Da diversi mesi la parola Superlega è entrata a far parte dei nostri vocabolari. Quella legata al golf però non si limita allo sport ma coinvolge anche la politica, la cultura e, perché no, la religione.
Che gli arabi stiano rilanciando la loro immagine a suon di dollari non è una novità. Nella regione araba, ben prima di noi, si sono resi conto che il petrolio non sarebbe più stato una risorsa imprescindibile per il mondo. Così i sultani hanno deciso di investire, trasformando i loro paesi in mete turistiche e centri nevralgici per il capitalismo.
L’Expo di Dubai, che ha seguito quella milanese, ne è stato solo uno dei tanti esempi. Anche lo sport non fa eccezione con i Mondiali di Calcio in Qatar del prossimo inverno, l’ultimo evento in ordine cronologico. In mezzo un’infinità di manifestazioni sportive, congressi, ma anche servizi e agevolazioni per quanti decidono di spostare là i propri affari. Oggi diversi golfisti vivono a Dubai, pensiamo ad esempio agli azzurri Paratore e Migliozzi. Entrambi raccontano di come il Paese sia moderno, capitalista e totalmente globalizzato.
Anche l’Arabia Saudita si sta affacciando al mondo occidentale e suon di dollari ma la sua storia racconta differenze, limitazioni e contraddizioni ancora molto forti che riguardano i diritti e le libertà personali. Come detto evito di addentrarmi in un argomento spinoso del quale non ho tutti gli strumenti per esprimere un’opinione circostanziata.
Gli sceicchi di Dubai avevano riversato petroldollari nel golf diventando il main sponsor dell’European Tour tanto da cambiarne il nome. Ahmed bin Sulayem, presidente e Ceo di DP World, multinazionale che opera nel settore del trasporto e della logistica con sede negli Emirati Arabi Uniti, a fine 2021 ne aveva dato l’annuncio.
Per capire le origini di LIV Golf Tour bisogna tornare a un paio di anni fa. L’Arabia Saudita ha messo nel mirino il golf, sport tra i più praticati al mondo, elevando gli investimenti fatti sino ad allora con la sponsorizzazione di un paio di gare. In un incontro con PGA Tour ed European Tour è stato messo sul tavolo dagli arabi il progetto di un intero circuito. Ovviamente chi organizza il golf mondiale da secoli ha sollevato perplessità ma, raccontano fonti ben informate, sul fronte arabo non c’è stata la minima apertura alla mediazione: “O così oppure noi andiamo dritti e vi spazziamo via”.
LIV Golf infatti è qualcosa di molto differente rispetto ai tour tradizionali. La società LIV ha acquisito l’Asian Tour per cercare di far valere le proprie gare per il World Ranking, aspetto che difficilmente riuscirà a trovare realizzazione. Si tratta di un mini circuito di otto gare che punta a divenire un marchio in grado di stravolgere tutte le regole, non solo di gioco.
Per ora i tornei vengono trasmessi gratuitamente dal canale Liv Golf che può venire messo in onda da chiunque lo voglia (ergo diritti TV azzerati). La gara inaugurale, ad esempio, è stata inserita nel palinsesto di DAZN. Nessuna interruzione pubblicitaria se non quelle spettacolari che promuovono il marchio LIV Golf. Nessun tempo morto, solo golf giocato.
Vengono trasmessi i colpi dei leader, dei giocatori più seguiti e quelli maggiormente spettacolari. Il numero dei partecipanti è di 48 giocatori, nessun taglio, 54 buche con partenza shot gun con il numero di buche mancanti uguali per tutti. Parallelamente alla tradizionale gara individuale i pro sono inseriti in una delle 12 squadre concorrendo così per una gara nella gara. Tutto è differente e, permettetemi, “più fresco”.
Le grafiche sono intriganti. La classifica è sempre esposta nella parte sinistra dello schermo in modo interattivo, stile motomondiale tanto per dare un’idea. Il nome del giocatore inquadrato viene messo in evidenza con il colpo che sta per tirare, la buca che sta giocando, la distanza e, a volte, la mappa. Il volo di palla mostra la massima altezza raggiunta.
All’evento l’area club house / pratica viene trasformata in un parco giochi per grandi e piccini con tanti skill game per il pubblico, area food, area bambini e gadget a non finire.
La sera après golf, concerti, feste, fuochi d’artificio e tanto divertimento per tutti. Insomma un golf più giovane e forse veramente aperto a tutti, lontanissimo dall’immagine ingessata anglosassone ma anche da quella stereotipata che abbiamo degli arabi avvolti nei turbanti, tutti con la barba e senza l’ombra di una donna in abiti occidentali.
Le cifre del LIV Golf Tour sono da capogiro, al limite della sensatezza.
Per la “garetta” a squadre montepremi di cinque milioni di dollari (più della maggior parte dei tornei del DP World Tour) e ben 20 per la gara individuale. Avete letto bene ma lo scriviamo per intero: 20.000.000 di dollari. Charl Schwartzel vincitore a Londra ha incassato 4.750.000 dollari. La gara conclusiva avrà un montepremi di 30 milioni per i primi tre giocatori che metteranno in banca rispettivamente 18, 8 e 4 milioni di dollari. Inoltre il team event conclusivo avrà in palio 50 milioni di dollari. Già i soli montepremi avrebbero potuto attrarre i più forti giocatori del mondo ma Greg Norman, CEO di LIV Golf, ha provato a coinvolgere i campioni con ingaggi da capogiro.
