso da quello su cui giocano normalmente i soci. Quelle che per i membri del club sono abitualmente la 17 e la 18 saranno la 1 e la 2. Questo significa che le buche 1 e 16, che si piegano entrambe a destra seguendo gli angoli del campo pratica – con un fuori limite interno – diventeranno la 3 e la 18 dal 20 al 23 di luglio.
Gli architetti Martin Ebert e Tom Mackenzie hanno apportato alcune modifiche per l’edizione 2023 del major più antico tra cui l’aggiunta di nuovi bunker e tee, l’introduzione di aree sabbiose nelle dune delle buche 13 e 14, e lo spostamento di diversi fairway e green. Hoylake sarà così lungo 6.751 metri e diventerà un par 71, con la trasformazione della buca 10 da par 5 a par 4 di 464 metri.
Il cambiamento più significativo dal 2014 è la creazione del nuovo par 3 della 17, che sostituisce un altro par 3, che precedentemente era la 15. Ebert e Mackenzie hanno invertito la buca che, sebbene collocata nella stessa posizione, ora è di 124 metri e si gioca in direzione ovest, verso un piccolo skyline verde, a ridosso dell’estuario del Dee.
Il nuovo par 3 rimescola l’ordine delle buche di chiusura e richiede una passeggiata per raggiungere il tee della 18, ma dà a Hoylake l’attrazione che in precedenza gli mancava. Le conseguenze di queste modifiche le vedremo dal 20 al 23 di luglio, ma è improbabile che andranno a intaccare il dono che possiede il Royal Liverpool, ovvero quello di saper tirare fuori il miglior gioco dal miglior giocatore del momento. Cercate un favorito?
Iniziate con i principali vincitori e secondi classificati dei major di quest’anno: avranno tutto il necessario per risolvere le equazioni di Hoylake.