L’Open d’Italia, una fabbrica di sogni. Il torneo nostrano vanta centinaia di curiosi e divertenti aneddoti. In questo articolo ve ne raccontiamo due non legati ad altrettanti trionfi ma a clamorosi insuccessi. Sconfitte che però hanno poi contribuito a lanciare due grandi campioni verso memorabili carriere.
Il nostro torneo più antico e prestigioso fa cifra tonda, ottanta. E il destino ha voluto che la speciale ricorrenza cadesse proprio nell’anno più importante della nostra storia golfistica, quello della prima Ryder Cup italiana. Gli aneddoti legati ai vincitori e ai campioni di fama internazionale che hanno impreziosito l’Open d’Italia dal 1925 a oggi si sprecano. Noi vogliamo ricordarne però due piuttosto particolari, episodi che forse non tutti conoscono e che non sono legati a epici trionfi, anzi, a clamorosi insuccessi.
Il sogno di Retief Goosen
Per il primo facciamo un salto indietro sino al 1995. Dal 4 al 7 maggio di quell’anno il circolo milanese de Le Rovedine ospita sui suoi fairway il Conte of Florence Italian Open. Si impone con un totale di -19 in un’edizione ricca di pubblico il grande Sam Torrance, istrionico talento scozzese, uno dei più longevi e vincenti giocatori della storia dell’European Tour (21 successi sul massimo circuito europeo in 706 gare disputate, 46 titoli in totale in carriera, 8 partecipazioni alla Ryder e capitano europeo nel 2002 a Belfry). Otto anni prima Torrance aveva già sollevato il nostro trofeo, a Monticello, soffiando il titolo allora come nel 1995 allo spagnolo José Rivero.
Un Open quello de Le Rovedine ricordato anche per le ottime prestazioni dei nostri azzurri, con Costantino Rocca ed Emanuele Canonica terzi e Silvio Grappasonni ottavo. Mentre quella domenica 7 maggio Torrance posava con la coppa per le foto di rito sul green della 18, al bar del circolo un giocatore affogava la sua insoddisfazione in una birra. “Non si può giocare così male, è davvero frustrante,” – pare abbia detto a qualcuno che cercava di consolarlo -. In effetti quel 26enne sudafricano aveva chiuso 79° e ultimo in classifica, a ben 27 colpi da Torrance. Da un paio d’anni cercava fortuna sull’European Tour ma senza grandi risultati. Come dargli torto quindi, ma si sa, il golf è una brutta bestia, a tutti i livelli di gioco.
La sua perseveranza, passata la delusione italiana, lo portò poi finalmente a vincere il suo primo torneo sul circuito europeo l’anno dopo, e da lì non si fermò più. Quattro successi in altrettanti stagioni e poi addirittura il grande salto negli Stati Uniti, per le prime apparizioni nientemeno che sul PGA Tour. Una carriera che da anonima divenne anno dopo anno sempre più memorabile, culminata addirittura con due successi addirittura nel major statunitense più antico e prestigioso, lo U.S. Open, nel 2001 e nel 2004. Ah, per inciso e per chi ancora non avesse capito di chi stiamo parlando il campione in questione è Retief Goosen, oggi riconosciuto tra i più grandi giocatori sudafricani di sempre.
Il successo di Justin Rose
Dalle Rovedine alla Sardegna. Open d’Italia 2001. Venerdì sera tra i passeggeri in partenza dall’aeroporto di Cagliari, si aggira anche un ragazzotto inglese che non ha superato il taglio a Is Molas, tale Justin Rose. L’ennesimo taglio mancato di una serie talmente pesante che aveva portato la giovane promessa britannica addirittura a essere ironicamente nominato “Cutting Rose”. Ci mise poco a smentire tutti: a gennaio dell’anno successivo arriva il primo successo di una carriera che gli ha regalato ad oggi ben 25 titoli, di cui 11 sul PGA Tour, un major (U.S. Open 2013) e il numero 1 del World Ranking nel 2018.
Dall’Open d’Italia sono passate molte stelle che hanno poi scritto la storia di questo sport. Alcuni di loro hanno spiccato il volo proprio dal nostro torneo, altri sono cresciuti attraverso le sconfitte. È la storia di questo gioco, ma se ci pensiamo bene della vita. Chi si arrende alle prime difficoltà difficilmente verrà ricordato. Chi da queste invece cresce e ne trae forza lascerà certamente il segno nel suo cammino.