Inizialmente hanno risposto presente stelle sulla via del tramonto: da Sergio Garcia a Ian Poulter passando da Graeme McDowell e Charl Schwartzel. Il circuito è stato paragonato ai campionati di calcio cinesi o americani, nei quali giocatori a fine carriera vanno a monetizzare per qualche stagione prima di appendere le scarpette al chiodo. Poi però sono arrivati alcuni nomi importanti: Dustin Johnson, Phil Mickelson, Bryson DeChambeau, Patrick Reed, Brooks Koepka e Abraham Ancer. Difficile dar loro contro visti gli interessi in ballo. DJ ha sottoscritto un contratto di 125 milioni di dollari per un anno. Per fare un confronto che possa dare un’idea pensiamo che Mr. Tiger Woods ad oggi ha guadagnato, di soli premi, 121 milioni. Rumors parlano di 200 milioni per Lefty. In compenso Tiger e McIlroy hanno rifiutato un ingaggio vicino al miliardo di dollari.
La reazione del PGA Tour non si è fatta attendere, potete vedere il comunicato ufficiale nelle pagine successive. I giocatori che hanno preso parte all’evento di Londra hanno subito la cancellazione, lecita, della carta perché hanno partecipato a una gara senza il release del circuito del quale fanno parte. Successivamente il PGA Tour ha annunciato otto gare con montepremi di 20 milioni: di fatto cinque appuntamenti della regular season da 10 passeranno a 20 milioni e, a questi, si aggiungeranno tre gare, dopo i play off di pari montepremi.
Sfidare gli arabi a suon di dollari però è una battaglia persa in partenza. Il PGA Tour è divenuto dominante proprio grazie ai montepremi, agli sponsor e all’organizzazione ma il LIV Golf non ha limiti economici quindi servono altre strade. La cancellazione della carta e l’assenza di punti per il World Ranking alle gare LIV dovrebbero fungere da deterrente alla fuga di campioni. In estate cambieranno i criteri di assegnazione punti del OWR con la cancellazione del minimo, così le gare a 54 buche senza taglio e con solo 48 giocatori dovrebbero essere messe al bando, almeno per il World Ranking.
Sul fronte europeo si è più cauti. La prima reazione è stata una multa di 100 mila sterline e il divieto di giocare le gare in co-partecipazione al PGA Tour: un brodino messo in tavola per non avvertire la fame. Di fatto si è voluto rimandare la decisione. I sauditi detengono il 20% del DP World Tour, che non ha la forza economica degli americani. Quindi l’atteggiamento dei britannici è comprensibile.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Gli arabi sono riusciti a creare il LIV Tour grazie anche alle questioni irrisolte che coinvolgono i due principali circuiti. Da anni si parla di un unico tour mondiale ma PGA e European non hanno mai voluto trovare un accordo. Da quanto tempo si discute sulla lungaggine delle gare e dello scarso appeal del golf in TV? Ore intere di trasmissioni per vedere giocare dai propri beniamini una settantina di colpi, comprimibili in un paio di minuti. Tutti argomenti dibattuti per i quali non si sono mai volute trovare soluzioni.
E così, mentre chi ha sempre governato il golf riflette, i dinamici agiscono. Il LIV Tour prevede ben cinque appuntamenti negli States con due tappe nei campi di Donald Trump, non un americano qualunque. Visto il poco appeal della gara a squadre nell’evento inaugurale di Londra, dove di fatto a 18 buche dal termine la contesa dei team era già decisa, si è cambiato format con scontri diretti. Un circuito dinamico, non c’è che dire, dove le decisioni vengono prese velocemente. “Adesso sembra tutto bello e fantastico – mi ha raccontato Edoardo Molinari – Quello che non capisco è perché in altri sport, come la Formula 1, gli arabi abbiano messo soldi sponsorizzando mentre nel golf abbiano voluto portare un cambiamento radicale cercando di creare un’alternativa in contrasto con quanto avviene da secoli, volendo comandare e andando allo scontro. La gente vuol vedere i giocatori forti competere in gare con una certa tradizione. Sul LIV non c’è motivazione.
Chi vince prende una valigetta con i soldi e va a casa ma anche se giochi male ne hai avuti talmente tanti come ingaggio che non fa differenza. È come giocare una partita a casa con amici. La soddisfazione e l’ambizione sono a zero. Chi vuole scrivere la storia del golf, vedi Tiger e Rory, non ha prezzo e non si rovina la vita. Inoltre non capisco il ritorno: con 1.500 visualizzazioni di YouTube gli arabi non si ripuliscono neanche l’immagine”.
Abbiamo vissuto solo il primo capitolo di un libro che si preannuncia di molte pagine. Jay Monahan non si è limitato a parlare di scelta per tutelare il proprio circuito ma è già andato oltre, colorando la vicenda con frasi come “15 dei 19 terroristi dell’attacco dell’11 settembre avevano nazionalità saudita”.
Ritengo che un conto sia parlare di sport, seppur legato a importanti interessi economici e di potere, altro sia puntare il dito ergendosi, come purtroppo spesso fanno gli americani, a nazione giusta e corretta esempio di democrazia e libertà.
Mi limito a rimanere dalla parte del pubblico che vuole vivere emozioni guardano i professionisti giocare a golf, indipendentemente dal logo della gara.